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Dopo la verifica di brogli nelle presidenziali in Afghanistan

E infine fu ballottaggio


di Gabriele Nicolò

E infine fu ballottaggio. Come ormai appariva scontato, la commissione elettorale ha riscontrato massicci brogli nel riesame dei voti delle presidenziali afghane del 20 agosto. Karzai ha ottenuto il 49,7 per cento dei consensi. Non è dunque più vittoria al primo turno e ora l'ex ministro degli Esteri, Abdullah Abdullah, potrà contendergli il mandato. Prima di accettare il verdetto, l'attuale presidente aveva contestato l'operato della commissione elettorale, denunciando interferenze esterne. Per indurlo a più miti consigli è dovuto scendere in campo il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che lo ha invitato al rispetto della Costituzione. È stato lo stesso Karzai ad annunciare, durante una conferenza stampa, la data del ballottaggio, il 7 novembre. Incontrando a Kabul, separatamente, Karzai e Abdullah, il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, aveva rivelato che entrambi si erano detti disposti a cooperare per uscire dalla crisi postelettorale. Si era arrivati anche a parlare di un Governo di coalizione. Voce subito smentita.
I brogli, dunque, ci sono stati. Hanno riguardato quasi un quarto dei voti espressi, 1,3 milioni. La revisione ha portato il risultato di Karzai al 49,7 per cento, ben sette punti in meno rispetto all'esito provvisorio. Abdullah è salito dal 28 al 32 per cento. È rimasto così deluso chi si attendeva, dalle presidenziali, una spinta alla stabilità del Paese. E torna prepotentemente di attualità, in questo nuovo scenario, il problema della sicurezza. In vista delle presidenziali i talebani, perseguendo la loro strategia diretta a destabilizzare il territorio, avevano minacciato di morte e violenze tutti coloro che fossero andati a votare. Anche se in misura ridotta rispetto a quanto si temeva, sono stati di parola. Non è difficile prevedere che i guerriglieri lanceranno nuovi attacchi in occasione del ballottaggio.
La data del 7 novembre trova d'accordo chi sosteneva che il nuovo appuntamento elettorale si sarebbe dovuto tenere il prima possibile, al massimo entro un mese, per evitare che il Paese, già logorato, viva un ulteriore periodo di incertezza politica e istituzionale. Altri avrebbero preferito un voto a primavera, per meglio riorganizzare la macchina elettorale, evitando così nuove irregolarità.
Ma ciò che resta, sul piano più strettamente politico, è la chiara involuzione nei rapporti tra la comunità occidentale e Karzai. Nel 2002 egli si era imposto come l'eccellente alleato degli Stati Uniti che avrebbe traghettato il Paese verso la democrazia. Adesso sembra invece che il presidente afghano non sia più tanto gradito a Washington.
Già alla fine del 2008, la Casa Bianca aveva più volte auspicato, nel quadro di una ridefinizione della scena politica afghana, un maggiore decentramento dei poteri, così da ridurre di fatto l'influenza di Karzai. Sintomatico dello stato attuale dei rapporti è stata la denuncia lanciata due settimane fa dallo stesso presidente afghano, il quale, parlando in Parlamento, ha accusato i soldati statunitensi di favorire l'espansione talebana nelle regioni settentrionali del Paese.
Anche sulla nuova strategia statunitense in Afghanistan, attualmente allo studio alla Casa Bianca, la situazione è complessa. L'Amministrazione Obama ha fatto intendere, proprio in queste ore, che prima di decidere l'invio di rinforzi, occorre attendere l'insediamento di un Governo credibile. Il presidente della Commissione esteri del Senato statunitense, John Kerry, ha detto che sarebbe irresponsabile inviare altri uomini nel Paese finché la situazione, in qualche modo, non si sarà stabilizzata.
Ma a conferma di una visione non del tutto unitaria all'interno dell'Amministrazione Obama, il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha affermato che la decisione della Casa Bianca riguardo all'invio di unità supplementari non può più essere rimandata. Secondo il capo del Pentagono, qualunque scenario emergerà a Kabul, sarà "un processo evolutivo". Ed è in questo contesto - ha sottolineato Gates - che il presidente degli Stati Uniti dovrà fare la sua scelta.

 

(© L'Osservatore Romano 21 ottobre 2009)