La Francia e l'opera evangelizzatrice all'estero tra Settecento e Novecento

Dopo la Rivoluzione ci fu il boom dei missionari


La XXXI Settimana europea promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e dall'Università Cattolica del Sacro Cuore - fino al 5 settembre a Villa Gagnola di Gazzada (Varese) - è quest'anno dedicata al tema "Nel cuore dell'Europa. Storia religiosa di Francia, Germania e Italia". Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni.

di Claude Prudhomme
Università di Lione

Secondo una stima formulata da un ecclesiastico alsaziano e ripresa dall'ambasciata francese presso la Santa Sede nel 1901, in quella data la Francia può rivendicare 38 congregazioni missionarie maschili che contano 7.400 religiosi, sacerdoti o frati, cui si aggiungono circa 8.500 religiose. Questa statistica documenta la preponderanza dei missionari francesi a quell'epoca. Una situazione che continuerà fino alla seconda guerra mondiale.
Prima del 1914 essi rappresentano circa un terzo delle forze maschili totali e i due terzi di quelle femminili. Se il loro peso relativo diminuisce fra le due guerre, a causa del forte aumento dei missionari belgi, olandesi, italiani, fino agli anni Cinquanta rimangono il gruppo nazionale più numeroso. Basato su una mobilitazione efficace dei fedeli, il movimento missionario francese ha dato origine a potenti reti internazionali che mettono in sinergia l'appoggio spirituale (attraverso la preghiera), materiale (con i finanziamenti) e umano (il reclutamento).
Esiste quindi un lungo periodo francese nella storia delle missioni cattoliche, prima che si spenga il riflusso posteriore alla seconda guerra mondiale e che, negli anni Settanta, si verifichi un crollo tanto drastico quanto spettacolare.
Se l'invenzione della missione moderna e le prime grandi missioni del XVI secolo sono essenzialmente opera degli ordini mendicanti e delle monarchie spagnola e italiana, a partire dal XVII secolo il ruolo della Francia si afferma nelle sue colonie (Nouvelle-France), ma anche nel Levante, in Madagascar, in Asia Orientale e nelle Indie. Il successo in termini di conversione non è così grande, a eccezione del Canada.
Queste missioni consentono però la fondazione di piccole comunità cristiane che in Vietnam e in India avranno una lunga vita. Soprattutto questa prima ondata ha dato origine alla Congregazione della missione, o lazzaristi, fondata nel 1625 da Vincenzo de' Paoli, che gestisce contemporaneamente missioni interne ed estere. Nel 1658 vi si unisce il Seminario delle missioni estere di Parigi, associazione di sacerdoti secolari, divenuta la principale società missionaria in Asia dopo la soppressione della Compagnia di Gesù. Nel 1703 compare una terza congregazione, i padri dello Spirito Santo, che in origine si specializza nella formazione del clero coloniale francese. Ognuna di queste società si sforza di conciliare la promozione dell'ideale tridentino con il gallicanesimo, realizzazione delle istruzioni della Propaganda romana e servizio agli interessi della monarchia francese. Il movimento missionario francese si distingue anche per l'importanza delle donne, a partire dal XVII secolo, dietro le quinte per patrocinare le imprese (duchessa di Aiguillon), sul campo per inventare modalità di presenza in cui si combinino tradizione contemplativa e azione scolastica (Maria dell'Incarnazione e il convento-scuola delle Orsoline nel Québec) od ospedaliera.
Pur dipendendo dal sostegno della monarchia,  di qualche nobile e del movimento devoto, questa esperienza diffonde nell'opinione pubblica illuminata cattolica una prima coscienza missionaria.
Gli attacchi dei Lumi contro la religione romana e la profonda crisi del reclutamento non alterano l'immagine positiva della missione lontana, associata all'attrattiva per i mondi esotici. La pubblicazione nel 1702 della prima raccolta di Lettres édifiantes et curieuses inaugura un ciclo di edizioni che riscuotono grande successo. Il ritratto, fatto da Chateaubriand, di padre Aubry, missionario fra gli indiani, nel romanzo Atala è una testimonianza, nel 1801, del posto che ormai occupa la figura del missionario.
