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La strategia di Obama e il gioco delle alleanze

Risiko afghano


di Gabriele Nicolò

L'invio di trentamila rinforzi statunitensi in Afghanistan, annunciato dal presidente Barack Obama, è solo un aspetto, per quanto significativo, di un più ampio scenario in cui si misura la solidità degli equilibri mondiali. Nei giorni precedenti all'annuncio della nuova strategia - avvenuto martedì sera nell'accademia militare di West Point - Obama aveva intensificato i contatti con gli alleati per ottenere garanzie circa l'invio di forze supplementari, quantificabili intorno alle diecimila unità. Da tempo il generale Stanley McChrystal, comandante delle truppe americane e Nato in Afghanistan, sollecitava l'invio di quarantamila soldati per piegare la strenua resistenza dei talebani e degli uomini di Al Qaeda:  ora il capo della Casa Bianca chiede agli alleati di colmare la differenza.
Ma non tutti i Paesi dimostrano slancio nell'accogliere la richiesta:  tra questi Francia e Germania. Così il primo ministro britannico, Gordon Brown, dopo il discorso di Obama a West Point, ha subito rilanciato la richiesta di rinforzi ai Paesi dell'Alleanza Atlantica.
Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha tenuto a sottolineare che la missione in Afghanistan "non è solo americana", e anch'egli ha auspicato che tutti i Paesi dell'Alleanza Atlantica continuino il loro impegno. Un coinvolgimento internazionale è infatti necessario proprio per scongiurare il rischio che quella in Afghanistan venga percepita come una guerra solo americana dalle opinioni pubbliche dell'Asia meridionale, del Vicino e del Medio Oriente. Lo scenario afghano diviene così una cartina al tornasole per sperimentare la solidità delle alleanze all'interno della comunità internazionale, per verificare l'incisività della tanto auspicata strategia del multilateralismo obamiano e per testare la capacità stessa dell'occidente di fare breccia nei serbatoi dell'estremismo islamico. In fondo, come ha ricordato Obama, la guerra in Afghanistan - non voluta dagli Stati Uniti - è tuttora combattuta contro gli autori delle stragi dell'11 settembre.
Nel suo atteso discorso il premio Nobel per la pace 2009 ha assicurato che l'Afghanistan non sarà un nuovo Vietnam, annunciando nello stesso tempo che dal luglio del 2011 comincerà il ritiro dei soldati americani. Ancora maggiore importanza acquista perciò la formazione delle truppe afghane. E quindi il ruolo del Governo del Paese che, per Obama, rappresenta - anche se potrebbe sembrare un paradosso - il primo vero alleato da cercare. Infatti se le autorità afghane non daranno prova di credibilità e trasparenza, sradicando anzitutto la corruzione, ogni sforzo internazionale per uscire dalla crisi rischia di fallire. Obama ne è cosciente e ad Hamid Karzai - in questi giorni impegnato a completare la compagine governativa - ha inviato un chiaro messaggio:  "L'epoca degli assegni in bianco è finita".

 

(© L'Osservatore Romano 3 dicembre 2009)