La riforma conciliare e il sacramento della Riconciliazione

La dimensione personale e sociale del peccato


Mercoledì 14 gennaio si conclude a Roma a Palazzo della Cancelleria il simposio "La Penitenzieria Apostolica e il sacramento della penitenza". Pubblichiamo un estratto dell'intervento dedicato a "La riforma conciliare e il sacramento della "riconciliazione e della penitenza"" e - a destra - stralci della relazione inviata dal cardinale segretario di Stato impegnato in questi giorni in Messico per il vi Incontro Mondiale delle Famiglie.

di Angelo Maffeis

Nel 1983 la pubblicazione del Codice di Diritto Canonico segna il compimento del processo di revisione della disciplina canonica della Chiesa latina. Nello stesso anno la penitenza è posta al centro dell'attenzione dei lavori della vi Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, dedicata al tema:  "La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa".
La relazione introduttiva, tenuta dal cardinale Carlo Maria Martini, richiama in primo luogo l'ampiezza del tema scelto per il sinodo che, da una parte, invita a considerare le divisioni e le tensioni presenti nella società contemporanea e l'opera di riconciliazione alla quale la Chiesa è chiamata, mentre, dall'altra, nella linea di quanto aveva affermato la Costituzione pastorale Gaudium et spes (numero 10), ricorda che le divisioni hanno la loro radice ultima nel cuore dell'uomo e nel peccato che da esso nasce. In quanto sacramento dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (cfr. Lumen gentium numero 1), la Chiesa è chiamata a operare nella società contemporanea per la riconciliazione di tutta l'umanità. Compito del sinodo - sottolinea il relatore - è chiarire il nesso tra la conversione personale e la riconciliazione nella società, così che anche il significato del sacramento della penitenza possa essere meglio compreso in relazione alla riconciliazione del mondo. I lavori del sinodo devono perciò contribuire alla chiarificazione del rapporto tra dimensione personale e sociale del peccato e, sul piano pastorale, del rapporto tra sacramento della penitenza ed eucaristia e tra celebrazione individuale e comunitaria della penitenza.
Nel corso del dibattito numerosi padri rilevano che la riforma del rito della penitenza non ha prodotto l'auspicato rinnovamento, come appare evidente dalla crisi della confessione individuale e dagli abusi nel ricorso all'assoluzione generale. Riguardo a quest'ultimo tema, si registrano posizioni diverse circa il rigore con cui debbono essere intese e applicate le condizioni previste dal Codice per l'assoluzione generale. A chiarire i presupposti della disciplina vigente circa l'assoluzione generale, il 6 ottobre 1983 interviene nell'assemblea sinodale il cardinale Joseph Ratzinger, il quale richiama il contenuto delle Norme pastorali pubblicate nel 1972 dalla Congregazione per la dottrina della fede e ribadisce il fondamento su cui si basa la limitazione a casi straordinari della possibilità di impartire l'assoluzione generale. La disciplina vigente è fondata sulla dottrina tridentina secondo cui "l'elemento "confessione personale" è intrinsecamente necessario, come fu definito dal Concilio Tridentino (de iure divino)". Lo ius divinum della necessità della confessione dei singoli peccati mortali non è dunque da intendere come un obbligo di carattere puramente disciplinare, ma corrisponde alla natura teologica del sacramento. Questo dato dogmatico è inoltre coerente con la struttura antropologica della colpa e con la struttura dell'economia divina della salvezza che si concretizza nel sacramento della penitenza e nella sua insuperabile dimensione personale.
Il tema dell'assoluzione generale ritorna anche nei circuli minores, i cui partecipanti riconoscono in genere la validità delle norme vigenti circa l'assoluzione generale. In alcuni casi, tuttavia, le relazioni dei lavori registrano una divergenza di opinioni tra chi ritiene valida la normativa in vigore e chi ritiene che le condizioni richieste per l'assoluzione generale debbano essere meno stringenti. Alcuni circuli, riconoscendo i vantaggi pastorali che l'uso della terza forma rituale presenta, chiedono di allargare le condizioni stabilite dal nuovo Codice e propongono di superare la prescrizione della successiva confessione individuale dei peccati gravi. Altri, infine, chiedono una maggiore flessibilità nell'Ordo paenitentiae e possibilità di adattamento alle esigenze locali analoghe a quelle concesse per la celebrazione eucaristica.
Nell'esortazione apostolica postsinodale Reconciliatio et paenitentia Giovanni Paolo ii offre una sintesi dei risultati dei lavori sinodali e pone al tempo stesso alcune accentuazioni nuove rispetto al dibattito, mettendo in rilievo in particolare la dinamica antropologica personale della conversione, che deve trovare espressione nella confessione del peccato nel sacramento della penitenza. Su questi temi, l'esortazione apostolica riprende gli spunti contenuti nel documento sulla penitenza preparato dalla Commissione teologica internazionale in vista del Sinodo dei vescovi.
L'esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia richiama l'attenzione sulle lacerazioni che affliggono il mondo e le cui conseguenze si fanno spesso sentire anche nella Chiesa e sulla missione affidata alla Chiesa di operare efficacemente a servizio della riconciliazione. Poiché tuttavia le lacerazioni del mondo e della società hanno nel cuore umano la loro radice, la Chiesa deve anzitutto chiamare l'uomo alla conversione e al rinnovamento interiore. "La riconciliazione si fa necessaria, perché c'è stata la rottura del peccato, dalla quale sono derivate tutte le altre forme di rottura nell'intimo dell'uomo e intorno a lui" (Reconciliatio et paenitentia 4).