Tuttavia, quando sopraggiunge la Rivoluzione, la soppressione degli ordini religiosi sembra annunciare la fine delle società missionarie, e anche l'occupazione di Roma nel 1798 è segnata dalla soppressione della congregazione Propaganda fide, come "istituzione totalmente inutile". Ma Napoleone primo mette fine a questa politica e ripristina le tre società missionarie francesi. La Restaurazione crea nel 1816 le condizioni favorevoli per un nuovo inizio.
Il fatto che il risveglio missionario cattolico nasca in Francia all'indomani della Rivoluzione non è coerente con l'immagine di un cattolicesimo che è stato descritto come indebolito, se non vicino alla sparizione. Ma il paradosso è relativo.
La volontà di riconquista si afferma all'inizio del XIX secolo, in un messaggio che incita alla mobilitazione e proclama la necessità universale della religione, e contrappone, in qualche modo, i diritti inalienabili e sacri del cattolicesimo a quelli proclamati dalla Dichiarazione universale del diritti dell'uomo e del cittadino nel 1789. La grande rivista missionaria lanciata dall'Opera per la propaganda della fede a Lione (1822) riassume così questa legge divina dell'espansione evangelica:  "È il destino della religione, come dell'astro del giorno, fare il giro del mondo per illuminarlo e vivificarlo... Leggiamo la storia dei secoli:  si opprime la religione in un luogo, allora si trasferisce da un'altra parte; si vuole soffocarla, e si diffonde; si crede che fugga, e non fa altro che sparire un momento per recarsi a prendere possesso di un'altra parte della sua eredità".
Molti cattolici hanno acquisito la certezza di partecipare a una storia santa che va avanti malgrado gli ostacoli, perché è portatrice di un vero e proprio universalismo. La letteratura missionaria costruisce, anno dopo anno, il bilancio degli avanzamenti. Questi progressi dimostrano che il sangue dei martiri è il seme da cui nasceranno nuove Chiese.
Se il cattolicesimo francese è profondamente impregnato della sua vocazione all'universalità, è anche perché è convinto di essere portatore dell'unico messaggio di salvezza. Turbati dall'incertezza dei tempi, chierici e fedeli sono naturalmente ricettivi a una catechesi che mette più che mai in primo piano l'urgenza della salvezza. "Ho un'anima sola che bisogna salvare"... garantire "la salvezza degli infedeli"... "strappare alle tenebre le moltitudini di pagani", il leitmotiv della salvezza delle anime attraversa tutto il secolo, con estremo vigore. L'appello alla salvezza, in un contesto di lotte politico-religiose, ha un'eco eccezionale, ripetuta e amplificata da catechismi, opere devozionali, stampa cattolica o inni.
L'interesse per le missioni continua anche a trarre profitto dalla crescente curiosità per i mondi esotici. Il successo delle Lettres édifiantes, riedite molte volte a partire dal 1808, conferma la vastità dell'eco avuta dai racconti missionari tra il pubblico colto e, ormai, anche negli ambienti popolari. L'informazione è al centro della strategia missionaria.
La nascita dell'Opera della propaganda della fede a Lione nel 1822 è forse l'avvenimento che meglio illustra il ruolo che ha avuto l'America nel risveglio missionario degli inizi del XIX secolo. Negli altri continenti si doveva ritrovare lo stesso entusiasmo per le missioni. La Cina sarebbe servita da ponte verso l'Asia. Se l'impero di mezzo non suscita più la curiosità che aveva determinato la moda orientaleggiante del XVIII secolo, tuttavia rimane il secondo polo di attrazione dell'oltremare. Ancor più lontano dell'America, l'impero cinese affascina i giovani cattolici che si identificano con i cristiani delle origini. Offre l'occasione di continuare sulla strada maestra del martirio tracciata dai testimoni della fede martirizzati durante la Rivoluzione. Con la seconda metà del secolo l'Oceania e l'Africa entrano a loro volta nella geografia delle missioni.
