I vent'anni del Comitato nazionale per la bioetica italiano

La prospettiva
autenticamente laica dei cattolici


di Roberto Colombo

Vent'anni fa, il 13 luglio 1990, il Comitato nazionale per la bioetica italiano (Cnb), istituito con decreto dell'allora presidente del Consiglio dei ministri Giulio Andreotti, iniziava la sua attività. Il comitato è organo di consulenza presso il Governo italiano, il Parlamento e le altre istituzioni, e di informazione nei confronti dell'opinione pubblica sui problemi etici, sociali e giuridici connessi agli sviluppi della ricerca e della pratica clinica nell'ambito delle scienze della vita e della salute.
La sua costituzione era stata preceduta e sollecitata da un dibattito parlamentare nell'estate del 1988 che orientava - come spiegò il ministro della Sanità Carlo Donat Cattin nella sua replica in aula - verso un comitato "con la presenza dei diversi orientamenti ideali e scientifici, di altissimo livello, nonché con le competenze scientifiche, etiche e umanistiche necessarie per dare valutazioni e indirizzi rispetto a tutti i problemi che riguardano la dignità e la libertà della persona umana" sia nei contesti della ricerca scientifica e biotecnologica che in quelli della clinica medica e chirurgica.
Da allora si sono succeduti nel Cnb sei mandati che hanno visto la partecipazione impegnata e appassionata di eminenti figure di studiosi cattolici nei diversi settori che concorrono alla formazione interdisciplinare della bioetica, tra i quali monsignor Elio Sgreccia (fino al 2006), Adriano Bompiani (primo presidente) e Francesco D'Agostino (due volte presidente). La produzione di documenti da parte del Cnb (che nel ventennio si è articolata in 87 pareri, 11 mozioni e 3 risposte a quesiti) ha spaziato dalle questioni di inizio e di fine della vita umana - identità e statuto dell'embrione umano, fecondazione medicalmente assistita, diagnosi prenatale, gravidanza e parto, dichiarazione anticipata di trattamento, definizione e accertamento della morte nell'uomo, donazione di organi - a quelle dell'infanzia, dell'adolescenza e dello sport; dai problemi etici relativi alla sperimentazione farmacologica a quelli che concernono i test genetici, la terapia genica, l'impiego terapeutico delle cellule staminali e la brevettabilità degli organismi viventi; alle questioni ambientali alle biotecnologie, alla clonazione e all'impiego degli animali nelle attività di ricerca biomedica, fino ad altri temi scientifici ed etici che si ritrovano nella imponente opera di documentazione, di studio e di dibattito compiuta dal comitato.
È opinione di alcuni che la bioetica abbia due soli possibili destini:  quello di essere inutile, e perciò superflua, o quello di essere invadente, scomoda. Inutile, quando le sue affermazioni sembrano non aggiungere nulla a ciò che l'uomo contemporaneo già sa attraverso l'opinione che si è costruita della realtà o l'immagine che di essa riceve attraverso gli occhi delle scienze empiriche e umane, cui accorda un credito preferenziale (talvolta esclusivo) nell'orizzonte della conoscenza. Invadente, quando ha la pretesa di avventurarsi in giudizi sulle azioni dell'uomo, osando appellarsi alle categorie del bene e del male e addentrandosi così, attraverso la ragione pratica, in un territorio che si vorrebbe rigorosamente privato, sottratto a ogni valutazione che abbia valenza pubblica, di natura educativa o normativa.
Ciò che è superfluo lo si può abbandonare senza troppi rimpianti per fare spazio ad altro, e quanto risulta scomodo è opportuno scrollarselo di dosso alla prima occasione per essere più liberi di muoversi a proprio piacimento. Così, in un recente congresso di medicina può accadere di ascoltare, durante un dialogo conviviale, che "non si guadagna nulla a leggere i libri di bioetica, perché ripetono quello che è già scritto nella letteratura scientifica, dando suggerimenti su quello che noi facciamo da anni senza che nessuno ce lo venga a dire", cui fa eco la perentoria affermazione di un moderatore di sessione, secondo il quale "di leggi e di tribunali ne abbiamo già a sufficienza, e la bioetica vuole togliere quel piccolo spazio che è ancora rimasto alla libertà del medico e del ricercatore di organizzare il proprio lavoro come meglio crede".
Chi decide di scorrere i testi prodotti dal Cnb potrà smascherare la fragilità di questo duplice pregiudizio. Attraverso la pazienza e la tenacia di coloro che hanno alimentato e ricucito un serrato confronto tra posizioni e tesi spesso tanto lontane quanto reciprocamente ignorate - un confronto nel quale la relazionalità interpersonale acquista un rilievo singolare, che chi segue la tradizione filosofica di matrice socratica è solito chiamare "dialogo" - emerge come la bioetica non è nata per narrare l'ovvio, legittimare l'esistente o legare le mani a chicchessia, ma per ricercare, attraverso la ragione in dialogo, le verità profonde che danno dignità e bellezza alla vita fisica dell'uomo e che in una stagione di sorprendente innovazione tecnologica corrono, più che in altre epoche, il rischio di essere smarrite. Quanto sia arduo individuare queste ragioni e in quanti diversi modi sia possibile esprimerle e argomentarle lo potrebbero raccontare i protagonisti di questi venti anni di attività del Cnb, mentre le righe dei suoi documenti lasciano solo trasparire la trama e l'ordito di un tessuto lavorato a più mani esperte e abili, ma inevitabilmente diverse tra loro.
Il lettore di Platone sa bene quanti dialoghi restino irrimediabilmente aperti, senza che si affermi il prevalere di un'opinione su di un'altra, e questo è quanto è accaduto nel Cnb, a servizio della ricerca della verità, non del potere o della egemonia culturale, e nella consapevolezza della responsabilità di ciascuno nei confronti delle tentazioni assolutistiche della scienza e della tecnica.
Come ha scritto Benedetto XVI, "campo primario e cruciale della lotta culturale tra l'assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell'uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale:  se l'uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio. Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità:  quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell'immanenza" (Caritas in veritate, 74). Nella prospettiva di una razionalità aperta all'Assoluto si è mosso e si muove il contributo dei cattolici per una bioetica autenticamente laica.



(©L'Osservatore Romano 16 luglio 2010)
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