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Il dibattito in Francia sulle cure palliative

Diritti e fine della vita

di Ferdinando Cancelli

Il 18 dicembre 2012 il professor Didier Sicard ha reso noto il suo rapporto intitolato "pensare in modo solidale la fine della vita", frutto del lavoro di riflessione sulla fase finale della vita che gli era stata affidata dal presidente della Repubblica francese pochi mesi prima. È di alcuni giorni fa la diffusione dell'analisi che su tale rapporto è stata fatta dalla società francese di accompagnamento e cure palliative, la Sfap. Tale analisi è anche seguita, come si legge nel titolo del documento, da alcune proposte per "meglio rispondere alle inquietudini dei cittadini".
Considerando che la Sfap riunisce i migliori esperti di medicina palliativa in Francia, l'analisi in poche pagine offre la possibilità di comprendere alcuni punti nodali della bioetica di fine vita spiegati direttamente dagli addetti ai lavori. Ciò che sembra emergere è un quadro a tinte fosche. Le ombre sono quelle di una medicina palliativa ancora poco insegnata nelle università, che stenta a raggiungere la dignità di una specialità, una branca della medicina quindi poco conosciuta da medici e pazienti, applicata sul territorio in modo assolutamente diseguale da regione a regione. In altre parole quella parte della medicina che davvero potrebbe aiutare a terminare la propria vita in piena dignità, senza prolungarla né abbreviarla ma semplicemente curando e accompagnando fino all'ultimo giorno il malato e la famiglia è come se fosse in alcuni casi sconosciuta.
I riflettori sono puntati altrove, in particolare sulla sempre più pressante richiesta di leggi che autorizzino il suicidio assistito. Proprio su quest'ultimo si leggono nell'analisi alcune riflessioni interessanti. Innanzitutto viene rilevato "un paradosso nell'utilizzazione dei termini": di quale "assistenza" si tratterà in materia di suicidio? Assistenza medica? Ma la storia della medicina parla chiaro: mai una procedura per la morte è stata eticamente accettabile per il bagaglio etico del medico. Un'assistenza farmacologica? Ma anche in questo caso, almeno in una fase prescrittiva, un medico dovrebbe partecipare. Oppure sarebbe più corretto - continua la Sfap - parlare di "suicidio fisicamente assistito" pensando alle persone che non potrebbero da sole somministrarsi la dose letale di farmaco?
E poi le perplessità giuridiche: il diritto punisce l'istigazione al suicidio ma "è facile distinguere l'assistenza al suicidio dall'istigazione allo stesso"? E ancora "fino a che punto chi non fa nulla per impedire un suicidio non dovrebbe essere perseguito per omissione di soccorso nei confronti di una persona in pericolo?". I dubbi e le perplessità continuano ad aumentare mano a mano che ci si addentra nelle questioni connesse a tale pratica: quali i luoghi più adatti per morire? Quando una malattia è davvero in fase terminale? Potrà mai un medico essere obbligato ad "assistere" qualcuno non in grado di suicidarsi da solo?
La società francese di accompagnamento e cure palliative sottolinea che "una politica focalizzata sulla creazione di nuovi diritti non modificherà in modo significativo le condizioni del vivere e del morire quando si è affetti da una malattia grave" mentre solo la promozione a tutti i livelli di un approccio umano e globale al malato sarà in grado di farlo. È come se, non solo in Francia, si stesse cercando di puntare negli occhi di gran parte dell'opinione pubblica un faro accecante per evitare che si possa scorgere una luce più modesta ma più adatta a occhi umani, la sola veramente in grado di rischiarare almeno in parte un difficile cammino.