Storie di conversione:  Nina Hagen

L'amore nuovo della rocker ribelle


di Silvia Guidi

"Non c'è niente di più trasgressivo ed eccitante dell'ortodossia" scriveva Chesterton, con il suo inguaribile amore per il paradosso urticante, volutamente fastidioso, l'unica risorsa dialettica ancora capace di épater le bourgeois del nichilismo gaio di cui l'apologeta inglese nei primi decenni del Novecento cominciava a vedere le prime avvisaglie.
Nina Hagen, storica icona rock amata da Wim Wenders e Pedro Almodóvar, da due anni a questa parte ha scoperto che è proprio così, che Chesterton aveva ragione:  di nichilismo non è facile vivere e di nichilismo, in molti casi, si può morire. L'ha scoperto senza rinnegare niente della sua storia, portando alle estreme conseguenze la lotta contro il perbenismo sonnolento e compiaciuto di sé che tanti anni prima, ragazzina della ex Ddr prima della caduta del Muro, le aveva dato lo slancio e la grinta per gridare su un palco tutta la sua ribellione, incoraggiata dal cantautore dissidente Wolf Biermann.
Biermann, compagno di sua madre, la invitava a non lasciarsi mai omologare e plasmare dagli automatismi della mentalità dominante; in quegli anni per Nina la contestazione punk coincideva con l'affermazione della propria irripetibile unicità contro tutto e tutti e la determinazione a non farsi schiacciare dai diktat etici ed estetici del pensiero unico condiviso, voluto e imposto capillarmente dal potere economico, politico, culturale provvisoriamente egemone. Con la musica rock e un'ironia corrosiva come alleate nella costante tensione a smantellare ogni ipocrisia e svuotare i riti sociali della loro parvenza di necessità immutabile, Nina sentiva di poter vincere, da sola, la sua sfida contro il mondo.
Ma il tempo, "grande scultore" secondo la bella definizione della Yourcenar, proprio mentre le stava regalando successo, fama, popolarità, insieme alla stima e all'affetto di tanti amici, scalpellava via, anno dopo anno, scorciatoie illusorie, false partenze e soluzioni apparenti, svelando l'impotenza ultima di ogni anelito autarchico e anarchico alla liberazione dell'io. Se non alimentata dall'esterno, presto o tardi anche l'originalità artistica più brillante diventa caricatura di se stessa, monologo autoreferenziale, narcisista e sterile "moda". E la moda, come scrive Leopardi nelle sue Operette morali, è sorella della morte; entrambe nascono dalla caducità. Lo sperimenta anche Nina.
Alla gioia di comunicare se stessi cantando dal vivo davanti a migliaia di fan si affiancano presto i tributi alla liturgia del circo Barnum del rock e le leggi non scritte dello show business. Il "personaggio" rocker è costretto a rilanciare ogni volta la posta della sua popolarità se vuole sopravvivere, inciampando nello sberleffo gratuito e nella spacconeria banale. Il grido autentico espresso dalla musica si perde in goliardate adolescenziali di dubbio gusto, la ribellione contro l'Apparato, il Palazzo, o il Potere in genere diventa ribellismo di maniera, vacuo quando non autodistruttivo, nel migliore dei casi astratto e fuori dalla storia.
La maschera, presto o tardi, soffoca il viso e lo rende uguale a quello di mille altri; il desiderio di eternità che vibra nello slogan Punk never die sbiadisce sui muri come i colori di un graffito di periferia o la scritta di un ragazzino su un banco di scuola, fino a confluire in un conformismo ribellista ancora più insidioso del perbenismo formale che si voleva combattere.
Chi o che cosa è capace di tutelare la libertà espressiva e la "vita autentica" del singolo, se non siamo capaci nemmeno di tutelare noi stessi? Se l'uomo non riesce a salvarsi da solo, chi o che cosa può farlo? È a questo punto che diventa decisivo l'incontro con l'Uomo più genialmente anticonformista della storia, il "Rivoluzionario divino" disposto a dare la vita per permettere agli uomini di vivere pienamente e per sempre.
