La seconda guerra mondiale e la Santa Sede

Pio XII e le amnesie degli storici


Raffaele Alessandrini

La letteratura storica sulla seconda guerra mondiale è amplissima e ormai tratta in termini esaurienti la quasi totalità degli aspetti dell'evento bellico che stravolse non solo l'Europa, ma l'intero pianeta. Se poi esistono ormai numerosi lavori di buona divulgazione lo si deve anche al lavoro degli specialisti che hanno messo a disposizione una grande abbondanza di fonti scritte e orali, sia diplomatiche, sia private o memorialistiche. Tanto più forte quindi è la perplessità quando si toccano con mano indubbie negligenze e trascuratezze scientificamente ingiustificabili. È quanto osserva sul numero in uscita de "La Civiltà Cattolica" (15 maggio 2010) il gesuita Giovanni Sale leggendo il volume di Richard Overy - uno dei maggiori storici inglesi della seconda guerra mondiale - Sull'orlo del precipizio. 1939. I dieci giorni che trascinarono il mondo in guerra  (Milano,  Feltrinelli, 2009, pagine  158,  euro 14).  Il  volume che,  come  tiene  a  dire  Sale, coniuga  al  rigore  anche le ragioni della buona divulgazione, essendo scritto  in  modo  lineare  e comunicativo, sorprende spiacevolmente quando nella ricostruzione degli avvenimenti  che  condussero alla guerra  non  fa  mai  riferimento,  "neppure incidentalmente, all'attività svolta dalla Santa Sede in relazione ai fatti così meticolosamente ricostruiti".
Lo storico gesuita allude alla documentazione vaticana sulla materia raccolta nel primo degli undici volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965) che riporta l'attività svolta dalla Santa Sede e dal Papa durante il periodo del conflitto a partire dai primi mesi del pontificato pacelliano.
I fatti ricostruiti da Overy sono ben noti tanto per ciò che riguarda la questione polacca, la città di Danzica e le evidenti mire espansionistiche del Terzo Reich verso Est - il famigerato "spazio vitale" di Hitler - quanto per le reiterate profferte (solo verbali) di garanzie delle altre potenze europee nei confronti della Polonia. Già nella primavera del 1939 dopo l'occupazione di Praga e l'annessione dei Sudeti la prospettiva della guerra tra le potenze europee stava prendendo sempre più forma. Quanti avevano maggiormente a cuore le sorti della pace - dice Sale - come Pio XII e il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, cercavano con tutti i mezzi a disposizione d'incoraggiare le parti a trovare soluzioni di compromesso che consentissero di evitare una guerra.
Nel discorso di Pasqua del 9 aprile il Papa - eletto da un mese - spiegò "come le turbolenze dell'ora presente sembrassero foriere di mali ancora più gravi", le cui radici andavano cercate nella miseria di molti "nella mancanza di mutua compassione tra le nazioni, nella violazione dei patti sanciti e della parola data". L'intervento di Pio XII colpì moltissimo il presidente statunitense e nelle fonti vaticane pubblicate negli Actes et documents vi sono ampi riscontri di una serie di colloqui tra Stati Uniti e Santa Sede. Roosevelt peraltro sopravvalutava l'influenza della Santa Sede nello scenario europeo che invece, dopo la prima guerra mondiale non era nemmeno stata invitata - su richiesta del Governo italiano - a partecipare al tavolo dei negoziati di Versailles. La diplomazia vaticana aveva progressivamente perso terreno sul piano politico nella nuova Europa e si era concentrata soprattutto su questioni di natura ecclesiastica o religiosa quali a esempio la stipulazione di concordati. Proprio su questo campo i rapporti con la Germania nazionalsocialista si erano deteriorati a motivo delle forti denunce di Pio xi contro la politica anticattolica, anticristiana e antisemita adottata dal Terzo Reich. Dal 1935 - ricorda Sale - le note di protesta della Santa Sede inoltrate dal nunzio Cesare Orsenigo al Governo del Reich non erano neppure prese in considerazione.
E tuttavia Papa Pacelli non lasciò cadere nel vuoto la richiesta di Roosevelt  e  "di  altre  persone  di  buona volontà"  che  chiedevano al Papa di fare il possibile per scongiurare una guerra. In questo contesto si situa l'iniziativa di Pio XII di convocare una Conferenza "a cinque" tra le potenze europee. Il tentativo, caldeggiato dagli Stati Uniti, fu articolato, ma rimase senza esito. Gli sforzi del Papa furono giudicati dal sottosegretario agli Esteri americano Summer Welles "del più alto valore" non solo per la sua influenza morale, ma perché esercitati "nel momento in cui la tensione internazionale era tanto grave".
Padre Sale ricorda altre questioni, che pure dovrebbero essere ben note agli storici, quali la laboriosa preparazione del famoso appello del 24 agosto del 1939, all'indomani del patto Molotov-Ribbentrop, e soprattutto gli effetti immediati di quell'intervento che tanto colpì l'opinione pubblica mondiale da costringere lo stesso Hitler a rinviare di un settimana l'aggressione alla Polonia. Se l'attacco fosse scattato il 26, come doveva essere, il dittatore senza neppure dare l'impressione di voler evitare il conflitto, dopo il duro monito papale, si sarebbe addossato davanti al mondo l'intera responsabilità di una guerra disastrosa. "Ma di questo lo storico inglese non fa minimamente cenno", né tantomeno fa riferimento al grande sforzo posto in essere per mesi dalla diplomazia vaticana, per evitare che il mondo civile precipitasse nel baratro. Ancora oggi - epiloga padre Sale - parte della letteratura storica, "per partito preso o per motivazioni di ordine ideologico - trascurando anche il dato documentale", tende a svalutare o a disconoscere il ruolo etico-politico della Santa Sede in quei difficili anni.



(©L'Osservatore Romano 17-18 maggio 2010)
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