Politiche e innovazione

La ragione terreno d'incontro tra scienza ed etica


"Politiche, scienza e innovazione" è stato il tema del settimo Aspen Transatlantic Dialogue. All'incontro, svoltosi a Roma il 27 e 28 novembre, hanno preso parte, tra gli altri, Giulio Tremonti, Angelo Maria Petroni e Marta Dassù, rispettivamente presidente, segretario generale e direttore generale delle attività internazionali dell'Aspen Institute Italia, Giuliano Amato, Domenico Siniscalco, Roberto Cingolani e Luciano Maiani. Tra i relatori che hanno introdotto i lavori era il direttore del nostro giornale, del quale pubblichiamo quasi per intero l'intervento.

Nei confronti della mondializzazione e dei suoi aspetti soprattutto economici e sociali l'atteggiamento della Chiesa di Roma, in continuità con la tradizione cattolica, è oggi caratterizzato dal realismo, certo ben consapevole dei limiti della natura umana ma anche temperato dalla fiducia nella ragione, che può offrire un largo terreno d'intesa e di collaborazione in un contesto internazionale continuamente segnato da squilibri e tensioni. L'esempio più recente - dibattuto sul nostro giornale da economisti e politici di provenienze diverse - è l'enciclica pubblicata all'inizio dell'estate, Caritas in veritate, che tocca anche i temi proposti per questo incontro. Il testo papale è stato in genere apprezzato per il suo sforzo di comprensione della realtà mondiale, nonostante alcune letture prevenute. Una di queste, negli Stati Uniti, ha addirittura voluto distinguervi parti d'oro, attribuibili a Benedetto XVI, da altre curiali, naturalmente di colore rosso.
Come la politica, anche la scienza non è neutrale. A essa bisogna guardare con rispetto e fiducia - e la religione non è certo nemica della scienza - ma senza illudersi che la ricerca sia governata da una logica autonoma, di per sé imparziale o addirittura innocente. Evidenti sono infatti i condizionamenti esercitati da interessi economici che ne determinano gli indirizzi, influendo di conseguenza anche sui media specializzati e su quelli generalisti. Nell'ultimo scorcio del Novecento, e soprattutto all'inizio del nuovo secolo, imponenti sono soprattutto gli sviluppi delle cosiddette scienze della vita, da una parte, e delle neuroscienze, dall'altra. Con la conseguenza di acuire i problemi etici a esse connessi, da tempo segnalati da intellettuali laici e da esponenti religiosi.
È divenuto così ormai corrente parlare di bioetica e di biopolitica, mentre si sono moltiplicati in diversi Paesi i comitati bioetici che forniscono un'indispensabile documentazione scientifica ai rispettivi Governi. Molto positivo in proposito sembra essere per esempio il metodo adottato dall'organismo francese che ha coinvolto molte istanze, laiche e religiose, nella ricerca di basi comuni e di un largo consenso, suscitando un ampio e positivo dibattito. Su questi temi recentissima è poi la cosiddetta dichiarazione di Manhattan, che si presenta come un appello ecumenico alle coscienze in un Paese, gli Stati Uniti, dove il riconoscimento della presenza dell'elemento religioso nel dibattito pubblico è meno conflittuale che in molti Paesi europei.
Particolarmente delicati appaiono gli interventi consentiti dal prodigioso sviluppo della ricerca scientifica su momenti decisivi come l'inizio e la fine della vita umana. Già un quarantennio fa Paolo VI, nella sua enciclica più controversa, l'Humanae vitae, aveva intravisto i rischi in questo  ambito,  indicando anche quelli di una manipolazione genetica  allora  ancora  agli albori, e si interrogava, a  ragione,  sulla legittimità di un controllo  delle  nascite  imposto  dai Paesi più  ricchi  e  dalle loro economie a quelli in via di sviluppo.  Significative  in  questo  senso furono in  America  Latina  le  letture favorevoli a questa enciclica, come a quella precedente sullo sviluppo, Populorum progressio, mentre oggi preoccupanti sono le prospettive tracciate dai demografi sul crollo della natalità in quasi tutta l'Europa.
Agli interventi sulla procreazione umana si sono affiancati i rapidi e spesso stupefacenti progressi della scienza medica, soprattutto nell'ambito delle tecniche di trapianto di organi e di rianimazione, fonte di innumerevoli e difficili questioni etiche. Emblematico è in proposito il criterio della cosiddetta morte cerebrale, introdotto con il controverso rapporto di Harvard, ora di nuovo in discussione. Ma numerosissimi sono gli ambiti ormai coinvolti dalle biotecnologie, il cui sviluppo appare tuttavia condizionato in misura crescente da molteplici interessi economici, come già si è accennato e come è evidente, ad esempio, per ciò che riguarda la procreazione artificiale, la bioingegneria, l'ingegneria genetica - dove le cellule staminali adulte sono ben più promettenti di quelle ricavate dalla distruzione degli embrioni, considerata inaccettabile da alcune tradizioni religiose - e infine nelle biotecnologie applicate all'agricoltura e alle nuove fonti energetiche.
Nel confronto tra le due sponde dell'Atlantico differente è certo la considerazione del ruolo pubblico delle religioni, ma comuni devono restare l'attenzione e il rispetto per la persona umana. Ed è proprio la ragione l'elemento che può consentire e rendere fruttuosi il confronto e la collaborazione tra correnti culturali e tradizioni religiose diverse.



(©L'Osservatore Romano 29 novembre 2009)
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