Ricordo di Vittorino Veronese nel centenario della nascita

Un laico tra la Fuci di Montini e il Vaticano II


di Raffaele Alessandrini

Il nome di Vittorino Veronese, direttore generale dell'Unesco dal 1958 al 1961 e presidente del Banco di Roma dal 1961 al 1976, oggi è per lo più ricordato per talune iniziative educative, di istruzione e di salvaguardia a livello internazionale quali la campagna per la salvezza dei monumenti della Nubia minacciati dalla costruzione della diga di Assuan; uno spirito di solidarietà che si esprimerà concretamente anche in Italia, basti pensare agli interventi di ricostruzione per il centro storico di Tuscania dopo il terremoto del 1972.
In pochi però sanno come sia stato, a partire dall'esperienza della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci) di monsignor Giovanni Battista Montini e di Igino Righetti, che per Vittorino Veronese - come per diversi altri laici tra gli anni Venti e Trenta - prese avvio un rilevante ed esemplare itinerario di servizio fedele e sincero alla Chiesa e alla società civile.
Veronese era nato il 1° marzo 1910 a Vicenza. Laureato in giurisprudenza all'università di Padova con una tesi sul diritto di cittadinanza vaticana, esercitò per alcuni anni la libera professione nella sua città natale.
Presto impegnato nell'associazionismo cattolico - incaricato diocesano e poi delegato regionale dei laureati cattolici - alla morte di Igino Righetti, nel 1939, divenne segretario generale dello stesso movimento e, sempre in quell'anno, sposò Maria Patriarca, donna coraggiosa di grande fede e di larghe vedute intellettuali che gli avrebbe dato sette figli.
Nel 1943, su sollecitazione di monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato, l'avvocato vicentino si trasferì a Roma con la famiglia. Si impegnò nella riorganizzazione dell'Istituto Cattolico di Attività sociale (Icas) e per la fondazione delle Associazioni cattoliche dei lavoratori italiani (Acli) di cui fu vicepresidente tra il 1944 e il 1946. In quello stesso anno, e fino al 1952, nella non facile e delicata fase di ripresa del secondo dopoguerra, Veronese fu il primo laico chiamato a ricoprire la carica di presidente generale dell'Azione Cattolica italiana, da lui intesa come realtà formativa in senso spirituale e culturale. Per tale motivo lo stesso appoggio alla Democrazia cristiana di De Gasperi - che in momenti cruciali, come ad esempio durante le elezioni del 1948, fu pieno e totale - non fu mai collateralismo acritico. E sempre, durante la sua presidenza, Veronese fu attento nell'azione dei cattolici a distinguere il piano religioso dalle scelte politiche. Furono per lui sei anni di impegno intenso ed entusiasmante, ma anche irti di difficoltà di diversa natura. E non mancarono incomprensioni, anche interne all'associazione, che lo fecero soffrire. Tuttavia la stima e la vicinanza di monsignor Montini non gli vennero mai meno.
Non va dimenticato che molti anni dopo, nel novembre del 1963, Papa Paolo VI volle significativamente nominarlo uditore laico del concilio Vaticano II e che il 3 dicembre di quell'anno, durante la seconda sessione, dopo l'intervento di Jean Guitton, Veronese prese a sua volta la parola per esprimere al Papa i sentimenti di gratitudine per un tale privilegio concesso a dei laici.
Nel 1967 fu tra i membri della Pontificia Commissione per la Giustizia e la pace. Giorgio Filibeck lo avrebbe ricordato un giorno dipingendolo come "un cristiano che ha saputo pensare il presente, alla luce della tradizione, per comprendere meglio l'avvenire; una coscienza che ha saputo intuire le scelte da compiere, con semplicità, tenacia e lungimiranza (...) testimoniando anche con personale sacrificio, di possedere, come diceva Maritain, quell'esprit dur e quel coeur doux così necessari per rispondere alla sfide del nostro tempo".
Veronese morì il 3 settembre 1986 dopo alcuni anni trascorsi lontano dalla vita pubblica.
Fu un figlio fedele della Chiesa tanto obbediente quanto fiero assertore della necessità di un attivo ed efficiente apostolato dei laici; non va dimenticato, a tal proposito che, a livello mondiale, fu tra i promotori del movimento degli intellettuali Pax Romana.
Ci sembra significativo rileggere oggi una pagina poco conosciuta risalente a un momento particolarissimo per la storia italiana, ritrovata nel settimanale "L'Osservatore della Domenica" del 9 febbraio 1947.
In Italia si è chiusa la fase costituente del Governo di unità nazionale, e si è anche esaurita la vicenda del sindacato unico. Incombono i mesi minacciosi di scontro ideologico e sociale che anticiperanno il fatidico confronto elettorale del 18 aprile 1948. Il neo presidente dell'Azione Cattolica espone al settimanale vaticano il suo punto di vista circa l'impegno dei laici cattolici anche alla luce delle sollecitazioni di una lettera di Pio xii al cardinale Adeodato Piazza, patriarca di Venezia e presidente della Commissione episcopale per l'Azione Cattolica italiana, in data 11 ottobre 1946, per l'approvazione del nuovo Statuto dell'associazione.
In risposta alle accuse di "fanatismo religioso" mosse in quei giorni dagli anticlericali ai cattolici impegnati in difesa della verità nella libertà, Veronese osserva:  "Sarebbe veramente curioso che con la persistente infatuazione storicistica non ci si volesse accorgere della matura presenza di "crescenti schiere di fedeli desiderosi di perfezionamento spirituale e di attività sociale" (Lett. 11 ottobre 1946)". Questi laici cattolici - sottolineava Veronese - si oppongono al comunismo, ma non con le motivazioni del capitalismo o di altri totalitarismi. Essi si battono in difesa dell'uomo e della giustizia. Perché "non vogliono lasciare calpestare il Cristo vivente in ogni creatura, pur di vederlo come simbolo in un'aula di tribunale, e non si lasciano abbagliare dagli ossequi formali alla Religione e al suo Capo quando vengono da chi sarebbe pronto a farsene solo strumentum regni (sic) e le imporrebbe silenzio o esilio, come esperienze dolorose ci hanno insegnato e strani accostamenti ancor oggi ci riecheggiano". E quindi "non ci si parli di separazione della religione e della morale dalla vita pubblica. E  si sappia bene da tutti:  "noi vorremmo altresì che il popolo intero avesse a ravvisare nell'Azione Cattolica, non già una chiusa cerchia di persone iniziate a esclusivi ideali, ovvero uno strumento di sterile lotta o di ambiziosa conquista, ma piuttosto un'amica schiera di cittadini che hanno fatto propria la materna intenzione della Chiesa di tutti redimere e di garantire alla società l'insostituibile e indispensabil fermento della vera civiltà" (Lettera Pio XII cit.). Questa garanzia dobbiamo innanzitutto vedere assicurata dalla Costituzione italiana - concludeva il neo presidente dell'Azione Cattolica - e perciò grande è il nostro interesse e acuta l'aspettativa dei risultati del lavoro parlamentare sui quali saggeremo amici e nemici della nuova comunità nazionale che noi vagheggiamo". Se il testo suona per molti versi inevitabilmente datato, restano esemplari le linee di condotta.



(©L'Osservatore Romano 15 dicembre 2010)
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