Splendori e sventure del santuario della Madonna della Misericordia di Macerata

Più che la peste e la mitraglia poterono le buone intenzioni


di Antonio Paolucci

Sub tuum presidium confugimus, sancta Dei genitrix... Queste parole, incipit della preghiera forse più antica alla Vergine Maria, sono il filo rosso che attraversa la storia di una città e di un popolo. Queste stesse parole danno titolo al volume che ha per argomento il santuario della Madonna della Misericordia a Macerata (Autori Vari, Sub tuum Presidium, Azzano San Paolo, Bolis, 2008, pagine 264, euro 40). La presentazione dell'opera è avvenuta nella città marchigiana il 24 aprile, presenti il vescovo Claudio Giuliodori, il rettore del Santuario monsignor Domenico Foglia, le autorità cittadine, gli autori, il presidente della Fondazione della locale Cassa di Risparmio finanziatrice della pubblicazione edita da Bolis di Bergamo.
Il libro è la storia di una chiesa qualificata nella sua immagine attuale come un capolavoro del Settecento italiano dentro una città che in quel secolo - fa bene la soprintendente Lorenza Mochi Onori a ricordarcelo in introduzione - fu una vera e propria capitale delle arti.
Il libro è, allo stesso tempo, la storia di una devozione mariana che ha attraversato impavida poco meno di seicento anni ed è ancora oggi ben viva se i denari del popolo maceratese governati dalla Fondazione della Cassa di Risparmio sono stati investiti in un'opera che chiede di essere letta come un vero e proprio "offertorio". Come l'omaggio cioè di una intera città alla sua protettrice.
Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che questa sia un'opera agiografica, devozionale, come tante se ne incontrano, nella letteratura religiosa. Al contrario questo è un libro rigorosamente scientifico che elabora e interpreta centinaia di documenti in gran parte inediti, entra come un endoscopio nella storia di un edificio sacro e nella cultura della società che lo ha voluto, chiama in causa architetti, artisti, artigiani, committenti, benefattori, personalità civili ed ecclesiastiche, vicende della cronaca e della storia. I curatori del volume fanno tutti insieme una eletta schiera di autorevoli studiosi la cui professione è quella di storici dell'architettura, di storici dell'arte, di specialisti d'archivio, di storici senza altre specificazioni.
Ed ecco minuziosamente ricostruita nei primi due capitoli da Egidio Pietrella e da Stefano D'Amico la vicenda religiosa ed edilizia del venerabile santuario. All'inizio c'è la minuscola chiesa, poco più di una capanna votiva costruita in un solo giorno il 15 Agosto del 1447 in tempore pestis. Solo nel 1497 si può parlare di un edificio che ha assunto dignità e dimensioni di vera e propria chiesa. Intanto cresceva in città la devozione alla Vergine protettrice ad repellendas calamitates. Sono gli anni difficili del Cinquecento, del Seicento, del Settecento, secoli funestati da pestilenze, carestie, terremoti come quello terribile del 1703. La solenne incoronazione dell'immagine della Vergine è del 1721. Pochi anni dopo (1734) per munifico intervento del nobile cittadino Guarniero Marefoschi, vediamo all'opera l'architetto Vanvitelli e con lui e dopo di lui i pittori Francesco Mancini e Sebastiano Conca. La ecclesia parva, Santa Maria "la cicarella" - cioè graziosa e piccolina nel dialetto locale - diventa il festoso teatrino barocco-rococò che conosciamo.
La storia non ha risparmiato sventure al santuario dei maceratesi saccheggiato dalle truppe francesi nel 1797, mitragliato nel 1944 durante il passaggio del fronte. Ma né i soldati di Napoleone, né i paracadutisti della divisione Goering, fecero danni irreparabili come quelli prodotti dai maceratesi stessi. Nel 1959 l'architetto Giulio Pediconi inaugurava l'edificio che, nato come orfanotrofio, è oggi conosciuto come Casa del Clero. Le intenzioni erano buone, pessimo il risultato poiché quell'intervento distrusse la sagrestia vanvitelliana e alzò alle spalle del santuario una quinta architettonica fuori scala e del tutto incongrua. Dalle buone intenzioni allo scempio architettonico e urbanistico:  perfetto esempio di eterogenesi dei fini.
Torniamo al volume che continua con gli importanti capitoli centrali curati da Silvia Blasio e dedicati ai tesori d'arte che il Santuario, per nostra fortuna, ancora conserva. Un enigma attributivo resta la tela dell'altare maggiore con la Vergine che apre il mantello a coprire il popolo dei suoi fedeli, avendo alla sua destra i santi Andrea e Giuliano, i taumaturghi Rocco e Sebastiano a sinistra.
L'epoca di esecuzione del dipinto si colloca fra il primo e il secondo decennio del XVI secolo. L'autore è un portato della cultura prospettica rinascimentale lombarda miscelata con i ritmi centro italiani. Immaginate lo stile dello Zenale, di Bergognone, di Joannes Hispanus, che si confronta con quello di Perugino e avrete la notevole e anonima personalità pittorica che oggi non possiamo nominare diversamente che Maestro del Santuario della Madonna della Misericordia di Macerata.
Ben conosciuti e minuziosamente documentati sono invece i pittori che hanno onorato la venerata immagine cinquecentesca con gli affreschi e le tele che accompagnarono la ristrutturazione del Vanvitelli. Il marchigiano di Sant'Angelo in Vado Francesco Mancini portò negli affreschi e negli ovati con gli episodi salienti della vita di Maria la grazia leggera del suo maestro Cignani. Mentre Sebastiano Conca, principe dell'Accademia di San Luca e artista di internazionale fortuna, nelle due tele con la Natività della Vergine (1741) e l'Immacolata Concezione divulgò il gran verbo della Roma di Carlo Maratta quando il colorato movimento rococò già sterzava verso precoci eleganze neoclassiche. Grazie alla munificenza di Guarniero Marefoschi il santuario della Madonna della Misericordia è arrivato fino a noi come una squisita antologia del più raffinato Settecento pittorico maceratese, degno di stare alla pari con la contemporanea Galleria di Palazzo Bonaccorsi gremita di dipinti del Solimena, del Del Sole, del De Matteis, dello stesso Mancini.
Anche il Novecento ha lasciato presenze significative nel Santuario della Madonna della Misericordia con le vetrate policrome del Picchiarini, con la porta bronzea del Cantalamessa e, soprattutto, con il ciclo affrescato da Biagio Biagetti (1921). Sono storie della Passione di Cristo realizzate con tecnica puntinistica e ispirate al neoprimitivismo misticheggiante di Maurice Denis e di Puvis de Chavannes.
Infine a Gabriele Barucca della Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici delle Marche, dobbiamo la pubblicazione del tesoro del santuario:  le molte cose che ancora si conservano - reliquiari, arredi sacri, oreficerie liturgiche - e le moltissime che non ci sono più, rapinate e saccheggiate in più occasioni. Rimane a questo proposito commovente, il verbale del canonico Francesco Narducci che il 19 Febbraio 1797 consegna ai commissari di Napoleone vincitore a Tolentino e prossimo sequestratore dei tesori dei Musei Vaticani, quantità impressionanti di argenti destinati alla fusione.
Conclude il volume l'imponente regesto documentario curato da Laura Moccheggiani.
È il prezioso tesoro di notizie, a una a una scrutinate e certificate, che hanno permesso di ricostruire la storia di un santuario e di un popolo attraverso sei secoli.



(©L'Osservatore Romano 26 aprile 2009)
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