Sono già emerse proposte pastorali concrete allo scadere della prima settimana di lavori sinodali, ma quel che più conta, in attesa delle conclusioni, è l'animo prevalente nei padri sinodali e negli altri partecipanti ai lavori. Parole misurate, ma chiare che confermano la partenza con il piede giusto per un compito non semplice affidato dal Papa. La nuova evangelizzazione è da lui intesa come orientata principalmente alle persone battezzate che si sono allontanate dalla Chiesa e vivono senza più riferirsi alla prassi cristiana. Come dire: lanciare un progetto per rivitalizzare la fede nei paesi di antica cristianità senza rinunciare ad annunciare il vangelo a coloro che ancora non conoscono Cristo. La Chiesa in questo compito non è chiamata tanto a fare, a strutturarsi in forme sociologicamente più efficaci, quanto piuttosto a far conoscere ciò che Dio ha fatto e, quindi, anzitutto pregarlo. La preghiera infatti è la condizione indispensabile per aprire in questo modo, quasi con un filo diretto, una nuova pentecoste e capire dove Dio vuole guidare la sua Chiesa. Davanti ai padri sinodali radunati nella concelebrazione solenne di apertura, Benedetto XVI ha premesso che l'unica prospettiva di riuscita dei lavori è fissare lo sguardo sul Signore Gesù, ripetendo con disarmante chiarezza che il Crocifisso, quale segno di amore e di pace, appello alla conversione e alla riconciliazione, è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo.
Il sinodo pare finora rispondere bene a questa dinamica messa in moto dal Pontefice.
Nei tanti interventi non vi è traccia di trionfalismo, ma è presente una percezione diffusa dei limiti in ogni campo di azione pastorale, di impegno culturale e sociale della Chiesa intesa come comunione, popolo di Dio costituito di chierici e laici. La primaria responsabilità nell'affievolirsi della fede nei paesi di più antica cristianità è dovuta anzitutto alla frammentaria responsabilità degli stessi cristiani, deboli nella testimonianza perché meno a conoscenza e meno convinti dell'annuncio.
Moltissimi tra gli interventi registrati nella prima settimana di lavori pongono l'urgenza di riconoscere a Gesù Cristo il primo posto nella vita ordinaria delle comunità cristiane. E si avverte allo stesso tempo un senso di pentimento per le omissioni, per le colpe individuali e collettive che hanno contribuito ad appannare la fede cristiana.
Nello stile del concilio Vaticano II, gli interventi situano i lavori sinodali entro il cammino dei nostri contemporanei senza nostalgia del passato, per riuscire così a portare nuovamente la luce di Dio e ritrovare - per dirla con uno dei padri sinodali - la forza propulsiva del Vangelo che sembra divenuta flebile agli occhi dei uomini d'oggi.
Suggestive alcune immagini usate nell'aula sinodale per rendere la nuova evangelizzazione moderna ed efficace: la fede intesa come stile di vita che avvicina agli altri; cambiare la mentalità che la fede sia un'appartenenza a una fazione sociologica militante e violenta; ripartire da Gerusalemme, dove la prima comunità cristiana si ancorò a Cristo avendo una causa per la quale era disposta ad affrontare ogni sacrificio e il dono della vita stessa.
Chiedersi, in altri termini, quanti cristiani oggi sarebbero disposti anche a morire per Gesù Cristo. Una domanda che riecheggia quelle fondamentali rivolte da Paolo VI alla Chiesa riunita in concilio: Chiesa che dici di te? Che dici di Cristo?. Domande ancora attuali per dare senso all'evangelizzazione.c.d.c.