I protagonisti del risveglio missionario sono stati accusati di confondere gli interessi della patria con quelli della Chiesa. E tuttavia sono in primo luogo devoti servitori della causa pontificia.
Queste due fedeltà, che oggi ci sembrano contraddittorie, sono considerate inseparabili dai missionari. La seconda è d'altronde una piccola rivoluzione, perché prima della Rivoluzione la tradizione francese non era favorevole al papato. Attenti a preservare le loro prerogative, i re di Francia erano riusciti, durante l'Ancien Régime, a limitare gli interventi romani sulla Chiesa francese. La Rivoluzione ha invertito la tendenza e ha promosso un'adesione sempre più decisa all'autorità romana, che darà luogo a un potente movimento popolare conosciuto in Francia come ultramontanismo.
Negli ambienti missionari, il legame personale con il papato, affettivo quanto intellettuale, o promosso al rango di devozione necessaria, continua a rafforzarsi.
Sarebbe tedioso elencare le fondazioni francesi del XIX secolo. Ci accontenteremo di segnalare il fatto che la loro diffusione segue tre direzioni diverse.
Si manifesta in primo luogo attraverso la creazione di congregazioni specificamente o parzialmente missionarie, maschili e femminili. Della ventina di congregazioni fondate nel XIX secolo, diciotto nascono in Francia, senza contare gli istituti di frati che ben presto si impegnano nell'insegnamento in terra di missione. La preponderanza di quelle francesi è forse ancora più marcata, per quanto riguarda le congregazioni femminili.
Le congregazioni si appoggiano a potenti associazioni incaricate di sostenere materialmente e spiritualmente le missioni, su iniziativa di laici (Propaganda della fede, San Pietro apostolo) e di chierici (Santa infanzia, associazioni affiliate a ciascuna congregazione missionaria). Sono state censite 246 associazioni tra il 1818 e il 1921, tra cui 220 attive nel 1992. La quota di denaro francese nell'investimento per le missioni è preponderante fino alla prima guerra mondiale e dissuade Roma dall'assumere il controllo delle associazioni prima del 1914, per timore di dispiacere ai fedeli.
Infine, la mobilitazione passa attraverso il lancio di periodici specializzati che informano e interessano lo zelo dei fedeli. Gli "Annales de la propagation de la foi" sono forse, verso la metà del XIX secolo, il periodico più letto al mondo, con 150.000 copie. Le tirature annuali totali raggiungono nella prima metà del XX secolo cifre impressionanti:  diversi milioni di esemplari.
Uomo o donna, la figura del missionario è diventata familiare all'opinione pubblica e raramente rientra nel discorso anticlericale, perché, secondo le parole del repubblicano Gambetta, "l'anticlericalismo non è un prodotto d'esportazione". Dato che è utile, ammirato per lo spirito avventuroso e l'utilità civilizzatrice, la pietà e lo spirito di sacrificio per i credenti, il missionario beneficia di un capitale positivo che resiste alle lotte religiose.
Questa concezione della missione è sbocciata all'interno di un modello teologico definito "intransigente" dagli storici del cattolicesimo francesi. Émile Poulat lo ha descritto come un cattolicesimo romano, integrale e sociale.
Romano, innanzitutto, perché non è concepibile senza l'obbedienza al Papa. Il consenso si può riassumere con una semplice formula:  tutta la fede in tutta la vita di tutti gli uomini. Questo è il programma esposto da Libermann nel suo Mémoire sur la mission des noirs (1846) perché non esiste "civiltà senza religione" e neppure "religione senza civiltà".
