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Uno studio di Harvard sulla lotta all'Aids

Il Papa
ha ragione

di EMANUELE RIZZARDI

Un comportamento sessuale responsabile e la fedeltà al proprio coniuge sono stati i fattori che hanno determinato il fortissimo calo dell'incidenza dell'Aids nello Zimbabwe. È ciò che sostiene nella sua ultima ricerca Daniel Halperin, ricercatore del dipartimento per la Salute globale e la Popolazione dell'università di Harvard, dal 1998 impegnato a studiare le dinamiche sociali che stanno alla base della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili nei Paesi in via di sviluppo, quelli cioè maggiormente colpiti dal flagello dell'Aids.
Halperin si è servito di dati statistici e di analisi sul campo, come interviste e focus group, che gli hanno permesso di raccogliere testimonianze fin dentro le sacche più disagiate del Paese africano. Il trend degli ultimi dieci anni è evidente: dal 1997 al 2007 il tasso di infezione tra la popolazione adulta è calato dal 29 al 16 per cento. Nella sua indagine Halperin non ha dubbi: la repentina e netta diminuzione dell'incidenza dell'Aids è andata di pari passo con la "riduzione di comportamenti a rischio, come relazioni extraconiugali, con prostitute e occasionali".
Lo studio - pubblicato questo mese su PLoSMedicine.org - è stato finanziato dall'agenzia statunitense per lo Sviluppo internazionale, di cui Halperin è stato consigliere, e dal fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione e lo Sviluppo. Con esso Halperin alimenta una seria e onesta riflessione sulle politiche finora adottate dalle principali agenzie di lotta contro l'Aids nei Paesi in via di sviluppo. Risulta evidente - sostiene lo studioso - che la drastica inversione dei comportamenti sessuali della popolazione dello Zimbabwe "è stata aiutata da programmi di prevenzione sui mass media e da progetti formativi promossi da chiese" e confessioni religiose: veri e propri interventi culturali, con risultati distanti nel tempo, ma più incisivi e duraturi delle sbrigative pratiche della distribuzione di profilattici. Questa considerazione fa il paio con un suo intervento di qualche anno fa in cui si chiedeva come mai gli interventi preventivi "più significativi siano stati finora condotti sulla base di evidenze che risultano estremamente deboli", cioè sull'inefficacia di fatto della fornitura di condom alla popolazione adulta.
Il pensiero non può dunque non andare alle polemiche aspre, pretestuose e non scientifiche - ora è possibile ribadirlo anche con il supporto di questo studio - che seguirono il commento di Benedetto XVI sulla "non soluzione" del preservativo nella lotta contro l'Aids, durante il suo viaggio pastorale in Africa del 2009: "i profilattici sono a disposizione ovunque, ma solo questo non risolve la questione", ricorda il Papa nel libro intervista Luce del mondo.
Sempre di più, quindi, la ricerca scientifica, onesta e distaccata da logiche di vantaggio economico, riconosce che le azioni più efficaci nella lotta contro l'Aids sono quelle come il metodo A, B, C (astinenza, fedeltà e, solo in ultima analisi, utilizzo dei profilattici), adottata con successo in Uganda. La stessa rivista "Science" - come Lucetta Scaraffia ha ricordato su queste colonne - aveva messo in luce che "la parte più riuscita del programma è stata il cambiamento di comportamento sessuale, con una riduzione del 60 per cento delle persone che dichiaravano di avere avuto più rapporti sessuali e l'aumento della percentuale dei giovani fra i 15 e i 19 anni che si astenevano dal sesso". L'adozione del programma ha messo l'Uganda in una posizione esemplare nella lotta all'Aids del continente africano.
In definitiva, secondo lo studio di Halperin, occorre "insegnare a evitare la promiscuità e promuovere la fedeltà", sostenendo quelle iniziative che mirano davvero a costruire nella società toccata dal flagello dell'Aids una nuova cultura. Occorre insomma - come ha detto Benedetto XVI - operare per una "umanizzazione della sessualità".