A vent'anni dall'incendio il capolavoro architettonico di Guarini attende ancora un organico intervento di restauro

Non abbandoniamo
la Cappella della Sindone


di Paolo Portoghesi

La recente ostensione nel Duomo di Torino della Santa Sindone, momento solenne di edificazione per il popolo cristiano, ha avuto un'eco significativa sulla stampa italiana e internazionale. Con grande efficacia Lucetta Scaraffia ne ha messo in rilievo su questo giornale l'importanza, aldilà delle dispute sulla sua datazione, come affermazione della esistenza storica di Gesù che non fu un essere mitico, ma un Dio che si incarna per salvare gli esseri umani:  fatto che segna una differenza non omologabile rispetto a qualsiasi altra religione.
Pochi tuttavia hanno messo in rilievo il fatto che la cappella costruita da Carlo Emanuele di Savoia per ospitare la preziosa reliquia, un autentico capolavoro della architettura seicentesca, a più di venti anni dal terribile incendio che l'ha colpita, è stata solo messa in sicurezza e difficoltà burocratiche ostacolano ancora l'inizio dei lavori di restauro.
L'architetto che progettò la cappella, Guarino Guarini, sacerdote, filosofo e matematico insigne è tra i grandi protagonisti della architettura del Seicento l'unico che abbia scritto un trattato di architettura. Oltre alle numerose opere italiane, Guarini progettò e in parte realizzò delle chiese a Parigi, a Praga, a Lisbona e il barocco settecentesco dell'Austria, della Germania Meridionale, della Boemia, della Moravia, della Polonia recano l'impronta della sua ricerca che utilizza le forme geometriche elementari per realizzare una complessa spazialità dinamica.
La Cappella della Sindone collocata dietro l'abside del Duomo di Torino e visibile dalle navate attraverso un finestrone, è collocata a un livello superiore, quello del retrostante Palazzo Reale, configurandosi quindi come Cappella Palatina.
In tutto il suo sviluppo, lungo l'arco di due millenni, l'architettura cristiana non ha mai espresso con altrettanta efficacia senza l'ausilio delle arti figurative, il mistero della morte, della passione e della resurrezione del Cristo, offrendo ai fedeli l'occasione di riviverne emotivamente le tappe di fronte alla testimonianza del Santo Sudario che reca l'impronta della figura umana del Salvatore. Per certi aspetti la cappella torinese si riallaccia alla storia del complesso monumentale del Santo Sepolcro di Gerusalemme che è stato alla base di una serie di repliche nel mondo occidentale, esempio straordinario di una realtà atopica universale, aggiungendo però alla sacralità della memoria un intento drammatico di rievocazione dell'evento storico.
Le due scale di accesso realizzate in marmo nero evocano nella mente dell'osservatore un senso di ascesa sacrificale. La convessità respingente dei gradini trasforma il percorso in salita in una vera e propria Via Crucis che ha la sua conclusione in una sorta di tempietto circolare incastonato nello spazio cilindrico della cappella. Il pavimento di questo tempietto, cosparso di stelle luminose, realizzate in ottone, introduce il tema cosmico del rapporto tra la terra e il cielo che caratterizza l'intero complesso architettonico. Le stelle evocano il cielo e si ritrovano sia nel pavimento dello spazio centrale che circonda l'altare della Sindone, sia al centro della cupola, sia sulle superfici che chiudono i tre grandi arconi sui quali poggia l'imposta del tamburo.
Fin dal pavimento del tempietto quindi e poi ripetutamente attraverso il tema delle stelle, terra e cielo si confrontano, si avvicinano e si fondono emblematicamente evocando il valore salvifico della morte di Cristo. Lo stesso intreccio, in una sorta di coincidentia oppositorum caratterizza il rapporto tra ombra e luce, un'ombra intensa che cova nelle qualità della materia e fa presagire le tenebre e una luce che filtra dall'alto attraverso lucernari, finestre, oculi e guida lo sguardo verso l'alto dove appare la cupola, simile a un cesto trasparente, coronata da una stella a dodici raggi che circonda l'immagine dello Spirito Santo. Poiché la Santa Sindone testimonia la morte di Cristo, Guarini ha pensato a una "sacra rappresentazione" senza attori, tutta recitata, espressionisticamente, dall'invaso architettonico e dai suoi dettagli. Se le corone di spine che sporgono dai bellissimi capitelli metallici alludono alla passione, le cornici accidentate dei varchi che danno accesso ai tre cori sopra i tempietti di accesso, sembrano alludere al terremoto ricordato nel Vangelo di Matteo (27, 51) mentre l'aspetto tenebroso della pietra con lo strano effetto della luce radente che non genera contrasti sembra rievocare quella eclissi solare del mezzogiorno citato da Marco (15, 33-34):  Et facta ora sexta, tenebrae factae sunt per totam terram, usque in horam nonam. Et hora nona exclamavit Jesus voce magna, dicens:  Eloi, Eloi, lamma sabactani? Quod est interpretatum:  Deus meus, Deus meus, ut quid reliquisti me?