Per mettere in opera questo modello, la strategia missionaria ricorre praticamente ovunque agli stessi metodi. Comincia con un insediamento materiale che garantisce la visibilità della missione e dimostra le virtù civilizzatrici del cattolicesimo per le popolazioni, attraverso i suoi servizi. Per le popolazioni autoctone, la missione è innanzitutto un insieme di edifici, all'inizio modesti, ma suscettibili di diventare in seguito veri e propri complessi, quando si concentrano in uno spazio limitato luoghi di culto, scuole maschili e femminili, centri di cura, accoglienza dei malati, asili per orfani o anziani, laboratori per la manutenzione, produzioni agricole, fornaci o segherie. La missione sembra anche indissolubile da tutte le opere sociali che preparano e prolungano l'azione propriamente religiosa.
Dato che le opere devono essere mostrate liberamente, l'accesso alla proprietà e la sicurezza dei beni sono la principale fonte di preoccupazione. In un primo tempo, la missione si rivolge alle autorità civili locali per ottenere protezione. Ma in molti casi queste autorità si dimostrano poco cooperanti, o impotenti di fronte a movimenti autoctoni che si oppongono all'arrivo dei missionari. Così, è forte la tentazione di richiedere agli Stati cristiani le garanzie che le autorità locali non vogliono dare. Quando trionfa l'imperialismo, sembra più sicuro affidarsi a uno Stato europeo. A partire dal XVI secolo, la politica estera dello Stato francese, a prescindere da qualsiasi regime, non ha mai smesso di rivendicare la protezione dei cattolici, prima nell'impero ottomano, poi in tutta l'Asia, e nel mondo intero. La Francia si pone come protettore naturale delle missioni cattoliche.
Da parte sua Propaganda fide deve conciliarsi con le esigenze francesi. Alla fine decide che l'efficacia e il pragmatismo devono tollerare questa ingerenza dello Stato francese, o sollecitarla per introdurre clausole favorevoli alle missioni nei trattati firmati in Cina o in Corea. Il centro romano certo evita di impegnarsi direttamente in contese giuridiche di cui conosce i pericoli, ma di fatto tollera un protettorato della Francia sulle missioni. La guerra del 1914-1918 porta all'apogeo l'esaltazione dei legami tra i missionari e la loro patria, la confusione fra civiltà cristiana e civiltà francese. È causa anche dei chiari avvertimenti di Benedetto XV contro le derive nazionaliste, e impone una centralizzazione delle missioni che nel 1922 conferisce a Roma tutto il potere. Ma la promozione di Teresa di Lisieux come co-patrona delle missioni fatta da Pio XI nel 1927 dimostra che la Francia repubblicana e laica merita, per il suo spirito missionario, il titolo di "figlia maggiore della Chiesa". Nel periodo fra le due guerre sembra che la figura del missionario, pioniere e pastore coraggioso, si fossilizzi. E tuttavia, ai margini, cercano di imporsi nuovi modelli. In primo luogo quello del missionario scienziato, come Francis Aupiais, della società delle Missioni Africane di Lione, partito nel 1903 per il Dahomey. Ma emergono anche altri modelli di presenza sul territorio.
Charles de Foucauld (1858-1916) è senza dubbio la figura più rappresentativa. Ordinato sacerdote nel 1901 si stabilisce nel famoso eremo di Tamanrasset nel 1905. Assassinato il 1° luglio 1916, sembra che il suo progetto, che prende in contropiede il modello missionario corrente, sia fallito. L'utilizzo della sua morte a fini patriottici non impedisce però ai cattolici francesi di scoprire la novità e la necessità del suo progetto. Padre René Voillaume fa trionfare una lettura di frère Charles che offre la sua azione come modello per la missione contemporanea. La missione itinerante, che occupa lo spazio, da Charles de Foucauld viene sostituita con la missione immobile.
L'irruzione della seconda guerra mondiale è un vero catalizzatore per la coscienza missionaria cattolica in Francia. Il crollo del 1940 è vissuto come un immensa sciagura, ma allo stesso tempo alimenta una formidabile speranza. Una parte del clero pensa che costruire una nuova cristianità sia un'idea illusoria. Si deve piuttosto impregnare il corpo sociale dei valori evangelici:  il cristiano è "il lievito nella pasta". Le iniziative pastorali, come la fondazione della Missione di Francia (1941) e della Missione di Parigi (1943) mettono in pratica le tesi dei padri Daniel e Godin, France, pays de mission? (1943).
