Nell'ora suprema del Getsemani Gesù riprodurrà il "fiat" originale di Maria

La libertà di chi ama


di Timothy Verdon

Se la preghiera è, come credeva Agostino, un nostro dire le cose con Cristo e il suo dirle con noi, allora non vi è maestra di quest'arte più grande, dopo Cristo stesso, di Maria sua madre. "Dopo Cristo" in ordine gerarchico, s'intende, non temporale, perché nell'ordine del tempo era Maria a insegnare "le preghiere" a Gesù, come fanno le madri credenti con i loro bimbi appena questi siano in grado di pronunciare, anche storpiandole, le parole. Immaginiamo la Vergine che "dice col figlio" una preghiera, ed Egli che la ridice con lei; abbiamo già notato come nell'ora suprema del Getsemani Gesù riprodurrà il fiat originale di Maria; perché non accettare allora che, sul piano umano e nell'ordine del tempo, il Figlio di Dio abbia imparato anche altre preghiere, e lo stile d'orazione e gli atteggiamenti e i gesti, prima che da altri, da lei, sua madre.
Certo, per la teologia è vero il contrario. Ma nella cristologia il tempo è fluido, e nella parte superiore di questa tavola l'artista ha collocato, come in una finestra, Gesù adulto crocifisso e deposto, con le braccia incrociate sul petto per la sepoltura:  il vir dolorum. L'abbinamento inconsueto della nascita e della futura morte - col bambino che guarda su, verso se stesso trentatré anni dopo - traduce un passo della Lettera agli Ebrei, dove si afferma che, "entrando nel mondo, Cristo dice (al Padre):  "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta (...) un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto:  Ecco io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare o Dio la tua volontà"" (10, 5-7); a scanso di equivoci, poi, lo stesso testo specifica che "mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre" (10, 10). Quasi chiosando questo passo, san Leone Magno dirà che "l'unico scopo del Figlio di Dio nel nascere era di rendere possibile la crocifissione. Nel grembo della Vergine Egli assunse una carne mortale, e in quella carne mortale ha compiuto la sua passione" (Trattato, 48, 1).
In questa prospettiva teologica non era il fiat di Maria, prima nell'ordine del tempo, a predisporre quello di Gesù nell'orto del Getsemani, bensì l'infinito valore del fiat pronunciato da Lui nell'orto del Getsemani e sulla croce ad aver potenziato anticipatamente la libertà della madre, come erano i meriti della sua passione (ancora da compiersi) ad assicurare a Maria il privilegio dell'Immacolata concezione.
Questo difficile discorso teologico non contraddice però l'altro, più semplice e umano:  la donna che nel dipinto prega davanti al Neonato è la stessa che gli insegnerà poi a camminare, a parlare, a dire le preghiere, perché Egli è contemporaneamente vero Dio e vero uomo, fuori del tempo e dentro il tempo. Questo punto è fondamentale per il tema della preghiera, perché - come sa chiunque si rivolge a Dio regolarmente - se da una parte siamo noi a cercarlo per le nostre necessità, dall'altra è stato Lui ad averci cercati per primo. La preghiera, se fatta bene, è libera, ma la nostra libertà è un dono Suo; la divinità di Cristo richiede il tributo della nostra preghiera, ma è la nostra risposta a permettere alla sua umanità di pregare in noi. "Noi preghiamo Lui, per mezzo di Lui e in Lui; diciamo con Lui ed Egli dice con noi" (Esposizione sul Salmo 85).
Questa reciprocità della preghiera è il soggetto di un dipinto di eccezionale bellezza, la Madonna col Bambino di Antonello da Messina oggi a Washington. Fa vedere la Madonna meditabonda e il piccolo Gesù che, mentre ci guarda, infila la manina nella veste della mamma perché vuole poppare. L'interiorità contemplativa di Maria, che "custodisce" nel cuore le cose riguardanti suo figlio e le medita (Luca, 2, 19), e l'azione decisa del bambino creano un curioso contrasto:  lei, più grande, ma passiva davanti a lui che, pur piccolo, sa quello che vuole. E che cosa vuole? Vengono a mente le parole che, molti anni dopo, Gesù rivolgerà a un'altra donna accanto a un pozzo:  "Dammi da bere" (Giovanni, 4, 7b). Anche qui infatti il Figlio di Dio ha sete e vuole bere:  la donna, sua madre, medita, ma il pargolo chiede una cosa concreta a cui ha diritto. Ecco, nella quiete della preghiera, il cuore umano si arrende alle concrete esigenze di Dio, riconoscendo che sono giuste e che Egli infatti ha diritti su di noi. Rimaniamo liberi, lo amiamo, ma sappiamo che è stato Lui ad amarci per primo.
In questo dipinto la preghiera raccolta della madre davanti al Figlio che esige di bere è, sì, meditazione. Ma è anche una risposta alle esigenze di una situazione reale:  lei è madre, lui è figlio e piccolo, e così Maria prega accettando semplicemente di fare il proprio dovere; la sua "passività" qui infatti connota accettazione. Ma guardiamo ancora il bambino:  è così sicuro di sé, come sono i bambini in queste circostanze, vuole qualcosa, conosce la mamma, sa che non  gli dirà di no. Così è Dio con chi lo ama:  all'interno di situazioni reali e alla luce dei doveri di tutti i giorni,  si fa vicino e chiede cose a cui ha diritto. Noi preghiamo Lui, ma  anche  Lui  in un certo senso prega  noi:  "Dammi da bere", dice. E fa capire che Chi chiede è capace di far scaturire, nell'anima che gli concede  quanto  vuole,  sorgenti d'acqua viva, vita senza fine (Giovanni, 4, 14).



(©L'Osservatore Romano 1 agosto 2010)
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