Nella struttura della cupola Guarini sviluppa il tema in modo originalissimo mettendo in scena la tragedia della morte di Dio. Si rifà in parte al tiburio lombardo ripreso da Borromini in Sant'Ivo alla Sapienza, ma ne trasforma radicalmente sia l'impianto strutturale che la suddivisione in zone. Il tamburo con le sei aperture ad arco mantiene la autonomia tradizionale, la lanterna come fonte luminosa viene abolita e sostituita da un coronamento cilindrico sovrastato da una cuspide piena, mentre piccole finestre si aprono nel corpo della cupola vera e propria alleggerendola fino a trasformarla in una maglia scattante di piattabande sovrapposte percorsa all'interno, dall'alto verso il basso, da membrature a zig-zag, possibile allusione all'angelo che assiste alla resurrezione (Matteo, 28, 3) descritto con l'apparenza di una folgore. La forza ascensionale del motivo strutturale degli archi sovrapposti attraversati dalla luce (che diventa abbagliante in certi punti di osservazione e lascia in altri scorgere l'azzurrità del cielo) evoca il Christus-Sol e l'evento della resurrezione con mezzi astratti, rigorosamente architettonici, così che il Sudario, che copriva il corpo del Signore nel sepolcro, acquista un ruolo centrale nell'ambito di un dramma che è tutt'uno con le mura, gli spazi, le luci della cappella, all'interno della quale i fedeli sono nello stesso tempo spettatori e attori.
Guarini viene incaricato del progetto trent'anni dopo la decisione di costruire la cappella che viene all'inizio affidata ad altri architetti come Ascanio Vitozzi e Amedeo di Castellamonte e utilizza la pietra già scelta per la costruzione; ma il suo intervento, se conserva dei vecchi progetti l'idea delle scale e dello spazio cilindrico, si sviluppa in modo rivoluzionario non limitandosi a suggerire significati simbolici, secondo la tradizione della iconologia, in modo criptico, rivolgendosi quindi all'osservatore colto. Qui al contrario, Guarini cerca di influenzare lo stato d'animo dell'osservatore in modo diretto attraverso una sorta di empatia riallacciandosi all'oratoria popolaresca dei Sacri Monti ma senza il facile strumento della raffigurazione realistica.
Un'influenza importante nella definizione del programma iconologico della cappella ebbe senza dubbio un libro, scritto dal teologo Camillo Balliani e pubblicato a Torino nel 1624 (Ragionamenti sopra la Santa Sindone di N.S. Giesù Christo) in cui è messo in luce il contrasto luce tenebre che si intreccia alla narrazione della Passione:  "Chi bene considera la sacratissima notte di questo misterioso giorno (il Sabato Santo) troverà che ella fu il fine dell'aspre e sanguinose battaglie dell'invittissimo capitano nostro, Christo e 'l principio de' suoi gloriosissimi trionfi contro il Principe delle tenebre" e, a proposito della Sindone:  "Sappiamo ancora che il sangue è simbolo della vita. Havendo dunque nostro Signore lasciato sopra questa Tela dipinta la sua immagine col proprio sangue, volse con questa divina impresa dar ad intendere, che mentre havrà vita non abbandonerà la Chiesa (...) Con questa invenzione di lasciare nella Sindone impressa la dolorosa stampa di quello, che passò nella passione, volse Christo, che la Sindone ci fosse regola per misurare la grandezza della luce, della gloria e della maestà della resurrezione... Da queste oscurezze, e da questi horrori in vece di raggi fù aggirato il nostro sole Christo mentre stette coperto sotto questo sacro lenzuolo. E se devono essere corrispondenti, e pari gli honori e gli obbrobri, la gloria alla confusione, la consolatione à i tormenti, gli splendori alle tenebre, convien dire che:  ineffabile, e incomprensibile fosse la vaghezza, la gloria, la maestà e lo splendore di Christo resuscitato".
Guarini, che probabilmente aveva conosciuto a Torino Emanuele Tesauro, si attiene nella sua cappella alla tecnica retorica della "persuasion populare", così descritta nel Cannocchiale Aristotelico:  "Tutta l'arte degli evangelici dicitori consiste nel mescere in guisa il facile col difficile che in un popolo mescolato di dotti e di idioti, né i dotti sentan nausea per il troppo intendere, né gli idioti, sentan noia per non intendere:  e questa misura è la vera persuasion populare". Anche l'imparamento veloce, altro cardine della persuasione è alla base della invenzione guariniana che al pellegrino che visita la Sindone offre non una narrazione analitica, ma una impressione sintetica, quasi istantanea dell'irriducibile conflitto tra il bene e il male, nella notte del Sabato Santo.
Un triste destino ha accompagnato, lungo tutta la sua vita, Guarino Guarini; gran parte delle sue opere è rimasta sulla carta, alcune come Sant'Anna Reale a Parigi, di cui Gianlorenzo Bernini visitò il cantiere durante il suo soggiorno in Francia, furono modificate e distrutte, altre, come la facciata dell'Annunziata a Messina, colpite dal terremoto. Ciò nondimeno la sua ricerca, insieme razionale e fantastica, possedeva una grande potenzialità didattica ed ebbe una influenza determinante sullo sviluppo della architettura barocca. L'incendio di Torino che ha colpito gravemente il suo capolavoro sembra finora aver perpetuato l'infelice destino della sua opera. Arrendersi a questo destino, oggi, che la tecnica edilizia ha raggiunto, continuando l'insegnamento guariniano, traguardi che sembravano irraggiungibili, sarebbe doppiamente colpevole, segno di inerzia e di ingratitudine.



(©L'Osservatore Romano 10 luglio 2010)
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