L'esortazione apostolica insiste sulla dimensione ecclesiale della riconciliazione, espressa nella formula che definisce la Chiesa "sacramento di riconciliazione" per il mondo (cfr. Reconciliatio et paenitentia 11). Con uguale forza mette in rilievo il carattere personale della riconciliazione, che non si realizza senza la dinamica antropologica personale della conversione. Il peccato infatti è sempre anzitutto personale e solo in senso derivato è possibile parlare di un peccato sociale, anche se è vero che nessun peccato "anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale" riguarda esclusivamente colui che lo commette perché "ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull'intera famiglia umana" (Reconciliatio et paenitentia 16).
Questa concezione del rapporto tra dimensione personale e sociale del peccato ispira anche le indicazioni proposte dall'esortazione apostolica per la pastorale del sacramento della penitenza. In esso si realizza un aspetto essenziale della missione riconciliatrice della Chiesa, la quale deve svolgersi "secondo quell'intimo nesso, che raccorda strettamente il perdono e la remissione del peccato di ciascun uomo alla fondamentale e piena riconciliazione dell'umanità, avvenuta con la redenzione. Questo nesso ci fa capire che, essendo il peccato il principio attivo della divisione (...) soltanto la conversione dal peccato è capace di operare una profonda e duratura riconciliazione dovunque sia penetrata la divisione" (Reconciliatio et paenitentia 23). È chiaramente riconoscibile nel testo l'intenzione di mettere in risalto la dinamica anzitutto antropologica e personale del sacramento della penitenza, anche se la dimensione ecclesiale e comunitaria non è in alcun modo negata e costituisce anzi un aspetto innegabile del sacramento. Dal punto di vista della gerarchizzazione degli effetti del sacramento della penitenza, l'accostamento paratattico della riconciliazione con Dio e della Chiesa proposto in Lumen gentium 11, cede il posto all'indicazione della riconciliazione con Dio come effetto principale del sacramento, cui seguono anche altri effetti.
"È da sottolineare, poi, che il frutto più prezioso del perdono ottenuto nel sacramento della penitenza consiste nella riconciliazione con Dio, la quale avviene nel segreto del cuore del figlio prodigo e ritrovato, che è ciascun penitente. Ma bisogna aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per così dire, altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture, causate dal peccato:  il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo aggrediti e  lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato" (Reconciliatio et paenitentia 31, V).
Questa visione della dinamica del sacramento della penitenza si riflette anche nelle considerazioni relative alle tre forme rituali proposte dall'Ordo paenitentiae del 1973.
"La prima forma - riconciliazione dei singoli penitenti - costituisce l'unico modo normale e ordinario della celebrazione sacramentale, e non può né deve essere lasciata cadere in disuso o essere trascurata. La seconda - riconciliazione di più penitenti con confessione e assoluzione individuale -, anche se negli atti preparatori permette di sottolineare di più gli aspetti comunitari del sacramento, raggiunge la prima forma nell'atto sacramentale culminante, che è la confessione e l'assoluzione individuale dei peccati, e perciò può essere equiparata alla prima forma per quanto riguarda la normalità del rito. La terza, invece - riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione generale - riveste un carattere di eccezionalità, e non è, quindi, lasciata alla libera scelta, ma è regolata da un'apposita disciplina" (Reconciliatio et paenitentia 32).
Si deve notare come la seconda forma sia ricondotta di fatto alla prima perché coincide con la penitenza individuale "nell'atto sacramentale culminante". Trova perciò conferma la difficoltà, motivata dagli abusi nel ricorso all'assoluzione generale, a vedere nella seconda forma un modo in cui la celebrazione liturgica comunitaria della penitenza ne rende visibile con maggiore evidenza la dimensione ecclesiale. Le indicazioni, che pure non mancano, circa i vantaggi della seconda forma, non riescono a dissipare l'impressione che si tratti di una "preparazione" utile, ma abbastanza estrinseca rispetto al momento propriamente sacramentale.
Il percorso proposto documenta lo sforzo compiuto nella fase di attuazione  delle  indicazioni  del  Vaticano II per rinnovare la celebrazione del sacramento della penitenza e per dare più chiara espressione al carattere ecclesiale della conversione personale del peccatore. Assieme ai risultati positivi conseguiti, bisogna riconoscere anche la difficoltà che la conciliazione e la ricerca dell'equilibrio tra la dimensione ecclesiale e personale della penitenza ha in alcuni casi incontrato. Una delle peculiarità del sacramento della penitenza consiste infatti nell'inserire l'elemento originariamente personale del pentimento e della conversione in un quadro ecclesiale nel quale si compie un'azione sacramentale volta a ristabilire la pienezza della comunione del penitente con Dio e con la Chiesa. Più che la definizione teorica del rapporto tra elemento antropologico ed ecclesiale nel sacramento della penitenza, nel periodo postconciliare al centro dell'attenzione si trova la ricerca di una figura concreta del sacramento che esprima debitamente l'unità tra i due aspetti, senza cedere a semplificazioni riduttive che eliminano l'impegno personale o isolano il penitente dalla comunità ecclesiale.



(©L'Osservatore Romano 15 gennaio 2009)
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