Il "Rigoletto" in tv

Se il duca parla a Garimberti

di Marcello Filotei


"Con un detto, un detto sol tu puoi, le mie pene, le mie pene consolar". Chissà se il presidente della Rai si è accorto che le parole di Francesco Maria Piave erano indirizzate proprio a lui. Si dirà che invece sono solo il volgarotto approccio del duca di Mantova a Maddalena nel terzo atto del Rigoletto di Verdi, sulla melodia scolpita nella memoria dei cinefili amanti delle zingarate di Amici miei. Ma Maddalena era solo il pretesto, il messaggio era chiaramente per Garimberti. Come ha dimostrato il Rigoletto trasmesso in diretta da Mantova durante il fine settimana, la musica può andare in prima serata se è ben confezionata. Lo ha spiegato chiaramente Piave al presidente, anticipando anche la risposta negativa e le giustificazioni annesse e ribadendo nella stessa scena che "il piangere non vale".
E allora "un detto sol" e forse questa versione dell'opera in tre atti girata nei luoghi e nelle ore indicate dal libretto - un'idea di Andrea Andermann che ha già realizzato Traviata e Tosca allo stesso modo - potrebbe non rimanere una cattedrale sonora nel deserto della programmazione. Certo non si possono chiamare ogni volta Zubin Mehta sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Placido Domingo nel ruolo del protagonista e Marco Bellocchio alla regia, ed è vero che la diretta accende la fantasia del pubblico più dei reperti d'archivio. Fatto sta che, "vendetta tremenda vendetta", tra la miriade di canali specialistici che fioriscono quasi ogni giorno sul digitale terrestre non si trova un posticino per qualche milione di italiani che si ostinano ad ascoltare Verdi, Puccini, Donizetti e Rossini.
Forse però "un detto sol" non basterebbe, servirebbe anche qualcuno capace di distinguere tra un musical qualsiasi e il Rigoletto di Verdi, che rimane un capolavoro anche quando, come in questo caso, viene adeguato alle esigenze televisive con una chiara deriva populista tradotta in una patinatura da rivista di gossip. Ma così funziona la televisione, bisogna farla con le sue regole e poi aspettare i risultati:  in ogni caso è meglio la lirica kitsch che il kitsch e basta.
La settimana appena trascorsa, da questo punto di vista, ha regalato un istruttivo confronto in prima serata su Rai1. Da una parte uno degli ultimi momenti di eccellenza dell'arte italiana in ordine cronologico, la lirica, dall'altra un tentativo di rinverdirne i fasti popolari con la sperimentata corsa al ribasso qualitativo, il musical I promessi sposi. Va da sé che il paragone con il Rigoletto sarebbe ingeneroso per qualsiasi produzione, ma il punto non è questo:  tra l'originale e una copia sbiadita il pubblico televisivo è ancora capace di scegliere il primo. In pochissimi sono caduti nel tranello della rilettura manzoniana, così vecchia nello stile da costringere gli autori a definirla "opera moderna" nel titolo. L'ennesimo tentativo di ripetere i successi di Notre-Dame de Paris di Cocciante non sembra essere stato accolto con l'entusiasmo che ci si attendeva.
E visto che la donna sarà pure mobile ma l'auditel del Rigoletto appare stabile, forse per una volta si potrebbe cogliere l'occasione:  un duca televisivo potrebbe tentare di sedurre un pubblico che si è allontanato dal piccolo schermo ignorando le analisi contrarie di collaboratori e cortigiani, "vil razza dannata". Certo non si potrebbe pensare ad ascolti da record, ma forse non servirebbero nemmeno investimenti miliardari:  "sento che povero, sento che povero più l'amerei". La scelta potrebbe cadere su una qualsiasi delle decine di opere che giacciono negli archivi, "questa o quella per me pari sono". Attenzione però, potrebbe configurarsi un caso di servizio pubblico.



(©L'Osservatore Romano 6-7 settembre 2010)
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