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Incognite dopo la devastante guerra in Libia

Una primavera verso la democrazia

di GIUSEPPE M. PETRONE

L'anno zero della nuova Libia comincerà dalla formazione di un Governo aperto a tutti dopo la fine di una lotta sanguinosa. Ma la riconciliazione tra le diverse anime del Consiglio nazionale di transizione - per dare l'avvio alla ricostruzione di un Paese devastato da sette mesi di bombardamenti, da sanguinosi combattimenti e da circa un milione di profughi - rappresenta l'impegno più gravoso per le nuove autorità. Una transizione complessa nei confronti della quale la comunità internazionale e gli Stati più esposti hanno il dovere di contribuire in maniera generosa per evitare il rischio di una nuova Somalia nel Mediterraneo.
Il premier russo, Vladimir Putin si è detto "disgustato" dalle immagini viste in televisione sugli ultimi attimi di Gheddafi. La morte del raìs e il ruolo della Nato nell'attacco al convoglio di auto che fuggiva da Sirte, ultima roccaforte del regime caduta in mano alle forze del Consiglio nazionale di transizione, sollevano numerosi interrogativi, ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, sottolineando come anche l'alto commissariato dell'Onu per i diritti umani abbia chiesto un'inchiesta sull'uccisione del colonnello libico. Le risoluzioni 1970 e 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu - ha denunciato il capo della diplomazia del Cremlino - hanno dato il via all'intervento Nato contro Tripoli, "con l'obiettivo di proteggere i civili e non quello specifico di rimuovere Gheddafi". Le risoluzioni in questione sono state approvate con l'astensione proprio della Russia, oltre che della Cina. Le nuove autorità libiche hanno però già riconfermato l'impegno per il rispetto dei contratti con le due grandi compagnie petrolifere russe Gazprom Neft e Tatneft.
Pechino ha sostenuto che nelle guerre combattute in Iraq, Afghanistan e nella stessa Libia "è riconoscibile una tendenza: l'Onu viene coinvolta rapidamente all'inizio, ma quando la situazione evolve gli Stati Uniti e i suoi alleati della Nato occupano la prima linea, lasciando le Nazioni Unite ai margini". Ora la Cina è però "pronta a svolgere un ruolo" nella ricostruzione della Libia, Paese nel quale ha forti investimenti nei settori del petrolio e delle infrastrutture. Sono stati infatti 35.000 i lavoratori cinesi sgomberati nel giro di due settimane all'inizio dei disordini in Libia.
Al posto del dimissionario Mahmoud Jibril il Cnt ha eletto primo ministro - con 26 preferenze su 51 votanti - l'ingegnere Abdel Rahim Al Keeb, il quale ha annunciato un nuovo Esecutivo entro due settimane e ha promesso di rendere i diritti umani una priorità. Adesso che il conflitto sembra finito sarà fondamentale un'opera di riconciliazione tra le oltre cento tribù del Paese, soprattutto tra le quattro principali: i Warfalla, una delle maggiori della Tripolitania che raccoglie oltre un milione di libici; i Ghadafa; i Megarha e gli Zuwayya.
Ora che nel Paese si respira un'aria diversa ci si deve augurare che al popolo siano risparmiate ulteriori violenze dovute a desideri di vendetta. Bisogna inoltre sperare che le tribù raggiungano un accordo finale sulla configurazione del potere. Certo è che la ricostruzione non sarà semplice.
Infatti una primavera non fa una democrazia. La stabilità e l'ordine dovranno essere ripristinati e questo richiede il disarmo del Paese, inondato di armi. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato - su proposta della Russia - una risoluzione sulla non proliferazione delle armi in Libia. E anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in visita a Tripoli, ha esortato le nuove autorità a intraprendere tutte le misure necessarie per impedire la proliferazione delle armi di qualunque tipo. Gli ha fatto eco il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen, affermando che il Cnt deve impedire "la diffusione nel Nord Africa delle armi" che attualmente circolano nel Paese.
Al posto della Nato che ha terminato il 31 ottobre la missione Unified protector, determinante ai fini del conflitto - in 215 giorni, sono state effettuate oltre ventiseimila missioni, inclusi circa diecimila attacchi che hanno distrutto 5.900 bersagli nemici - la comunità internazionale sta vagliando l'invio di una forza multinazionale sotto il comando del Qatar. Con la crisi libica il Qatar è emerso infatti come importante attore, con un ruolo ambizioso e non privo di rischi, ma necessario per gli obiettivi a medio termine dell'emirato che possiede circa il 14 per cento delle riserve mondiali di gas, anche se il giacimento più importante è condiviso con l'Iran. La posta in gioco della partita libica sono le risorse energetiche e anche Teheran - dopo aver fornito aiuti agli insorti del Cnt - vuole aprire una nuova era nei rapporti con la Libia. Ne è prova la missione del ministro degli Esteri iraniano a Tripoli.
Il pericolo di una deriva islamista nel Paese potrà essere scongiurato se la comunità internazionale sarà in grado di aiutare le autorità libiche nella delicata fase di transizione, fornendo aiuti economici e assicurandosi che Tripoli sia un partner affidabile nella lotta al terrorismo e all'estremismo di matrice islamica.