Battuta e conquistata sul suo stesso terreno, l'anima barricadera di Nina si arrende, accetta di lasciarsi raggiungere da questo nuovo, antichissimo, tenace Amore che da anni la insegue e le tende continui tranelli affettivi. Dio - spiega la Hagen - l'ha raggiunta attraverso la gioia di amare ed essere amata, il miracolo costante dell'amicizia, il dono della maternità ricevuto con i figli Cosma e Otis, la felicità di dare senza risparmio tempo, cura e tenerezza a due piccoli esseri totalmente indifesi che nei loro primi giorni di vita possono ricambiare solo con pianti interminabili, misteriosi mal di pancia in piena notte e sorrisi sdentati.
Dio fatto uomo e presente nella storia le ha teso continue imboscate artistiche e professionali, attirandola a sé con il dono di una voce che si arrampica agevolmente sulle difficoltà tecniche più impervie e con la profonda, intensa commozione che le comunica da sempre la musica gospel.
Guardando con lealtà la sua esperienza, frutto di mezzo secolo di vita, Nina si è accorta che il Dio fatto uomo, il "suo" Personal Jesus (il titolo del nuovo album che uscirà in Italia a settembre) la corteggia da sempre con le modalità più fantasiose, impreviste e rispettose della sua libertà, e da sempre, con infinita pazienza, la invita a un dialogo personale con Lui.
"Non ho nessun nuovo stile - spiega la Hagen a Giancarlo Riccio, il giornalista de "L'Espresso" che l'ha raggiunta qualche giorno fa a Berlino per capire se la sua conversione è una trovata pubblicitaria o meno - Io sono musicista e cantante e ho abbracciato le radici del gospel americano delle origini e la musica rock per tutta la vita. Riascolti i miei dischi quando avevo 18 anni:  ci troverà già molte canzoni gospel, come ad esempio i Mahalia Jackson-Hits, Right on Time, Gonna Live the LifeHold me... Ave Maria, Spirit in the Sky".
È sempre la stessa, Nina, ma negli anni il generico rispetto, venato di indifferenza, per il Figlio di Dio è diventato progressivamente un dialogo serrato, intimo, personale. Expertus potest credere quid sit Iesum diligere si legge in un antico inno della tradizione cristiana:  tenerezza, protezione, amore incondizionato, paziente e concretissimo, capacità di un perdono che rigenera e ricava "acqua pura con l'acqua sporca - come scrive Péguy - acqua giovane dall'acqua vecchia, anime chiare da anime torbide" una trasformazione impossibile all'uomo, segno inequivocabile del Divino.
A 55 anni, Nina scopre che c'è un modo molto semplice per non aver paura del tempo che passa:  diventare amici del Padrone del tempo e della storia. Per questo nel suo sito internet ufficiale, accanto alla foto di scena in parrucca blu elettrico e occhi bistrati, in cui fa il verso alla Sally Bowles di Liza Minnelli in Cabaret, ha voluto inserire un santino da prima comunione, con una elegante grafica in stile liberty inizi del Novecento, e una citazione dal salmo 18 "Ti siano gradite le parole della mia bocca/ davanti a te i pensieri del mio cuore/ Signore, mia roccia e mio redentore". Per fare outing, come va di moda dire adesso, e ribadire che il nuovo album è "un desiderio del cuore, una preghiera del cuore che si è realizzata".
La Hagen non potrebbe essere più esplicita:  "Questo disco è un omaggio al mio Creatore, all'autore della mia vita Gesù Cristo e a tutti gli uomini". "Ognuno ha bisogno di un Personal Jesus?" le chiede Giancarlo Riccio. "Sì; è costruire giorno per giorno un rapporto personale con il nostro Creatore". Nina rilancia, insiste, ci tiene a ribadire il concetto:  l'incontro personale con Gesù è stato il più grande successo della sua vita. "Lei è anche attrice e performer. In quale parte del mondo ha raggiunto il successo maggiore?" chiede il giornalista. "Nella patria dell'anima. Non è un luogo geografico". "Insiste nel dire che ama Dio. Perché lo ama?" continua il giornalista de "L'Espresso". "Perché lo conosco - ripete la Hagen - Dio si è continuamente manifestato nella mia vita. Io sono sua figlia e lo sarò per sempre; è stato Lui che mi ha amato per primo".



(©L'Osservatore Romano 3 settembre 2010)
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