La lezione di padre Turoldo

"Uno scabro sasso
la parola nelle mie mani"


di Arturo Colombo

Pochissimi se ne ricordano, ma durante gli anni drammatici fra il 1943 e il 1945, nella Milano semidistrutta dai bombardamenti esce - stampato in piena clandestinità - un periodico dal titolo semplice e didascalico:  "l'Uomo". Fra gli animatori c'è un giovane sacerdote, padre David Maria Turoldo, classe 1916, convintissimo che "la realizzazione della propria umanità:  questo è il solo scopo della vita". Nella capitale lombarda padre David - nato in un paesino friulano da una umile famiglia contadina - era giunto nel 1940, e di lì a poco, insieme a padre Camillo De Piaz, aveva fondato il centro culturale Corsia dei Servi.
Ogni domenica a mezzogiorno, almeno fino al 1953, padre Turoldo riempiva con voce robusta la sua predicazione nel duomo di Milano. Eravamo un gruppo di compagni liceali, che lo ascoltavamo, entusiasti per l'originalità di certi suoi commenti ai Vangeli. A convincerci di quanto diceva, era la franchezza, spontanea e contagiosa, con cui padre David ripeteva che "sperare è più difficile di credere".
Qualche tempo prima, avevamo cominciato a leggere le sue liriche così piene di calore, raccolte nel volume Io non ho mani (1948), e poi ci eravamo avvicinati alle pagine di Udii una voce (1951), colpiti da quella sua immagine:  "uno scabro sasso la parola / nella mie mani". Avremmo continuato a leggerlo, soprattutto dopo che era stato "allontanato" da Milano, forse per l'eccesso con cui aveva il coraggio di denunciare ipocrisie e silenzi sospetti, parlandoci dei suoi "tre amori":  non solo i confratelli, ma anche gli "amici laici", e soprattutto i poveri, che lui insisteva a definire "mie radici e mio sangue" (mentre un certo ambiente della Milano borghese, già allora, preferiva guardare dall'altra parte, senza capire certi suoi giudizi sferzanti, quando ci spiegava che in troppi stavano vivendo, senza ritegno, in "un tempo di apparenze più che di apparizioni").
"Vorrei tramandare questo scandalo della speranza":  ecco uno degli elementi del fascino, che padre Turoldo sapeva suscitare anche quando - dopo un forzato silenzio - negli anni Sessanta era andato a ristrutturare l'ex abbazia di Sant'Egidio, a Fontanella di Sotto il Monte, dov'era nato Papa Giovanni xxiii. Lì - dove capitava per la prima volta di veder servire messa non esclusivamente i chierichetti maschietti - padre David darà vita anche a quel centro di studi ecumenici, in cui si incontravano persone dalle fedi più diverse, compresi anche i miscredenti, che non rinunciavano a discutere con lui dei grandi temi del nostro tempo, in primis l'ingiustizia sociale, così atrocemente diffusa sul Pianeta Terra.
Non ho sufficiente competenza per giudicare quella che Daniele Santoro ha definito come Dimensione mistica in David M. Turaldo (così s'intitola il libro, edito da Arabeschi nel 2006). So però che il "clima" che circondava padre David, era legato alla sua insolita, eppure straordinaria, capacità di "parlare" di cose sacre e, insieme, coinvolgere i problemi, le difficoltà, le inquietudini, che noi stessi ci accorgevamo fossero incombenti, dentro e fuori il piccolo orizzonte italiano.
Non per nulla, fin dal suo sorgere, padre David era stato uno dei sostenitori più convinti di don Zeno Saltini e dell'esperienza di Nomadelfia, dove c'erano tanti piccoli orfani da aiutare a crescere, ma dove si tentava soprattutto quell'arduo - eppure avvincente - progetto di convivenza in cui a dominare era "la fraternità come unica legge". Del resto, lo spirito di solidarietà verso chi si trovava costretto a subire (e a soffrire) certi pessimi governanti di turno, aveva spinto padre Turoldo a impegnarsi anche durante i mesi drammatici della Resistenza.
E la Resistenza, con i suoi grandi slanci innovatori, tornerà spesso a animare la sua genuina, e spesso tormentata vena poetica. L'ultima volta che mi è capitato di incontrarlo è stato nel 1985, quando a Milano, nella sala del Grechetto, abbiamo presentato - insieme a Carlo Bo e a Mario De Micheli - un elegante volume di sue poesie, dedicate a quelle giornate di passione e di lotta, pubblicato da Franco Sciardelli col titolo rivelatore, Torniamo ai giorni del rischio, e arricchito da illustrazioni di artisti contemporanei, come Cassinari, Rognoni o Treccani.
Padre Turoldo non aveva voluto rinunciare a quell'incontro, anche se era molto malato; e noi faticavamo a riconoscerlo in quella figura non più massiccia come un tempo. Ma lui sapeva chi lo stava aspettando, proprio come l'aveva descritta in quei due versi, rimasti per noi indimenticabili:  "armata di falce verrà / pronta a ingaggiar battaglia". E, purtroppo, l'avrà vinta il 6 febbraio del 1992.



(©L'Osservatore Romano 3 marzo 2010)
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