In un primo tempo, questo impegno collettivo riavvicina i due fronti missionari, quello interno e quello estero. Lo straordinario successo riscosso dall'opera di padre Voillaume Au cæur des masses è un simbolo di questo stato d'animo, che non è più lo spirito di riconquista, ma di coinvolgimento e di solidarietà, di condivisione necessaria prima di qualsiasi annuncio esplicito. Gli istituti di formazione sono pieni, nel decennio 1950. Il clero missionario viene raggiunto sul campo da laici missionari, sui quali conta molto. Infine l'enciclica Fidei donum (1957), che chiede al clero delle Chiese madri di mobilitarsi, in Francia ha un'eco particolare e sensibilizza alla missione verso altri spazi (America Latina).
In questa prospettiva, il concilio del 1962 sembra il coronamento della presa di coscienza ecclesiale dell'imperativo missionario. Anche se i testi del Vaticano ii sulla missione non sono i più innovatori, consacrano comunque l'idea che la missione è costitutiva della fede.
Tutti missionari, dunque. Ma missionari diversi. La presa di coscienza delle dimensioni politica, economica e sociale (padre Lebret) si unisce a un nuovo interesse per i dati culturali. Un po' dappertutto i missionari si interrogano sulle possibilità di adattare l'evangelizzazione alle culture locali, e perfino di tener conto di certi riti e credenze. La parola d'ordine "indigenizzazione" inizia a essere compresa in un senso allargato, non limitato al clero indigeno, ma applicato alla liturgia o all'arte, e addirittura alla formulazione della dottrina.
Il libro, dai toni di manifesto, Des prêtres noirs s'interrogent, pubblicato nel 1956 dai domenicani delle éditions du Cerf, a cura di Présence Africaine, con una lettera-prefazione elogiativa di monsignor Marcel Lefebvre, arcivescovo di Dakar, delegato apostolico per l'Africa nera francese, consacra il concetto di "prima pietra". Come scrive il missionario Bouchaud "i missionari che vanno incontro ai pagani non portano loro una novità totale e insospettata. Esistono già punti di contatto, "prime pietre", una potenza latente che possono utilizzare saggiamente e con prudenza".
Che cosa è dunque successo in seguito, negli anni Settanta, tanto da provocare una profonda crisi della missione estera, proprio quando i segni di vitalità sembravano moltiplicarsi?
Il cattolicesimo francese è posto a confronto con tre esperienze destabilizzanti:  messa in discussione culturale della missione civilizzatrice occidentale, attrazione del marXIsmo, decolonizzazione (in particolare la guerra d'Algeria).
Fino a quel punto, il movimento missionario francese era riuscito a preservare le sue reti, la sua stampa, le sue opere specializzate. Tutti questi fondamenti sprofondano davanti alle contestazioni. I periodici missionari si trovano di fronte a gravi difficoltà e tentano, senza riuscirvi a lungo, di riunirsi. In pochi anni si sgretola il meccanismo di inquadramento messo a punto per mobilitare i laici.
Tutti questi fenomeni rappresentano la fine di una certa idea della missione perché il modello si è esaurito. Nei decenni 1960-1970 ha inizio uno spettacolare trasferimento di generosità e di obiettivi militanti. Il Terzo Mondo dà il cambio alla missione estera tradizionale. In Francia il Ccfd (Comité catholique contre la faim et pour le développement) soppianta le opere missionarie.
Proprio mentre il reclutamento missionario classico perde fiato, la Delegazione cattolica per la cooperazione, fondata dall'episcopato francese nel novembre del 1967, invia migliaia di cooperanti in una sessantina di Paesi, per conto del servizio nazionale o di un servizio civile. La riconversione del militante portatore di una buona novella religiosa in militante deciso a cambiare il mondo segna la fine di un'epoca in cui l'impegno cristiano aveva lo scopo di prolungare l'influenza della Chiesa grazie ai laici. Il militante cristiano inizia a dubitare della sua identità e si domanda se in realtà possiede qualcosa più degli altri.
