Cinquant'anni fa l'udienza di Giovanni XXIII a Jules Isaac

La donna che fece incontrare
il Papa e l'ebreo


Maria Vingiani e le origini della dichiarazione conciliare "Nostra aetate"

di Marco Roncalli

"Cara signorina, non vi dimentico, e il progetto di cui abbiamo parlato è sempre bene in mente. La mia intenzione è di realizzarlo all'inizio dell'anno prossimo, se siete d'accordo. Per il momento preparo una conferenza che devo tenere a Parigi, alla Sorbona, il prossimo 15 dicembre".
Chi scrive queste righe, il 28 novembre 1959, è Jules Isaac, storico francese, ebreo la cui famiglia era stata deportata ad Auschwitz nel 1943 - sarebbe ritornato solo il figlio minore Jean-Claude - secondo il teologo Clemens Thoma "uno dei grandi visionari dell'intesa cristiano-ebraica dopo la seconda guerra mondiale", già allievo di Henri Bergson e amico di Charles Péguy, nonché autore di manuali scolastici, ma anche di libri-choc come Jésus et Israel, nel 1948, anno in cui era stato tra i fondatori della prima Amicizia ebraico-cristiana.
La destinataria, invece, è la veneziana Maria Vingiani, instancabile promotrice dell'esperienza del dialogo in Italia, pioniera sin dal 1947 del movimento ecumenico in Italia e fondatrice negli anni del concilio Vaticano II del Segretariato per le attività ecumeniche. È a lei che Jules Isaac ricorda il "progetto", insieme all'annunciata "conferenza" che doveva in qualche modo favorirlo.
Alla Sorbona il professore avrebbe rilanciato il suo appello alla coscienza cristiana e a Roma affinché il Papa prendesse atto della "necessità di raddrizzare l'insegnamento concernente Israele" e - questo il "progetto" - gli concedesse quell'incontro da lui prefigurato già all'indomani dell'elezione di Giovanni XXIII.
Jules Isaac e Maria Vingiani si erano conosciuti a Venezia il 16 settembre 1957. Lui nella laguna per motivi culturali insieme al figlio sopravvissuto alla Shoah, lei giovane assessore alle Belle Arti della "Serenissima". Lui le aveva donato il suo Jésus et Israel - definito "il grido di una coscienza indignata" - l'aveva messa al corrente dei suoi studi sull'antisemitismo, della sua passione per la verità, e della missione che si era dato:  far conoscere Gesù agli ebrei, Israele ai cristiani. Lei gli aveva parlato dei suoi impegni culturali e religiosi, e del patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, che proprio l'anno prima aveva dedicato la sua lettera pastorale per il quinto centenario della morte di san Lorenzo Giustiniani a un rilancio della conoscenza della Bibbia:  "tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento", da rendere "d'uso comune e familiare". Sarà la stessa Vingiani, parecchi anni dopo a dire che, quando Roncalli fu eletto Papa, Jules Isaac avvertì subito che poteva riporre speranza in colui che pochi anni prima, inaugurandosi una linea diretta di navigazione Venezia-Haifa (il patriarca Roncalli lì per una benedizione, la Vingiani al varo come madrina), aveva confidato che si trattava già di una buona cosa, ma che sarebbe stata ancor meglio un'alleanza fra Roma e Gerusalemme.
Ecco allora la richiesta di un'udienza, carica di attese. Chiedendola, Jules Isaac aveva allegato anche un dossier dal titolo eloquente "Della necessità di una riforma dell'insegnamento cristiano nei confronti di Israele", che tuttavia non arrivò sulla scrivania del Papa. In ogni caso l'udienza speciale venne assicurata attraverso l'ambasciata francese e l'anziano storico preparò con cura il suo viaggio, chiedendo ragguagli a tante persone (da François Mauriac ad André Chouraqui, da padre Paul Démann a monsignor Charles-Marie de Provenchères arcivescovo di Aix en Provence, dall'ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Guy Le Roy de la Tournelle, ad alcuni cardinali).
Se il 15 gennaio 1960 non aveva nascosto alla Vingiani "tutte le difficoltà per portare a termine l'azione" augurandosi "Spero mi sarà possibile venire a Roma (...) Sono persuaso che i nostri scambi di pensieri a Venezia non sono stati inutili e che Lei sta lavorando per abbattere le alte barriere dei pregiudizi", se il 21 maggio seguente poteva informarla con le parole "La questione è a una svolta (...) Ho comunicato all'ambasciatore de la Tournelle che sarò a Roma dall'8 giugno - all'indomani di Pentecoste - e mi dicono che l'udienza potrà essere richiesta a partire dal 10", quando Jules Isaac fu a Roma, l'udienza parve cancellata con il pretesto dei numerosi impegni del Papa (e a sua insaputa).
