Come Pio XI spiegò ai suoi parroci i Patti lateranensi

Con quel tanto di corpo
che basta per tenersi unita l'anima


Pubblichiamo alcuni stralci del lungo discorso che Pio XI tenne l'11 febbraio 1929 ai parroci e ai predicatori del periodo quaresimale.

E ora accenniamo a quell'altra circostanza che Ci fa tanto più cara ed opportuna la vostra assistenza e che rende questa adunanza ben altrimenti memorabile e storica che non per le circostanze pur belle e solenni del settimo anniversario dell'incoronazione e dell'anno giubilare. Proprio in questo giorno, anzi in questa stessa ora, e forse in questo preciso momento, lassù nel Nostro Palazzo del Laterano (stavamo per dire, parlando a parroci, nella Nostra casa parrocchiale) da parte dell'Eminentissimo Cardinale Segretario di Stato come Nostro Plenipotenziario e da parte del Cavaliere Mussolini come Plenipotenziario di Sua Maestà il Re d'Italia, si sottoscrivono un Trattato ed un Concordato. (...)
Non vi aspetterete ora da Noi i particolari degli accordi oggi firmati:  oltre che il tempo, non lo permetterebbero i delicati riguardi protocollari, non potendosi chiamare quegli accordi perfetti e finiti, finché alle firme dei Plenipotenziari, dopo gli alti suffragi e colle formalità d'uso, non seguano le firme, come suol dirsi, sovrane:  riguardi che evidentemente ignorano o dimenticano coloro che attendono per domani la Nostra benedizione solenne "Urbi et orbi" dalla loggia esterna della Basilica di San Pietro.
Vogliamo invece solo premunirvi contro alcuni dubbi e alcune critiche che già si sono affacciati e che probabilmente avranno più largo sviluppo a misura che si diffonderà la notizia dell'odierno avvenimento, affinché voi, a vostra volta, abbiate a premunire gli altri. Non conviene che portiate queste cose, come suol dirsi, in pulpito; anzi, non dovete portarvele per non turbare l'ordine prestabilito alla vostra predicazione; ma anche all'infuori di questa, molti verranno a voi, sia per trarre particolare profitto dalla vostra eloquenza, con conferenze e simili, sia per avere anche sull'attuale argomento pareri tanto più autorevoli ed imparziali quanto più illuminati.
Dubbi e critiche, abbiamo detto; e Ci affrettiamo a soggiungere che, per quel che Ci riguarda personalmente, Ci lasciano e lasceranno sempre molto tranquilli, benché, a dir vero, quei dubbi e quelle critiche si riferiscano principalmente, per non dire unicamente, a Noi, perché principalmente, per non dire unicamente e totalmente, Nostra è la responsabilità, grave e formidabile invero, di quanto è avvenuto e potrà avvenire in conseguenza. (...)
Le critiche si divideranno in due grandi categorie. Gli uni diranno che abbiamo chiesto troppo, gli altri troppo poco. Forse alcuni troveranno troppo poco di territorio, di temporale. Possiamo dire, senza entrare in particolari e precisioni intempestive, che è veramente poco, pochissimo, il meno possibile, quello che abbiamo chiesto in questo campo:  e deliberatamente, dopo aver molto riflettuto, meditato e pregato. (...) Volevamo mostrare in un modo perentorio che nessuna cupidità terrena muove il Vicario di Gesù Cristo, ma soltanto la coscienza di ciò che non è possibile non chiedere; perché una qualche sovranità territoriale è condizione universalmente riconosciuta indispensabile ad ogni vera sovranità giurisdizionale:  dunque almeno quel tanto di territorio che basti come supporto della sovranità stessa; quel tanto di territorio, senza del quale questa non potrebbe sussistere, perché non avrebbe dove poggiare. Ci pare insomma di vedere le cose al punto in cui erano in san Francesco benedetto:  quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l'anima. Così per altri Santi:  il corpo ridotto al puro necessario per servire all'anima e per continuare la vita umana, e colla vita l'azione benefica. Sarà chiaro, speriamo, a tutti, che il Sommo Pontefice proprio non ha se non quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l'esercizio di un potere spirituale affidato ad uomini in beneficio di uomini; non esitiamo a dire che Ci compiacciamo che le cose stiano così; Ci compiacciamo di vedere il materiale terreno ridotto a così minimi termini da potersi e doversi anche esso considerare spiritualizzato dall'immensa, sublime e veramente divina spiritualità che è destinato a sorreggere ed a servire.
Vero è che Ci sentiamo pure in diritto di dire che quel territorio che Ci siamo riservati e che Ci fu riconosciuto è bensì materialmente piccolo, ma insieme è grande, il più grande del mondo, da qualunque altro punto di vista lo si contempli.
Quando un territorio può vantare il colonnato del Bernini, la cupola di Michelangelo, i tesori di scienza e di arte contenuti negli archivi e nelle biblioteche, nei musei e nelle gallerie del Vaticano; quando un territorio copre e custodisce la tomba del Principe degli Apostoli, si ha pure il diritto di affermare che non c'è al mondo territorio più grande e più prezioso (...)
Altri invece diranno, anzi hanno già detto od accennato, che abbiamo chiesto troppo in altro campo:  si capisce, e vogliamo dire nel campo finanziario. Forse si direbbe meglio nel campo economico, perché non si tratta qui di grandi finanze statali, ma piuttosto di modesta economia domestica.
A costoro vorremmo rispondere con un primo riflesso:  se si computasse, capitalizzando, tutto quello di cui fu spogliata la Chiesa in Italia, arrivando fino al Patrimonio di San Pietro, che massa immane, opprimente, che somma strabocchevole si avrebbe? Potrebbe il Sommo Pontefice lasciar credere al mondo cattolico di ignorare tutto questo? Non ha egli il dovere preciso di provvedere, per il presente e per l'avvenire, a tutti quei bisogni che da tutto il mondo a lui si volgono e che, per quanto spirituali, non si possono altrimenti soddisfare che col concorso di mezzi anche materiali, bisogni di uomini e di opere umane come sono?
Un altro riflesso non sembrano fare quei critici:  la Santa Sede ha pure il diritto di provvedere alla propria indipendenza economica, senza la quale non sarebbe provveduto né alla sua dignità, né alla sua effettiva libertà. Abbiamo fede illimitata nella carità dei fedeli, in quella meravigliosa opera di provvidenza divina che ne è l'espressione pratica, l'Obolo di San Pietro, la mano stessa di Dio che vediamo operare veri miracoli da sette anni in qua. Ma la Provvidenza divina non Ci dispensa dalla virtù di prudenza né dalle provvidenze umane che sono in Nostro potere. E troppo facilmente si dimentica che qualunque risarcimento dato alla Santa Sede evidentemente non basterà mai a provvedere se non in piccola parte a bisogni vasti come il mondo intero, come al mondo intero si estende la Chiesa cattolica:  bisogni sempre crescenti, come sempre crescono con gigantesco sviluppo le opere missionarie raggiungendo i più lontani paesi; senza dire che anche nei paesi civili, in Europa, in Italia, - qui specialmente, dopo le spoliazioni sofferte - sono incredibilmente numerosi e non meno incredibilmente gravi, e tali bene spesso da muovere al pianto, i bisogni delle persone, delle opere e delle istituzioni ecclesiastiche, anche le più vitali, che ricorrono, Noi lo sappiamo, per aiuto alla Santa Sede, al Padre di tutti i fedeli.



(©L'Osservatore Romano 11 febbraio 2009)
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