Quando «L'Osservatore della Domenica»; smontò sul nascere il caso Pio XII

Il tempo svela le menzogne


Nel 2011 si celebra il centocinquantesimo anniversario del nostro giornale. Pubblichiamo uno dei saggi contenuti nel volume Singolarissimo giornale. I 150 anni dell'"Osservatore Romano" (a cura di Antonio Zanardi Landi e Giovanni Maria Vian, Torino, Allemandi & C., 2010, pagine 283, euro 30) promosso dall'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede.

di Pietro Pastorelli

Il caso Pio XII trae origine dalla rappresentazione, il 20 febbraio 1963 a Berlino Ovest al teatro "Frei Volksbühne" (trasferito da Berlino Est dove era stato chiuso), del dramma Der Stellvertreter del giovane e sconosciuto autore Rolf Hochhuth, accompagnato dalla contemporanea pubblicazione dell'opera in volume, corredata da un'appendice, intitolata Delucidazioni storiche.
Tale appendice doveva fornire allo spettatore la certezza che le parti recitate dai vari attori non erano frutto della fantasia o del genio creativo dell'autore, ma nascevano e trovavano il loro fondamento in libri di storia, diari, memorie, testimonianze postume e atti del processo di Norimberga. Essa era pertanto composta dalla riproduzione di brani, frasi, opinioni, tratte da questo materiale, e scelte in modo che risultassero utili a dare un fondamento "storico" alla sua opera.
Tutta questa fatica a quale scopo reale? Ce lo dice, nel suo stile a volte contorto, lo stesso autore nella conclusione delle sue delucidazioni storiche:  dimostrare, attraverso la triste vicenda della persecuzione agli ebrei nella Germania nazionalsocialista, cui il Papa non avrebbe pubblicamente reagito (i cosiddetti silenzi di Pio XII), che questo Pontefice, defunto ormai da cinque anni, non meritava in modo assoluto di essere beatificato.
Egli scrive infatti:  "Senza dubbio Pio XII deve aver intuito che una protesta contro Hitler, come disse rassegnato Reinhold Schneider, avrebbe risollevato la Chiesa a un livello mai raggiunto dopo il Medioevo. L'avrebbe intuito, se si fosse dato la briga di rifletterci. Se qui, nel dramma, il suo silenzio appare come una cosciente rinuncia, dolorosamente estorta (...) i fatti storici, purtroppo, parlano di un diverso e più meschino linguaggio. Questo Papa non può aver tremato e sofferto nel profondo del proprio cuore per le persecuzioni degli innocenti che si sono susseguite per tanti anni in Europa. Già i suoi discorsi - ne ha lasciati 22 volumi - dimostrano quali bagatelle lo impegnassero in quei tempi. Non era un "colpevole per ragioni di Stato", era un neutrale, un arrivista zelantissimo che impiegava spesso le sue ore con passatempi inopportuni mentre il mondo oppresso (scrive Bernard Wall) si aspettava invano da lui la parola che illumina e conforta".
E nelle ultime righe, quasi in senso fintamente assolutorio degli addetti ai campi di sterminio protagonisti dell'ultimo atto, ma anche chiaramente allusivo, si pone degli interrogativi moralistici:  "È chiaro che le grandi personalità, quelle che fanno la storia, sono poche in ogni epoca. Ma allora, fino a che punto chi resta neutrale può essere considerato colpevole? E ancora:  che cosa ci si può aspettare da un neutrale se il servizio militare obbligatorio o altre leggi analoghe lo precipitano in situazioni di cui può aver ragione solo un santo, non un uomo normale? Il rifiuto all'obbedienza, per esempio, chi può permettersi di esigerlo da un uomo che, dopo la comunione, non ha più sentito, nemmeno una volta, il bisogno di meditare sul Bene e sul Male?".
Questo violento attacco contro un probabile processo di beatificazione di Pio XII non fu immediatamente percepito dai molti commentatori dell'opera di Rolf Hochhuth, che si concentrarono a parlare dei "silenzi" di Pio XII, per sostenere la tesi che, se il Pontefice avesse pubblicamente condannato la strage degli ebrei, la Shoah, se non proprio evitata, sarebbe stata almeno contenuta, ottenendo il risultato di risparmiare centinaia di migliaia di vite umane.
A sostenere questa tesi si cimentarono pubblicisti di varia estrazione e persino qualcuno che, almeno per professione, se non per produzione, poteva definirsi storico. Il caso Pio XII toccò in Italia il suo culmine quando un professore ordinario di lingua e letteratura francese, Carlo Bo, rettore dell'università di Urbino e famoso intellettuale di estrazione cattolica, sostenne, con la sua autorità, la validità storica dell'accusa. Scriveva il professor Bo nella prefazione alla traduzione italiana, intitolata Il Vicario:  "Lo scrittore per poter far questo processo generale non si è limitato a giocar di polemica o a servirsi di ideologie ma ha cercato di documentarsi e il dramma si presenta appunto con tutta una appendice di riferimenti e indicazioni. Naturalmente la documentazione che Hochhuth ha potuto allegare è una documentazione imperfetta, dal momento che l'accesso a certi archivi gli è stato negato. Ad ogni modo quello che ha potuto scoprire è sufficiente per dare al suo dramma un piedistallo di credibilità che, del resto, è suffragata da quello che ognuno di noi sa ormai da molti anni, da quando la fine della guerra ha lasciato intravedere il volto mostruoso dell'uomo diventato macchina di morte e di distruzione".
