La visione del mondo di Ermanno Olmi nel suo ultimo documentario

Politica e poesia
per salvare la Terra


di Gaetano Vallini

C'è tutta la visione del mondo di Ermanno Olmi nel film documentario Terra madre:  la nostalgia della cultura contadina, l'amore per la terra e per i suoi frutti, l'infinita riproposizione del patto che lega l'uomo alla natura. Ma c'è anche la denuncia di tutto ciò che scardina l'armonia tra l'essere umano e il creato, ovvero lo sfruttamento insensato delle risorse che sta letteralmente consumando la Terra. E per questo, oltre a essere un'opera di poesia, l'ultimo lavoro del grande regista è soprattutto un documento politico nel senso più alto del termine.
Prodotto dalla Cineteca di Bologna e Itc Movie con il sostegno del ministero per i Beni culturali, presentato in anteprima mondiale all'ultimo festival del cinema di Berlino e nelle sale italiane dall'8 maggio, Terra madre sembra davvero racchiudere il pensiero di un uomo ottimista per disperazione. Un uomo capace di non arrendersi al peggio della vita perché in grado di vedere anche nelle brutture uno spiraglio di speranza per l'umanità. Una speranza che in questo caso sta tutta nei volti e nel lavoro di quei contadini che in ogni angolo del pianeta ancora resistono a quella che Olmi chiama "la delittuosa politica di sfruttamento esasperato e devastante dei suoli fertili, unica risorsa per il cibo di tutti i popoli. Una testimonianza eroica di eterna e leale alleanza con la natura e i suoi frutti. Un'alleanza che non ha barriere di lingue, divisioni di ideologie e religioni, né confini di Stati".
Il progetto prende il via tre anni fa, quando Carlo Petrini, l'ideatore di Slow Food, invia un appunto a Olmi, invitandolo a considerare l'idea di girare un film sull'edizione 2006 di "Terra madre", il forum mondiale che vede riunite a Torino settemila persone provenienti da centocinquantatré nazioni:  contadini, allevatori e pescatori che, con i loro costumi tradizionali, i loro linguaggi, la loro musica, la loro cultura e i loro prodotti, raccontano come si fa a vivere producendo cibi genuini con tecniche sostenibili, nel rispetto della natura e senza sprechi. Uomini e donne il cui attaccamento alla terra, oltre a essere essenziale per il loro sostentamento, è anche un atto d'amore nei confronti del creato. Un amore che fa la differenza e che, come dice uno dei contadini davanti alla cinepresa, passa attraverso il cibo; lo puoi sentire, odorare, assaporare.
Quello di Olmi è in qualche modo un viaggio lungimirante tra le genti che hanno capito che solo così la Terra avrà un futuro. Un viaggio che, iniziato nei padiglioni della manifestazione torinese, continua seguendo alcuni dei protagonisti nei luoghi di origine, le cui storie diventano paradigmatiche, la dimostrazione che è possibile produrre in un modo compatibile con l'ambiente; che è poi il modo tramandato dagli avi alle generazioni che hanno custodito finora saperi ancestrali.
Così, mentre una troupe va nel febbraio 2008 nelle isole Svalbard, nel nord della Norvegia, per seguire la cerimonia inaugurale della Banca mondiale dei semi, nell'ottobre dello stesso anno un'altra troupe si reca a Dehradun, nel nord dell'India, per riprendere la raccolta del riso, nei pressi della Navdanya Farm, la fattoria di Vandana Shiva - presidente della Commissione internazionale sul futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura - dove sono custoditi i semi del riso tramandati di generazione in generazione.
Ma non mancano storie dall'Italia, quell'Italia contadina tanto cara a Olmi che l'ha raccontata mirabilmente in L'albero degli zoccoli. Ecco, dunque, le cineprese che a San Cipriano, comune di Roncade, nel Veneto - e siamo sempre a ottobre dello scorso anno - entrano nei poderi e nella casa dell'uomo che ha vissuto per oltre quarant'anni custodendo gelosamente la sua solitudine, preservando inconsapevolmente quella terra da ogni contaminazione del progresso, facendola diventare un monumento alla biodiversità. Uno squarcio di passato insinuatosi nel presente e che grazie a Slow Food diventerà il primo dei presidi di Terra madre:  un luogo che racconti come sia possibile vivere in un modo diverso.
Non si tratta di indicare come soluzione l'isolamento, la chiusura, l'estremismo di scelte difficilmente accettabili oggi, ma di segnalarne la possibilità. Per questo, l'ultima parte del film documentario - certamente la più suggestiva e poetica - racconta un anno di lavoro di un contadino della valle dell'Adige. Solo le immagini e i suoni della natura, disturbati di tanto in tanto dal volo radente di un elicottero o dal più lontano rombare di un jet, a ricordare un progresso che qui sembra superfluo. È la narrazione di semplici gesti quotidiani, del paziente e faticoso lavoro della terra scandito dal lento ritmo del giorno e della notte e dall'alternarsi delle stagioni.
Alla fine non si ha l'impressione che il messaggio sia racchiuso in un nostalgico ritorno al passato. Al contrario, l'idea forte è che quel passato vada intelligentemente rielaborato per divenire un obiettivo. "Far produrre la Terra senza devastarla - afferma Petrini - è, paradossalmente per il consumista, quanto di più moderno ci sia oggi che crisi ecologiche, climatiche e finanziarie si abbattono sulle nostre piccole vite". È la Terra a custodire tutto ciò che ci serve. E sapere che ci sono uomini e donne che lavorano nei campi, forti di una sapienza antica e di un sapere moderno, è un'assicurazione sul futuro. Se il mondo sarà capace di guardarli come una risorsa e non come una palla al piede, questi uomini e queste donne saranno in grado di farci uscire dalle crisi e di farci riconciliare con il creato.
Olmi è convinto che ciò sia possibile. E con questo film documentario vuole testimoniarlo. Lo fa senza ricorrere al sensazionalismo - che peraltro non è mai stato nelle sue corde - ma con misura, facendo leva sull'evidenza dei fatti e sulle emozioni. Scrive nelle note di regia:  "E noi cittadini metropolitani, che viviamo inscatolati nelle nostre città, senza più i colori e i profumi delle stagioni, forse, in un giorno molto prossimo, se ci capiterà di passare accanto a un orto dove un nonno e una piccola bimba colgono i frutti maturi, allora potremo ancora riconoscere la vera casa dell'uomo".



(©L'Osservatore Romano 6 maggio 2009)
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