L'infanzia del Salvatore nel sarcofago siracusano di Adelfia

Il presepio di pietra


di Fabrizio Bisconti

Centinaia di sarcofagi paleocristiani rinvenuti nelle necropoli tardoantiche del Mediterraneo sono oggi conservati nei musei archeologici di tutto il mondo, anche se, non sempre, sono opportunamente valorizzati e, anzi, in molti casi sono "nascosti" nei depositi o "confinati" in angoli inaccessibili delle sale espositive. Basti pensare che solo grazie alla grande sensibilità di Antonio Paolucci, attuale direttore dei Musei Vaticani, il Museo Pio Cristiano è sempre aperto al pubblico, mentre, in passato, questa ala dei musei, la più  ricca  al mondo per quanto attiene le antichità cristiane, era difficilmente  accessibile e poco frequentata.
La nuova attenzione per i sarcofagi paleocristiani, sollecitata dagli specialisti, ma anche dai semplici visitatori, che cercano in quelle antiche memorie la ragione profonda della loro fede, ha permesso di esporre al Museo Paolo Orsi in Siracusa uno dei "gioielli" della produzione plastica paleocristiana.
Il sarcofago marmoreo fu scoperto il 12 luglio del 1872 in uno dei cubicoli circolari della catacombe di San Giovanni nella necropoli sicula, in seguito alle indagini condotte da Francesco Saverio Cavallari, allora direttore delle Antichità della Sicilia. L'eco della scoperta si diffuse per tutta la città, tanto è vero che la popolazione accorse per ammirare il prezioso monumento e lo scortò, in una sorta di corteo, sino al Museo di Piazza del Duomo.
L'arca marmorea, del tipo a cassa, con la fronte e l'alzata del coperchio scolpite secondo la tettonica del "fregio continuo", era assai diffusa nel corso del iv secolo e, specialmente, dal tempo dei costantinidi. Tale decorazione dispone, in una sequenza serrata, immagini stralciate dal Vecchio e dal Nuovo testamento, per manifestare, in maniera figurata, quell'unità delle due economie testamentarie, messa in dubbio da alcune frange del pensiero cristiano antico. Non c'è una vera e propria consequenzialità  tra  i  racconti  ispirati alle Sacre Scritture, ridotti a sobrie ed essenziali vignette, che, comunque,  possono  essere  sempre ricondotte al grande tema della salvezza eterna.
La fronte del sarcofago, che mantiene evidenti tracce di policromia, è organizzata in due registri sovrapposti e interrotti da una valva di conchiglia, che accoglie una coppia di sposi in busto, stretti nell'abbraccio coniugale:  la donna veste tunica e palla, è ingioiellata e sontuosamente acconciata; l'uomo porta la corta capigliatura alla "costantiniana" e veste una toga contabulata. Dei due personaggi conosciamo l'identità, attraverso l'iscrizione incisa nel cartiglio centrale del coperchio:  (H)ic Adelfia c(larissima) f(emina) / posita compar Baleri comitis. Alcuni studiosi hanno identificato il comes Balerius con il Lucius Valerius Arcadius Proculus Populonius, consularis Siciliae negli anni 325-330, ritenuto, peraltro, proprietario della splendida villa di Piazza Armerina. Nell'arca è stata ritrovata la salma della  sola Adelfia, sistemata accuratamente  su una lastra di piombo, forse  per  rallentare  la decomposizione.
Ma torniamo alla decorazione della fronte. Nel registro superiore, muovendosi da sinistra verso destra, si riconoscono le seguenti scene:  la consegna dei simboli del lavoro da parte dei protoparenti (Genesi, 3, 16-19); la negazione di Pietro (Matteo, 26, 34; Marco, 14, 30; Luca, 22, 34; Giovanni, 13, 38); la guarigione dell'emorroissa (Marco, 5, 25-35; Luca, 8, 43-48); Mosè che riceve la legge (Esodo, 19); il sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-4); la guarigione del cieco (Giovanni, 9, 1-41); la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Matteo, 14, 19; Marco, 6, 41; Luca, 9, 16; Giovanni, 6, 1); la resurrezione del figlio della vedova di Naim (Luca, 7, 12-15). Nel registro inferiore si succedono i seguenti episodi:  i tre giovani ebrei di Babilonia (Daniele, 3); l'adorazione dei Magi (Matteo, 2, 1-12); l'ingresso di Cristo in Gerusalemme (Matteo, 21, 1-11); le nozze di Cana (Giovanni, 2, 2-11); il peccato originale (Genesi, 3, 1).
Ma il fregio che più ci interessa e che mostra tratti di grande originalità e qualche problema interpretativo si snoda lungo l'attico del coperchio dove, ai lati dell'iscrizione sorretta da due eroti, di cui si è già detto, si assiste a una sequenza figurativa ispirata all'infantia Salvatoris, peraltro già anticipata dall'adorazione dei Magi scolpita nella cassa. Tale episodio, appunto, ritorna nel settore destro del coperchio, ma si propone secondo una formula iconografica particolare, associato a una vera e propria scena di presepe:  a destra si riconoscono i Magi che recano i doni al Bambino in fasce, situato in un cesto di vimini sotto ad una tettoia e scaldato dal bue e dall'asino. Quest'ultimo particolare - come è noto - è taciuto dai vangeli, ma sembra attuare le profezie di Isaia (1, 3) e Abacuc (3, 2), rielaborate dagli scritti apocrifi. A destra della tettoia appare uno dei pastori ai quali l'angelo annunciò la nascita del Cristo (Luca, 2, 4-19), mentre la Vergine siede su uno sperone di roccia, avvolta nella palla. Nel lato sinistro del coperchio si svolge un piccolo ciclo mariano, ispirato agli scritti apocrifi dell'infantia Salvatoris, a cominciare dall'annunciazione che  vede Maria mentre attinge acqua con una brocca a una fonte sormontata da una personificazione maschile alla presenza di un angelo privo di ali. Segue una scena di preparazione al matrimonio della Madonna, assistita da due ancelle, mentre un'ultima  scena  vede la Vergine sontuosamente  ammantata e assisa su  un  trono  attorniato da altre donne.
La sequenza, decisamente originale, è stata anche interpretata come un'allusione ciclica alla vita della defunta, ma è molto più probabile che il fregio sia ispirato ai Vangeli apocrifi dello Pseudo Matteo e di Giacomo. È vero che lo scultore del sarcofago, seguendo direttamente i desiderata della committenza, crea un chiaro parallelo tra il cursus vitae di Adelfia e quello di Maria, per dimostrare la devozione della defunta per la Madre di Dio. Se, infatti, l'arte cristiana del tempo è ancora tutta tesa  nell'enucleare il centro cristologico  del pensiero dei fedeli, specialmente  di  quelli  aggiornati dal punto di vista scritturistico, non manca chi delinea le prime coordinate di un'iconografia mariana, che diviene protagonista del mistero dell'Incarnazione, prima ancora che il concilio efesino, negli anni Trenta del iv secolo, elabori il dogma della partenogenesi.
Il sarcofago siracusano di Adelfia, dunque, riveste un ruolo fondamentale in questo naturale e graduale divenire dogmatico e ci presenta le prime dettagliate manifestazioni dell'annunciazione, della natività, dell'adorazione dei Magi, mostrandoci, con il suo fregio continuo, il primo commovente, emozionante e suggestivo presepe di pietra.



(©L'Osservatore Romano 27-28 dicembre 2010)
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