Documenti rinvenuti nell'Archivio Segreto Vaticano gettano una nuova luce
sugli ordini impartiti dal Pontefice prima e durante i combattimenti nelle prime ore del 20 settembre 1870

E il Papa si accollò le colpe del generale


Il brano che segue (Archivio Segreto Vaticano, Carte Soderini-Clementi, b. 11, cap. lxxxiv, pp. 3-27) è tratto da un'opera inedita di don Giuseppe Clementi (1865-1944) e del conte Edoardo Soderini (1853-1934), Pio IX e il Risorgimento italiano, frutto di un lungo lavoro e di un altrettanto lungo braccio di ferro giudiziario fra i due autori, che causò l'arresto della pubblicazione nel 1927; i manoscritti e i dattiloscritti della corposa opera (ben 103 capitoli) furono acquistati dagli eredi di Soderini e di Clementi dalla Santa Sede nel 1955 e versati all'Archivio Segreto Vaticano (Sergio Pagano, La mancata pubblicazione dell'opera "Pio IX e il Risorgimento italiano" di Giuseppe Clementi ed Edoardo Soderini, in Dall'Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, iv, Città del Vaticano, 2009, pp. 279-434).
I farraginosi e disordinati dattiloscritti, nonché la medesima redazione dell'opera in più riprese e in diversi schemi, l'hanno resa in pratica inconsultabile. A essa, tuttavia, attinse per  il  suo  Pio  IX  Giacomo  Martina, ma non per il capitolo sulla presa di Roma.
L'opera di Clementi e Soderini, pur presentandosi in uno stato ancora imperfetto per una degna pubblicazione, merita attenzione per la dovizia di fonti su Pio IX, la Roma papale e la politica europea cui fa ricorso; fonti edite e inedite, alcune anche manoscritte (i manoscritti Ubaldini, per esempio), giunte al vaglio del conte Soderini o di don Clementi.
È evidente che il ritratto storico del 20 settembre che pubblichiamo riflette l'ottica degli storici Clementi e Soderini, entrambi molto legati al papato e a Pio IX, quanto avversi ai "piemontesi":  il primo in maniera critica (i suoi giudizi sull'entourage di Papa Mastai e su alcuni atti dello stesso Pontefice sono taglienti), il secondo in maniera accomodante. Si avrà modo di osservare, tuttavia, la buona tenuta del racconto storico, comprovato dalle fonti che conosciamo, con talune divergenze o sfumature.
Per esempio, quanto alla tesi sostenuta da Clementi e Soderini sulla duplice versione della delicatissima lettera di Pio IX a Kanzler del 19 settembre 1870 sulla difesa di Roma (di cui l'Archivio Vaticano possiede la minuta e l'ultima redazione:  Arch. part. Pio IX, Sovrani e particolari 1474), noteremo l'approssimazione della data, che i nostri autori ritengono sicura al 19 settembre, mentre la minuta ha la data del 14 settembre (corretta poi in 19); essi credono che le modifiche al testo siano avvenute quantomeno il 20 settembre, se non il 21, quando il testo doveva essere consegnato al gesuita Piccirillo per la pubblicazione su "La Civiltà Cattolica", che infatti recepì la versione emendata.
È questa una delle due tesi sostenute da Rodolfo Kanzler, figlio del generale Hermann, il quale però, cadendo in contraddizione, com'è noto, disse pure che le modifiche alla lettera sarebbero state compiute il 19 settembre su pressione di Kanzler e di altri due generali pontifici. Certo è che con le modifiche alla sua lettera, compiute per giustificare in qualche maniera la troppo lunga resistenza di Kanzler alle truppe italiane, causa di oltre 60 morti dalle due parti, Pio IX salvò l'onore del generale pontificio (cui era veramente unito da affetto), ma finì per attirare sopra di sé la responsabilità (che invece cercò di evitare fino all'ultimo) dello spargimento di sangue (così pensa anche Martina).
Giova qui precisare ciò che lo storico gesuita afferma a proposito del manoscritto di Rodolfo Kanzler (209 pagine, senza frontespizio e titolo):  il manoscritto sarebbe stato recuperato da monsignor Enrico Pucci su una bancarella romana, donato al conte Paolo Dalla Torre che lo avrebbe a sua volta donato all'Archivio Segreto Vaticano (e qui avrebbe assunto la segnatura Carte Kanzler a 41), dove però Giacomo Martina non riuscì a trovarlo e lo disse "irreperibile" (Martina, Pio IX, cit., p. 566).
