Nella Cappella di San Pellegrino in Vaticano

La fede dei viaggiatori e il sangue degli eroi


È  stato  presentato  in  Vaticano  presso il Collegio Teutonico, il volume di Giulio Viviani  La  Cappella  di  San  Pellegrino nella Città del Vaticano (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010,  pagine  100, euro  10). Pubblichiamo l'intervento del direttore dei Musei Vaticani.

di Antonio Paolucci

Tra le tante cappelle che popolano i musei, i palazzi e i percorsi vaticani, ce n'è una che porta il titolo di San Pellegrino. Oggi cura il servizio religioso per gli uomini della Gendarmeria, per secoli e fino al 1977, è stata la Cappella della Guardia Svizzera.
Il suo aspetto sia esterno che interno è modesto:  di garbate forme tardo classiche la facciata, relitti di affreschi molto antichi e arredi moderni di varia qualità e provenienza all'interno.
Tuttavia questo piccolo luogo sacro che pochi conoscono è carico di storia ed evoca straordinarie suggestioni. Quella del pellegrinaggio prima di tutto. Peregrinus, prete romano evangelizzatore della Gallia nel tardo terzo secolo, è il titolare della cappella e si capisce perché. Per chi veniva dal Nord in viaggio penitenziale ad limina Petri, il primo incontro con Roma avveniva qui.
Proviamo a immaginare i pellegrinaggi medievali (la cappella è testimoniata fin dai tempi di Carlo Magno) quando le moltitudini dei devoti si affacciavano alla Città. Venivano dalla Lombardia e dalla Croazia, dall'Inghilterra e dalla Polonia, avevano percorso la via Cassia da Siena a Bolsena, a Vetralla, a Sutri, e finalmente, dopo centinaia spesso migliaia di chilometri, erano in vista dell'Urbe. Da Monte Mario là dove c'è oggi l'Hilton - Mons Gaudi monte della gioia si chiamava perché da lì si vedeva la meta agognata - di fronte a essi si estendeva la Città Eterna con la basilica di San Pietro, le colonne tortili, la Piramide Cestia, il Colosseo. Le Mirabilia Urbis erano davanti a loro e questo li compensava della lunga fatica, dei pericoli, delle privazioni, dei disagi del viaggio. Scesi da Monte Mario, prima di entrare in San Pietro, prima di varcare il Tevere, i pellegrini entravano nella cappella che del loro santo patrono porta il nome. Qui ringraziavano il Signore per il buon esito della loro avventura, qui negli ospizi e nelle infermerie annesse trovavano accoglienza e conforto:  un pasto caldo e un giaciglio, cure per i malati, consigli per la visita alle basiliche, alla Scala Santa, alle infinite prodigiose reliquie di cui brulicavano le chiese di Roma.
In ginocchio di fronte al Cristo Pantocratore affrescato nel catino absidale e oggi dopo infinite ridipinture e restauri ridotto all'ombra dell'ombra di quello che era, i cristiani d'Italia e d'Europa capivano che la felicità è la fine del viaggio, che il viaggio è metafora della vita, che il Paradiso attende ogni credente sotto il cielo.
Altre vicende evoca la Cappella di San Pellegrino. Per secoli è stato il luogo di culto della Guardia Svizzera, il corpo armato a difesa della persona del Pontefice che Giulio ii istituì nel 1506. Le pareti sono gremite di affreschi con il nome e lo stemma dei capitani della guardia. Ce n'è uno che mi ha colpito in maniera speciale. La persona ricordata è il capitano Gaspare Rost. L'iscrizione in latino recita cecidit fortiter pugnans in illa infelici urbis direptione pridie non. madii anno 1527.
Ed ecco improvvisamente evocato il terribile maggio del 1527, il Sacco di Roma. Quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg Frundesberg, danno l'assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli ci sono centoquarantasette Svizzeri. Fu uno scontro feroce all'arma bianca; picca contro picca, spada e pugnale contro spada e pugnale. Al termine della macelleria atroce tutti gli Svizzeri del Papa erano morti. Fra gli altri anche il capitano Gaspare Rost che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente vii di ritirarsi con la sua corte nell'inespugnabile Castel Sant'Angelo. Ora che la storia e gli arredi della Cappella di San Pellegrino sono affidati a una pubblicazione piccola e preziosa curata da monsignor Giulio Viviani per i tipi della Editrice Vaticana, mi piace ricordare, fra tutti, Gaspare Rost.



(©L'Osservatore Romano 30 maggio 2010)
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