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Di fronte ai rischi della rivoluzione biotecnologica

Anche gli economisti hanno diritto
all'obiezione di coscienza


di Ettore Gotti Tedeschi

Tre fattori interdipendenti suscitano attualmente preoccupazione per il futuro stesso della nostra civiltà. Il primo è l'esigenza di risolvere al più presto la crisi economica; il secondo è l'opportunità, ma anche il rischio, offerti dalla rivoluzione biotecnologica come strumento di soluzione della crisi; il terzo risiede nella competizione tra Nazioni per conquistare la leadership nel nuovo settore trainante delle biotecnologie.
Riguardo al primo punto appare evidente che, dopo avere ignorato le vere origini della crisi economica - cioè il crollo della natalità e lo sviluppo insostenibile - perché considerate di ordine morale e quindi non condivise, si sta cercando di produrre soluzioni creative per riavviare il ciclo economico ed evitare che in tempi brevi si possano produrre nuovi squilibri di potere, come quello che si sta generando tra Asia e America.
Il secondo problema - relativo alla biotecnologia - rappresenta un elemento realmente rivoluzionario nelle relazioni economiche e morali. La biotecnologia può essere il motore per uscire dalla crisi economica, ma con il rischio di relativizzarne la dimensione etica. La gestione disinvolta e affrettata delle promesse di benessere e salute, che la cosiddetta scienza per la vita sta facendo balenare, potrà diventare presto una componente di piani economici di risanamento e sviluppo.
È infatti ormai evidente l'opportunità di sviluppare attività produttive, basate sulla biotecnologia, con prospettive di crescita enormi in vari settori economici legati alla soddisfazione di bisogni di base:  cibo, energia, salute. Così la rivoluzione biotecnologica può sviluppare una Silicon Valley fatta di centri tecnologici di scienza per la vita - utili all'uomo, all'ambiente e di conseguenza anche al prodotto interno lordo - accelerando pertanto la soluzione della crisi economica. E ciò potrebbe anche essere un bene.
Ma la rivoluzione biotecnologica, oltre a produrre elementi e risorse altrimenti scarsi in natura - si pensi al petrolio - ha dimostrato di essere in grado di modificare la materia e la struttura genetica e di potere produrre sinteticamente organismi biologici. Con l'illusione di comprendere il segreto della vita, di poterla programmare e persino costruire.
Se ciò avvenisse si andrebbe oltre la fase di selezione e modifica di organismi viventi per uso umano. La capacità di trasferire geni da un organismo all'altro e di produrre ogni cosa per sintesi potrebbe infine annullare la percezione della differenza tra l'intervento a favore della salute dell'uomo e quello volto alla creazione di vita artificiale. E questo sicuramente non sarebbe un bene.
La terza questione spiega proprio perché questa pericolosa tentazione può diventare molto forte. In questa fase si sta infatti avviando la competizione per la leadership mondiale nel nuovo assetto geopolitico generato dalla crisi. È una competizione che probabilmente si svilupperà proprio nella ricerca di affermazione nel settore biotecnologico.
Verrebbero così relativizzati ancora di più i criteri morali di valutazione su cosa sia utile e giusto per l'uomo e, in alcune Nazioni, potrebbe perfino nascere la tentazione di correggere la Bibbia per dare giustificazione a queste scelte. È ormai chiaro che da questa crisi si uscirà anche attraverso la rivoluzione biotecnologica. Il pericolo è però che non ci si limiti alla prudente soddisfazione delle esigenze dell'uomo, ma che, per sete di potere, ci si spinga sino a confondere le verità sulla vita umana stessa. E di fronte a questo rischio anche l'economista ha diritto all'obiezione di coscienza.

 

(© L'Osservatore Romano 28 ottobre 2009)