In verità il manoscritto di Kanzler non pervenne mai in possesso dell'Archivio Segreto Vaticano; Martina confuse il dono di altre carte di Hermann Kanzler, effettivamente compiuto da Paolo Dalla Torre il 14 giugno 1946, ovvero una cartella di pelle contenente alcuni documenti del generale, oggi Carte Kanzler, b 16. (sergio pagano)

 

Nel pomeriggio del 19 (settembre 1870) il passaggio fu animatissimo su la strada di Porta Pia; né vi mancarono preti, frati, fin qualche vescovo:  questa è stata sempre una delle passeggiate predilette dagli ecclesiastici. Qualche colpo di moschetto, sparato dagli avamposti a Villa Patrizi si faceva sentire, ma non impressionava; né maggior impressione producevano i rari colpi di cannone tirati dall'Aventino in direzione di Porta San Sebastiano. C'era da domandarsi se si era proprio alla vigilia di un bombardamento o non piuttosto di una festa.
Con siffatte manifestazioni dello spirito pubblico si poteva pensare sul serio a una lunga resistenza? C'era bene chi andava spargendo notizie che, se vere, l'avrebbero giustificata, anzi imposta:  si sussurava che il Cadorna dovrebbe levar presto il campo per correre a rinnovare le gesta di Palermo a Firenze dove affermavano scoppiata una rivoluzione e proclamata la repubblica; girava anche un'altra fola:  quarantamila austriaci sbarcati in Ancona si dirigevano su Roma per raffermare in soglio il Pontefice-re.
Pio IX nel pomeriggio, accompagnato dai camerieri segreti De Bisogno e Samminiatelli, si andò alla Scala Santa; sebbene grave di anni e d'incomodi, volle salirla ginocchioni, appoggiandosi al braccio di monsignor De Bisogno. Giunto alla cappella del sancta sanctorum pregò a voce alta e commossa. Uscito dal santuario, pregatone dallo Charette, benedì le truppe accampate sulla spianata della basilica (...). Mentre in carrozza se ne tornava in Vaticano, da vari gruppi di persone gli fu gridato:  "Santità, non partite". Si temeva che nella notte s'imbarcasse a Ripagrande per l'estero.
Rientrato nei suoi appartamenti, diresse al Kanzler l'ordine di cessare la resistenza non appena si fosse fatta rilevare la violenza, di cui andava a esser vittima. Il testo esatto della lettera è questo: 
"Signor generale, Ora che si va a consumare un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia, e la truppa di un re cattolico senza provocazione, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo cinge di assedio la capitale dell'Orbe, sento in primo luogo bisogno di ringraziare lei, signor generale, e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla Santa Sede e delle volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa metropoli. Sieno queste parole un documento solenne che certifichi la disciplina, la lealtà, il valore della truppa al servigio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a constatare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone. In un momento in cui l'Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo, quantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire a qualunque spargimento di sangue. La causa nostra è di Dio, e noi mettiamo tutta nelle sue mani la nostra difesa. Benedico di cuore lei signor generale e tutta la nostra truppa. Dal Vaticano, 19 settembre 1870. Pius pp. ix".
Questo testo è stato pubblicato la prima volta dal De Cesare, ii, 450-1. Come il Pontefice fosse ubbidito, or ora vedremo.
La mattina del martedì 20 settembre dai colli Albani il sole si levò limpidissimo sull'orizzonte di Roma. Il Ferrero alle 5½ cominciava il cannoneggiamento contro i Tre Archi e un quarto d'ora dopo l'Angioletti apriva il fuoco contro Porta San Giovanni. Seguirono tosto il Mazè de la Roche e il Cosenz con i loro tiri contro Porta Pia e Porta Salaria. Così in breve Roma alla sinistra del Tevere fu circondata da un cerchio di fuoco e di fumo. Sulla destra c'era manco da fare, essendo preciso l'ordine di non offendere la città Leonina, anzi di neppure rispondere al fuoco.