La crisi del reclutamento e le partenze numerose nelle congregazioni missionarie a partire dal decennio 1970 sono dunque gli effetti di una trasformazione collettiva profonda. Mettono in luce l'impotenza dell'ideale missionario tradizionale nel legittimare l'impegno irreversibile di tutta una vita. La crisi è dunque una crisi d'identità che si basa sulla finalità della missione. Traduce l'esaurimento dell'antica teologia fondata su una concezione della salvezza che conduceva a relativizzare la trasformazione della città. La principale risposta nasce allora da una teologia della liberazione, multiforme, ma decisa a considerare la salvezza in una prospettiva globale che associa trasformazione delle strutture e conversione dei cuori, impegno nel sociale e scelta di fede. Fra salvezza e liberazione, negli anni Settanta gli articoli e le opere di teologia sembrano ancora esitare prima di propendere dalla parte della liberazione.
Malgrado questo sforzi, la critica si trasforma nel 1973-1974 in contestazione radicale dell'idea missionaria tout court. Nel cattolicesimo francese è particolarmente grave.
Il gesuita del Camerun Fabien Eboussi Boulaga utilizza la rivista "Spiritus" come tribuna per lanciare nel 1974 un pressante appello intitolato "La dimissione". "Che cosa si deve fare? La risposta sarà breve:  l'Europa e l'America in primo luogo devono evangelizzare sé stesse. E poi si pianifichi in buon ordine la partenza dall'Africa dei missionari". L'enciclica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, all'indomani del sinodo del 1974 in cui per la prima volta i vescovi non sono riusciti a redigere una sintesi del loro lavoro dedicato all'evangelizzazione, spinge Roma a riprendere l'iniziativa. Ma nel documento pontificio si evita di utilizzare il termine "missione" e derivati. L'elezione di Giovanni Paolo II nel 1978 ben presto segna una svolta che alcuni definiscono riequilibrio e altri ritorno a una vecchia concezione della missione. In realtà, a partire dal pontificato di Paolo VI si ritrova la volontà di portare avanti l'imperativo missionario, di svincolarsi da una lettura del concilio che attenuerebbe l'obbligo di evangelizzare, di riabilitare la "sublime vocazione missionaria" e di reagire contro la degradazione dell'idea di missione. Ma è proprio Giovanni Paolo II a rendere la nuova evangelizzazione e la riattivazione del senso missionario un obiettivo prioritario, ripetuto instancabilmente, solennizzato dall'enciclica Redemptoris missio (1990), reiterato nei media durante i viaggi del Pontefice e l'organizzazione degli incontri di massa che fanno appello a una ri-mobilitazione cattolica.
Che cosa rimane in Francia dell'ansia missionaria, in questo inizio del XXI secolo? Forse si può osservare una riattivazione della tematica missionaria, soprattutto fra i nuovi movimenti religiosi che ritengono sia arrivato il momento di smetterla con i sensi di colpa e che sia urgente ridare la priorità all'annuncio esplicito della fede.
Ma questo ritorno maschera l'ampiezza della mutazione avvenuta, anche tra coloro che riprendono il vocabolario e la tematica missionaria. Rimane difficile parlare di salvezza. Perdendo gran parte delle sue certezze, il cattolicesimo francese scopre di essere minoritario.
Diverse iniziative prese dalle congregazioni missionarie per farsi carico delle conseguenze della loro nuova situazione, e per creare, a loro misura, ponti fra l'Europa e i Paesi del terzo mondo, illustrano il desiderio di intervenire in altro modo nel mondo.
Alla fine, la storia lascia alla Francia un'eredità che supera abbondantemente le frontiere del cattolicesimo. Il suo impegno nella missione all'estero ha ampiamente contribuito a familiarizzare una parte dell'opinione pubblica con quello che succedeva oltremare e a sperimentare forme concrete di solidarietà internazionale, molto prima che la mondializzazione diventasse di moda.



(©L'Osservatore Romano 4 settembre 2009)
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