E così proseguiva:  "Hochhuth indica i responsabili diretti che appartengono alla politica, all'esercito, all'industria e porta sulla scena quelli che, a suo giudizio, sono se non proprio i responsabili indiretti, i complici passivi della vergogna nazista e fra questi la figura più alta per l'impegno morale della sua carica, Pio XII".
E più avanti concludeva:  "Un Papa che misura il suo silenzio è un Papa che si adatta a una società che da troppo tempo è stata abituata a non tenere conto della verità del Vangelo e che ha lasciato crescere l'erba degli interessi immediati sul tronco stesso dell'uomo".
Resta da dire, per completare l'esposizione del caso Pio XII, che quanto scritto da Carlo Bo era condiviso o, meglio, rispecchiava l'opinione di una precisa corrente dei cattolici italiani, soprattutto di quelli impegnati in politica quali autorevoli membri del loro partito, che rimproveravano a Pio XII non i silenzi, ma la politica anticomunista da lui seguita nel dopoguerra, ed erano quindi anch'essi contrari all'avvio di un processo di beatificazione di Papa Pacelli, che sarebbe venuto a incrinare le loro prospettive politiche.
E passiamo al giornale della Santa Sede di fronte al caso Pio XII. "L'Osservatore Romano della Domenica" del 28 giugno 1964 uscì con il titolo Il Papa ieri e oggi, spiegato alla fine dell'ultima pagina da una nota redazionale firmata dal direttore, il giornalista Enrico Zuppi. In essa Zuppi spiegava che la composizione di quel numero, in certo senso speciale per un settimanale illustrato, era stata decisa, molto affrettatamente, "solo per la monotona insistenza di una polemica scorretta e sostanzialmente rivolta a colpire non tanto gli uomini quanto la vitalità della Chiesa. (...) Abbiamo sentito ridestarsi - con la veemenza di un tempo - l'amore riconoscente verso il Pontefice dei nostri anni più impegnati e più densi di sofferenze, di timori, di speranze e di incertezze, soprattutto nei primi passi di un nuovo corso dei tempi".
Per molti anziani, proseguiva la nota, "la presente documentazione può sembrare superflua", poiché "hanno ancora nel sangue la febbre di quei giorni", e anche perché "ci è stato detto:  la storia lascia cadere le stagionali polemiche, violente che siano. La storia macera inesorabilmente le menzogne, gli errori, ripetuti in malafede per fini contingenti, le aberrazioni di chi cerca di costituirsi un alibi".
Tutto questo è vero, osservava Zuppi, "ma le scadenze della storia si misurano con decenni e la pazienza dei secoli, ora ci sono i giovani che propendono nella eresia che la storia va interpretata, che giudicano il passato con un distacco e una freddezza che ci fanno soffrire perché offendono quello che ieri ci è costato lacrime e sangue". Oltre questi giovani, concludeva la nota, "ci sono poi gli sprovveduti di senso critico, gli impressionabili, i deboli che subiscono le suggestive insinuazioni che si imprimono nella molle cera della loro intelligenza".
Per tutti questi destinatari quel numero dell'"Osservatore della Domenica" raccoglieva in ottanta pagine, appunto sul Papa ieri e oggi, una serie di testimonianze che, a differenza di quelle inserite nelle delucidazioni storiche di Hochhuth, non consistevano in frasi staccate dal contesto con la tecnica eufemisticamente chiamata, dagli storici revisionisti americani, delle serial quotations, ma erano brevi testimonianze, responsabilmente scritte e firmate dai loro autori, a eccezione della prima, costituita dalla riproduzione del brano di un discorso tenuto nel 1960 ad Assisi da Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano. Perché mai questa eccezione? Non si sfugge alla conclusione che Montini abbia voluto dare il suo imprimatur a quel numero dell'"Osservatore della Domenica", che usciva esattamente un anno dopo la sua ascesa al soglio pontificio con il nome di Paolo VI.
Nelle ottanta pagine della rivista si succedevano testimonianze e scritti su Eugenio Pacelli, dalla Prima guerra mondiale alla conclusione della Seconda. Insomma, una panoramica quasi completa di quanto egli aveva detto e fatto, in tanti momenti cruciali, in particolare nel campo dell'assistenza morale e materiale a quanti ne avevano bisogno durante l'ultimo conflitto mondiale. Non sono in grado di citarli tutti per motivi di spazio. Mi limiterò a ricordarne solo alcuni che a me personalmente sono apparsi molto significativi per contenuto o per firma.
