L'ecclesiologia di comunione e il concilio Vaticano II

Un corpo e un popolo


Si è svolta a Venezia la riunione della rivista internazionale di teologia e cultura "Communio" fondata 38 anni fa da Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e Joseph Ratzinger. L'evento ospitato dal cardinale patriaca di Venezia Angelo Scola si è aperto con un seminario sull'ecclesiologia della comunione. Pubblichiamo stralci di uno degli interventi e un breve resoconto della riunione.

di Erio Castellucci

È diventato comune nell'ecclesiologia adottare la formula "ecclesiologia di comunione" come espressione riassuntiva della visione della Chiesa proposta dall'ultimo concilio. Effettivamente la categoria di "comunione" è centrale nel Vaticano II e sintetizza bene il nucleo della sua visione ecclesiologica. Vanno però avanzate almeno tre precisazioni, che permettono di articolare meglio il contenuto di questa "comunione" e soprattutto di legarlo alla "missione".
Disponiamo oggi di due grandi ermeneutiche del Vaticano II, talvolta indicate con l'uso di binomi dialettici, come:  modello evangelizzatore o ritualista, paradigma democratico o autocratico, Chiesa carismatica o istituzionale, linea progressista o conservatrice, e così via. In effetti queste due impostazioni ermeneutiche, imperniate rispettivamente sull'idea della discontinuità e della continuità, presero avvio subito dopo la conclusione dell'assise conciliare, e vantano entrambe nomi  di  rilievo.  Benedetto XVI ha illustrato con chiarezza le due ermeneutiche - da lui definite "della discontinuità e della rottura" e "della riforma, del rinnovamento e della continuità" - nell'importante discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, dove ha preso nettamente posizione in favore della seconda. La prima ermeneutica "rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi:  solo essi rappresenterebbero il vero spirito del concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. In una parola:  occorrerebbe seguire non i testi del concilio, ma il suo spirito".
L'altra ermeneutica non nega affatto che nei grandi temi trattati dal concilio "poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi. E proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma".
L'ecclesiologia di comunione, dunque, ha soppiantato o integrato quella societaria? L'ha senza dubbio integrata. Per il Vaticano II continua a essere vero che la Chiesa è società, ma questo aspetto viene visto sotto la prospettiva della "comunione" e da essa completato e integrato. Infatti, sia la dimensione societaria che quella comunionale/comunitaria sono bene attestate nei documenti conciliari. Una quindicina sono le ricorrenze significative del linguaggio societario nei testi del Vaticano II. Un centinaio di volte viene utilizzato il linguaggio comunionale/comunitario. Tutti questi aspetti della comunione, se si vuole interpretare fedelmente il Vaticano II, vanno letti assieme:  ne deriva che la dimensione societaria fa parte essenziale e non accessoria della comunione così come il concilio l'ha voluta delineare; una comunione però fondata non solo sull'armonia orizzontale tra le componenti della Chiesa, ma sull'azione trinitaria, cristologica e sacramentale nella vita della Chiesa stessa.
La cosiddetta ecclesiologia societaria era già stata ridimensionata e integrata dalla Mystici corporis nella concezione teologicamente più ricca del "corpo mistico di Cristo", dove ritornava a essere posta in primo piano la presenza attuale e vivificante del Signore nella Chiesa. Il Vaticano II operò, a sua volta, un altro ridimensionamento e un'ulteriore integrazione, estendendo le radici teologiche della Chiesa all'intera storia salvifica. La Chiesa, per l'ultimo concilio, non è solo una società e neppure semplicemente il corpo mistico di Cristo, ma è frutto dell'opera trinitaria dalla creazione all'èschaton; la Chiesa è, come afferma la Lumen gentium citando san Cipriano, "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (4).
La coestensione della Chiesa alla storia salvifica trinitaria si può esprimere con i concetti di mistero e di sacramento. Il primo concetto (Lumen gentium, 1) fa risaltare le dimensioni inimmaginabili della Chiesa, che non può dunque affatto essere guardata come semplice aggregazione umana o addirittura ridotta ad alcune pagine della sua storia; il secondo concetto mette in rilievo la compresenza e coessenzialità nella Chiesa di umano e divino (cfr. Lumen gentium, 8), trascendente e storico:  per cui la Chiesa conciliare non è uno spirito che sorvola la storia e la guarda dall'alto né, inversamente, una semplice società umana che si distingua dalle altre solo per il fatto che si ispira a Cristo. La sacramentalità della Chiesa, poi è continuamente alimentata e nutrita dall'Eucaristia, che la Lumen gentium al capitolo 11 considera come sacramento che "fa" la Chiesa e non solo come sacramento "celebrato" dalla Chiesa. La comunione ecclesiale, lungi dal ridursi ad armonia plico-affettiva, è il radicamento dei battezzati nell'opera trinitaria di raduno della Chiesa:  popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito. È prima di tutto l'adesione all'unica fede nella proclamazione della parola di Dio a rappresentare la radice della comunione ecclesiale (cfr. Dei verbum). Sono i sacramenti, poi, e in special modo l'Eucaristia a rinnovare, nutrire e ricostituire la comunione nella Chiesa (cfr. Sacrosanctum concilium e Lumen gentium, 11). L'assorbimento della categoria di "comunione" nel semplice "andare d'accordo" - molto utile, intendiamoci - ha ridotto la ricchezza teologica dell'ecclesiologia comunionale e ha favorito una prassi cristiana a volte troppo "intimista", rischiando di mettere in sordina l'altra grande dimensione della Chiesa conciliare:  la missione.
Non v'è dubbio che il Vaticano II abbia impostato un'ecclesiologia missionaria, superando decisamente due grandi riduzioni ereditate nel corso degli ultimi secoli. Una prima riduzione riguardava l'assorbimento della missione nelle "missioni", per cui solo chi partiva verso Paesi lontani veniva chiamato "missionario"; una seconda, consisteva nella convinzione che la missionarietà costituisse solo un momento episodico e passeggero della Chiesa che avrebbe avuto termine una volta cristianizzato tutto il mondo. Il Vaticano II supera entrambe le riduzioni, evidenziando la natura missionaria della Chiesa, fondata sulle stesse missioni trinitarie.
È stato proprio l'ultimo concilio a mettere in evidenza come la missione non sia semplicemente una delle attività della Chiesa, ma appartenga alla sua stessa natura. Se, anzi, dovessimo indicare quale delle due costituisca effettivamente la "novità" del concilio, dovremmo scegliere la missione:  l'idea di comunione infatti, pur con fondamenti diversi, strutturava anche l'ecclesiologia della Mystici corporis; ciò che invece rimaneva in sordina era proprio la coscienza di una Chiesa essenzialmente e interamente missionaria, esistente per gli uomini e non per se stessa.
Senza negare dunque l'importanza della comunione nell'ecclesiologia conciliare, si potrebbe però in modo altrettanto pertinente individuare un asse portante attorno al quale ruota tale ecclesiologia nell'idea di missione. Non che le due dimensioni contrastino:  l'una senza l'altra non avrebbe alcun senso, poiché la comunione senza la missione si ripiegherebbe nell'intimismo e la missione senza la comunione sfumerebbe nell'attivismo. La comunione, quindi, più che il "centro" dell'ecclesiologia è uno dei due fuochi dell'ellisse, poiché condivide con la missione la qualifica di asse portante della Chiesa.



(©L'Osservatore Romano 31 maggio - 1 giugno 2010)
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