Alle 8 la situazione si presenta gravissima e il Cadorna da Villa Albani telegrafa a Firenze:  "breccia tra Porta Pia e Salaria già bene inoltrata". La Porta San Giovanni brucia, sebbene l'Angioletti sia tenuto molto in rispetto dai magnifici tiri della batteria pontificia di Daudier. Ai Tre Archi il muro che sostiene il piccolo terrapieno, su cui son posati i cannoni di difesa, si sta riducendo in frantumi; ancor un poco e sarà impossibile agli artiglieri il maneggio dei pezzi. Già nella notte da questo lato c'erano state delle scaramucce, con morti e feriti dalle due parti.
A Porta Pia, fin dalle 6,45 "dal gabinetto del ministro" l'Ungarelli comunica avere il maresciallo Sterbini segnalato al comando di piazza "che a Porta Pia è stato smontato un pezzo (ce n'erano due soli), e che detta posizione è in pericolo". Alle 8,13 da Santa Maria Maggiore il generale Zappi telegrafa:  "Porta Pia perduta, nostra sezione artiglieria ritirata, cioè un pezzo smontato, l'altro mandato a Monte Cavallo, perché difenda la strada di Porta Pia, ove nemico ha impiantata artiglieria". Grazie alle bombe di Bixio, alle 7,35 nel quartiere della Lungara si levano alte le fiamme da tre diversi gruppi di case incendiate. Pare ce ne fosse d'avanzo per non tardare oltre a ubbidire a Pio IX che nella lettera sua al Kanzler dopo detto dover la difesa limitarsi "a una protesta atta a constatare la violenza e nulla più", prescriveva "di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone". Il Papa non voleva acconsentire a qualunque spargimento di sangue e di questo per poco che potesse sembrare ai combattenti, se n'era sparso anche troppo quando si rifletta agli ordini dati da lui!
Egli (Pio IX) s'attendeva da un momento all'altro di veder eseguiti gli ordini impartiti al Kanzler nella lettera del giorno precedente:  invece il fuoco proseguiva incessante dalle due parti; se i cannoni dei pontifici valevano poco, i loro fucili Remington, per gli effetti che producevano, si appalesavano di molto superiori ai Carcano di cui facevano uso gli avversari. Il cuore di Pio IX sanguinava per il prolungato micidiale combattimento:  conoscendo la fedeltà del Kanzler, non poteva sospettare che il generale, per malinteso decoro militare, pensasse a disubbidirgli; inclinava invece a credere che il fuoco, malgrado gli ordini da lui dati, continuasse per ragioni indipendenti dalla volontà del comandante. Lo spirito esacerbato del Pontefice infine non poté contenersi. Eran le 9½ e già da 4 ore il fuoco aveva cominciato la sua opera distruggitrice. Pio IX comandò che, senza attendere l'avviso del Kanzler, fosse issata sulla cupola di San Pietro la bandiera bianca. Occorse del tempo prima che si riuscisse a comunicare l'ordine sovrano al colonnello Azzanesi, comandante la zona, per farlo trasmettere al Carletti (tenente). Quando alle 10 il dispaccio Azzanesi giunse,  sulla  cupola,  da  qualche minuto la bandiera bianca sventolava sull'asta  della  croce dominante la basilica.
Non appena apparve il primo segnale di resa i più caldi tra i patrioti, smesse le prudenti riserve dei giorni precedenti, a gruppi, vociando e imprecando s'avvicinarono verso Porta Pia. Alla breccia il fuoco cessò alle 10,10, quando un ufficiale, spedito dal de Tourssures, ebbe innalzata la bandiera bianca. Da una parte all'altra si era combattuto con grandissimo vigore e non pochi morti giacevano sul terreno. Tra gli altri vi lasciò la vita il maggiore cavaglier Pagliari colpito da una palla mentre montava all'assalto in testa al suo battaglione. Primo a superare la breccia fu il sottotenente Federico Cocito. Del resto o che la bandiera, come è più probabile, non fosse vista, o che non se ne tenesse conto, le truppe che avevan superata la breccia, fecero prigionieri quanti zuavi trovarono per la villa Bonaparte, nelle cui adiacenze si era aperta la breccia. Poi, proprio quando non poteva esserci più la scusa della bandiera non vista, contro tutte le regole della guerra, secondo le quali alzato il vessillo bianco, ciascuno è obbligato ad arrestarsi dove si trova, tirarono diritto in città spingendosi a piazza del Quirinale, a piazza di Spagna, al Pincio e a piazza del Popolo.
