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Crisi economica e migrazioni

Un piano Marshall
per lo sviluppo globale


di Ettore Gotti Tedeschi

Nel quinto capitolo della Caritas in veritate (n. 62) Benedetto XVI svolge una fondamentale considerazione sulle migrazioni. Spiega che si tratta di un fenomeno mondiale complesso e non facilmente risolvibile da parte di alcun Paese. Ma ricorda soprattutto che il migrante è una persona umana con i suoi diritti. Questo significa riconoscere la dignità superiore di ogni essere umano. Ogni uomo - e quindi ogni migrante - non è cioè un mezzo di produzione, di contribuzione o di consumo, ma un fine.
Da decenni l'Europa è coinvolta dal fenomeno migratorio, e in Italia la questione è sorta da oltre vent'anni, coincidendo negli anni Ottanta con i primi effetti del crollo della natalità. Il numero degli immigrati regolari presenti nel Paese è passato dai cinquecentomila del 1990 agli oltre quattro milioni e mezzo del 2009 - equamente divisi tra comunitari ed extracomunitari - arrivando a superare l'otto per cento della popolazione. In tutto questo tempo, nei fatti, l'Italia ha prevalentemente dimostrato di essere un Paese disponibile all'accoglienza.
Esistono diversi tipi di immigrazione:  c'è quella auspicata per il bisogno di mano d'opera, quella dovuta per scopi umanitari e quella subita in quanto illegale. C'è poi l'immigrazione gestita dai Paesi in rapida espansione economica, che esportano allo stesso tempo attività produttive e mano d'opera. Ma è evidente che l'attuale modello migratorio coincide con due fenomeni principali:  l'esigenza di competitività legata alla globalizzazione e la conseguente necessità di compensare il crollo della natalità. Il rischio che ne consegue è proprio che l'immigrato venga visto come un semplice mezzo di produzione e contribuzione.
Una riflessione speciale merita poi l'immigrazione necessaria a bilanciare l'indisponibilità sempre più diffusa nei Paesi del benessere a svolgere attività considerate socialmente non qualificanti. L'interrogativo che scaturisce allora è quanto sia giusto ed educativo concedere sussidi di disoccupazione a quelle persone che non siano disponibili a queste attività. Per renderle più attraenti sarebbero tra l'altro necessari compensi più alti, dato il crescente costo della vita. Se i salari attuali sono accettati dagli immigrati è solo perché essi sono disposti a vivere in condizioni spesso precarie.
Si assiste così al paradosso di vedere crescere insieme disoccupazione e immigrazione, e senza alcun vantaggio, nemmeno di carattere contributivo. Con il rischio di aggravare la situazione di disoccupazione e di disagio - se la crisi economica globale dovesse continuare - anche nei Paesi più ricchi, che finora hanno assorbito mano d'opera straniera.
Il problema è realmente complesso e non facilmente risolvibile. La soluzione migliore resta quella di sostenere lo sviluppo economico nei Paesi d'origine. Un piano Marshall a favore delle Nazioni più povere segnerebbe infatti una strategia per la stessa soluzione della crisi. È una prospettiva che ha già ricevuto il riconoscimento di esponenti politici internazionali di spicco, come il premier britannico Gordon Brown. Molto gravi potrebbero essere invece le conseguenze di un rifiuto a priori di un piano massiccio di sviluppo, a favore di una compensazione del crollo della natalità tramite l'immigrazione, considerata più conveniente. Già troppe previsioni e troppi piani economici si sono rivelati insostenibili e persino dannosi.