Index   Back Top Print


logo

Quando l'oracolo si chiama speculazione


di Luca M. Possati

Chiamatelo "l'oracolo di Omaha". Classe 1930, Warren Buffet non è soltanto il primo socio della Berkshire Hathaway, ma anche, secondo l'autorevole "Forbes", uno degli uomini più ricchi del mondo. Insieme ad altri tre fondi d'investimento, la Berkshire Hathaway controlla la fetta più importante di Moody's, l'agenzia di rating che, a sua volta, è una società quotata in Borsa con un fatturato annuo che si aggira intorno ai due miliardi di dollari.
Tanti si chiederanno come mai un'agenzia di rating, che in teoria dovrebbe essere un'entità esterna al mercato, e dunque imparziale, sia controllata dagli investitori. Ma il caso di Moody's non è affatto isolato:  la Fitch, che per prima scatenò la bufera su Atene, è gestita al sessanta per cento da una sola holding, la Fimalac, acronimo di Financière Marc de Lacharrière, posseduta al 65,75 per cento da Marc E. Charles Ladreit de Lacharrière, finanziere tra gli uomini più ricchi di Francia. Nel primo trimestre 2010, poco dopo lo scoppio della crisi greca, la Fitch ha registrato un fatturato di 115 milioni di euro (più otto per cento rispetto all'anno prima).
Quello delle agenzie di rating e dei loro metodi di classificazione e valutazione dei titoli obbligazionari è oggi il nodo da sciogliere più complesso nei difficili rapporti tra economia e finanza. Non è un caso che il direttore dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn, abbia invitato a "non credere troppo" ai giudizi, pur riconoscendone l'utilità, e che da più parti si chieda una riforma del settore, ad esempio con un'autorità di vigilanza. Siano giustificate o meno tali valutazioni, resta un fatto degno di nota:  le società di rating vengono pagate non dagli investitori ma da coloro che emettono un'obbligazione. Così, se un Governo vuole ottenere credito, deve sborsare milioni di dollari. Cosa potrebbe chiedere di più uno speculatore?