E così, dopo una telefonata urgente, la Vingiani si precipitò all'hotel Commodore. Lì, trovato nella hall Jules Isaac, che, lacrime sul viso, si lamentava, prontamente lo rassicurò. Consapevole dell'importanza di questo incontro non solo per l'amico, ma anche per il Pontefice, convinta che i due dovessero parlarsi e confrontarsi, riuscì subito "per vie legittime, pur se improprie" - parole poi usate dal segretario del cardinale Bea, padre Schmidt - a rendere possibile l'udienza.
Non era il suo primo incontro con un Papa:  nel 1949, a Castel Gandolfo, ne aveva avuto uno brevissimo con Pio xii al quale aveva lasciato i dieci punti fissati dalla Conferenza di cristiani ed ebrei di Seelisberg - una base di partenza per il dialogo fra cristiani ed ebrei - che il Papa non conosceva e che promise di leggere. Era il 16 ottobre, sei anni prima era avvenuta la deportazione degli ebrei dal Ghetto nella capitale. Pio xii - raccontò Isaac - gli era parso "assai emozionato":  nulla poi aveva più saputo.
Questa volta però l'udienza avrebbe potuto essere assai più decisiva:  Giovanni XXIII aveva già annunciato il concilio. Alle 11 un segretario d'ambasciata si recò a prendere Isaac all'hotel e ad accompagnarlo in Vaticano. Il resto è stato più volte raccontato dallo stesso Isaac. Le guardie svizzere gli resero omaggio. Gli fu comunicato che il Papa era stanco perché al solito, si era alzato presto, perché vi erano numerose udienze, e così via.
Arrivò il momento atteso. Papa Roncalli lo ricevette in piedi, Isaac si inchinò e Giovanni XXIII gli porse la mano invitandolo a sedere accanto a lui - "incarnava la semplicità", "non sembrava affaticato", "una bontà che ispirava confidenza".
Come previsto, il Papa iniziò la conversazione, parlando del suo culto per l'Antico Testamento, i Salmi, i Profeti. Parlò del suo nome scelto pensando anche alla Francia, chiese dove fosse nato e lui lo portò sul suo terreno. Probabilmente il Papa leggeva nel suo interlocutore i versetti 1-3 del Salmo 128 - "Dalla giovinezza, molto mi hanno perseguitato - lo dica Israele - dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato, ma non hanno prevalso". Jules Isaac ebbe tempo per esporgli i punti essenziali della sua conferenza alla Sorbona, sottolineò la necessità che il capo della Chiesa cattolica condannasse in modo solenne l'insegnamento del disprezzo e la sua essenza anticristiana, e che del tema si occupasse il concilio.
Alla fine, dopo circa mezz'ora, prima del congedo, chiese:  "Posso avere almeno un briciolo di speranza?". E Giovanni XXIII:  "Molto più che una speranza, lei ha diritto di avere", aggiungendo:  "Sono il Capo, ma devo anche consultarmi, far studiare dagli uffici le questioni sollevate, qui non c'è una monarchia assoluta". La consegna però era avvenuta. Il Papa l'aveva fatta sua.
Anche se i due anziani protagonisti di quell'incontro di cinquant'anni fa, morirono di lì a poco, l'udienza segnò una svolta. Sul diario papale solo un cenno all'incontro di quel 13 giugno 1960 con "il prof. Jules Isaac" definito "interessante", aggettivo che copre tante cose:  probabilmente pure il pensiero immediato di una messa a tema del dialogo ebraico-cristiano fra i lavori conciliari.
Fu lo stesso Papa Giovanni a darne incarico al cardinale Agostino Bea, biblista, conoscitore dell'ebraismo. Vi si sarebbe impegnato obbedendo anche a una vocazione personale. Da qui le origini del percorso che, fra molte difficoltà, specie da parte di cristiani-arabi e tradizionalisti, porterà alla dichiarazione conciliare Nostra aetate. Promulgata nel 1965, all'inizio del testo - com'è noto - sottolinea il valore spirituale del vincolo che unisce il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo. Forse non proprio il testo immaginato da Isaac per le attese particolari in realtà diluite in un documento sulle religioni, e tuttavia un documento importante. Alla base di futuri incontri inimmaginabili:  in chiesa e in sinagoga. Alla base di quel rapporto nuovo fra cristiani ed ebrei purificato da pregiudizi e stereotipi che ogni giorno dobbiamo tenere aperto.



(©L'Osservatore Romano 14-15 giugno 2010)
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