Il Pontefice rimasto solo, pieno di fiducia che la protezione divina sulla Chiesa non verrebbe mai meno, comunque volgessero gli umani eventi, ricuperò una perfetta serenità. Convinto di aver compiuto tutto il suo dovere, non smentiva neppure in quell'ora il fondo tranquillo e bonario della sua indole vivace e impetuosa. Poi, facile all'arguzia, scorgendo in qualcuno dei cortigiani gran senso di paura, egli a correggerlo con la burla e infondere coraggio con l'esempio, si diede a comporre una sciarada:  innocente svago nel quale soleva compiacersi. Sul tema tremare buttò giù questa terzina:  "Il tre non oltrepassa il mio primiero / È l'altro molto vasto e molto infido / Che spesso spesso fa provar l'intiero" (l'autografo è posseduto da monsignor De Bisogno, dei marchesi di Caraluce, allora cameriere segreto del papa e in quel giorno di servizio in Vaticano).
Il Cadorna, felice di essere uscito da un brutto ginepraio, ripreso il colloquio con il Carpegna, si mostrò più maneggievole; s'abboccherebbe col Kanzler nel pomeriggio per stipulare la capitolazione; intanto le truppe pontificie dovrebbero ritirarsi nella città Leonina, che resterebbe al Papa.
Sottoscritta appena la capitolazione, Pio IX, edotto della disubbidienza più o meno volontaria del Kanzler ai precisi ordini circa la resistenza che gli aveva dato con la lettera del 19, pensò nella generosità del suo animo a cercare un qualche palliativo che scagionasse il generale e impedisse insieme che si conoscesse pubblicamente aver gli stranieri al servizio della Santa Sede, per un malinteso punto d'onore, prolungato la resistenza di almeno quattro ore, nonostante la contraria volontà del sovrano. Il governo pontificio da ben 10 anni aveva sostenuto esser calunniosa la voce che gli stranieri militanti a difesa del Papa fossero ostacolo a ogni misura conciliatrice con l'Italia:  ora come si poteva lasciar correre per le stampe un documento da cui apparisse chiaro in qual strano modo una parte dell'alta ufficialità aveva ubbidito a Pio IX? D'altra parte era impossibile passar tutto sotto silenzio:  bisognava giustificare in qualche guisa l'ordine di resistere che il Papa avrebbe dato anche contro ogni speranza di buon esito, e malgrado dovesse premergli tanto il rimanere in ogni caso il Princeps pacis per eccellenza. Dopo alquanto riflettere, fosse il Papa a farlo da solo o ve lo consigliasse l'Antonelli o qualche altro di Segreteria di Stato, venne scritta una seconda lettera in tutto simile alla prima, meno che in due frasi le quali furono così modificate. Là dove era detto "ai primi colpi di cannone" si sostituì "appena aperta la breccia", frase che per se stessa svela la rappezzatura e in ogni caso stona con la verità storica. Dove poi si leggeva "a qualunque spargimento di sangue" fu tolto il qualunque mettendovi "a un grande spargimento di sangue". La lettera, così emendata, fu pubblicata ne "La Civiltà Cattolica" (7 gennaio 1871, pp. 107-8). Così per un senso cavalleresco che non ci periteremmo di giudicare esagerato e fors'anche dannoso, il Pontefice preferì lasciar ricadere su se stesso la responsabilità di una settantina di morti (i regi ebbero 48 morti e 141 feriti; i pontifici 20 morti e 55 feriti) e di tutti i danni causati alla città da 5 ore di fuoco.
Con il tramonto del sole il 20 settembre segnò l'estremo fato del principato civile della Chiesa. La mattina del 21, non appena al chiarire del giorno furono aperte le bronzee porte della basilica Vaticana, vi si affollarono i militari pontifici, anelanti di pregare sulla tomba di san Pietro, di baciare il piede della statua del Principe degli Apostoli. Di lì a qualche ora l'esercito pontificio sarebbe stato un mero ricordo storico:  ufficiali e soldati, disarmati, sarebbero stati tratti prigionieri a Civitavecchia, donde rimpatriati, i più non sarebbero tornati mai a Roma.



(©L'Osservatore Romano 16 settembre 2010)
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