Padre Angelo Martini ricordava Pacelli messo di pace di Benedetto XV, e padre Georges Jarliot trattava il tema della pace, estendendo il discorso sino alla scomparsa di Pio XII, per concludere che, dai suoi atti, "abbiamo disponibili tutti gli elementi di Pacem in terris:  chiara, maestosa e popolare sintesi che Giovanni XXIII lascerà al mondo prima di morire".
Ricordo poi lo scritto di Luigi Salvatorelli intitolato Il Pontificato romano di fronte alle due guerre e ai regimi totalitari, e quello di padre Robert Leiber sul Concordato con la Germania stipulato dal cardinale Pacelli. Ma ciò che più mi ha colpito, per il periodo prebellico, è stata la nota redazionale sulla preparazione della Mit brennender sorge, l'enciclica del 1937 di condanna del nazionalsocialismo (che nessuno dei critici ha mai menzionato), con la riproduzione di un brano di essa recante le correzioni di mano di Pacelli sulla bozza dattiloscritta. Due scritti, di Giuseppe De Marchi e di Gianluca André, riportavano il lettore agli eventi della vigilia della Seconda guerra mondiale, premessa del "monito estremo" di Pio XII del 24 agosto 1939 per scongiurarla. Il direttore dell'"Osservatore Romano", Raimondo Manzini, scriveva sul tentativo di Pio XII "ancora nel 1943 di trarre l'Italia dal disastro" e Piero Bargellini, nell'unica testimonianza polemica, scriveva su "la pretesa di voler insegnare al Vicario di Cristo come Egli debba parlare e come Egli debba agire", che è "tipica di coloro che non lo vogliono né ascoltare né seguire".
Con toni meno polemici toccava lo stesso tema Federico Alessandrini, illustrando quanto Pio XII aveva detto e fatto "per la dignità dell'uomo e per la libertà dei popoli". E Wladimir d'Ormesson sottolineava poi il carattere strumentale della polemica sollevata dal Vicario. A lui si affiancava sullo stesso argomento padre Riquet, un reduce dai campi di concentramento tedeschi.
Tra gli scritti che mi hanno più interessato cito ancora quello di Giuseppe Dalla Torre, che è la ripubblicazione di un suo articolo sul diritto di asilo, significativo perché è del 1943; e la testimonianza dell'israeliano Pinchas Lapide sull'azione svolta dal Papa in favore degli ebrei, tema che trattano anche il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, e Raffaele Cantoni, Presidente del Comitato di Assistenza per gli ebrei d'Italia.
Il contributo del Cantoni, come la rivista chiariva nel titolo, era la riproduzione del suo intervento alla tavola rotonda organizzata dai laureati cattolici di Roma sul problema delle persecuzioni razziali. A essa era intervenuto anche il professor Mario Toscano, invitato da quelli di loro che l'avevano conosciuto all'università come storico serio e rigoroso, con una relazione intitolata La Santa Sede e le vittime del nazismo, anch'essa trasmessa alla rivista, che la pubblicava a fianco di quella del Cantoni.
Il contributo di Toscano non era quindi una testimonianza, come quasi tutti gli altri scritti precedentemente ricordati. Era una relazione scientifica su quel tema basata sul materiale pubblicato nelle raccolte diplomatiche tedesca, italiana e statunitense, negli atti del processo di Norimberga ai grandi criminali nazisti, nella raccolta documentaria presentata a quel processo dal procuratore statunitense, e infine sulla documentazione in argomento pubblicata in due numeri della "Civiltà Cattolica" del 1961.
Sono in grado di fare queste precisazioni perché ho ritrovato l'originale manoscritto di quella relazione, che è più esteso del testo pubblicato, tagliato in alcuni punti per esigenze di impaginazione e privato delle note indicanti le fonti. Peccato, perché, corredato da queste e nel suo testo integrale, sarebbe risultato un modello esemplare di relazione scientifica, nella quale non era naturalmente trascurato il problema dei "silenzi di Pio XII".
Non è questo il luogo per riprodurla nella versione originale. Basti citarne l'ultima frase. Scriveva Toscano:  "Per concludere, pur non potendosi esprimere un giudizio definitivo su questi silenzi, che tuttavia sembrano spiegabili proprio per le ragioni addotte dallo stesso Pontefice nel suo discorso del 2 giugno 1943, richiedendosi un maggior approfondimento del problema sui documenti, si può invece fin da ora considerare positivamente, per i suoi risultati, l'azione svolta dalla Santa Sede nei confronti delle vittime del nazismo".
Affidandomi l'originale della sua relazione, il professor Toscano mi riferì che essa aveva trovato un larghissimo consenso nella discussione e che egli, nelle conclusioni del dibattito, aveva tenuto a sottolineare come, a suo giudizio, il miglior modo per controbattere le polemiche e provare l'infondatezza delle accuse rivolte a Pio XII sarebbe stato la pubblicazione dei documenti della Santa Sede sul periodo bellico.
Sia che Papa Montini abbia preso in considerazione tale suggerimento sia che già per suo conto si fosse orientato in questo senso, pur conscio che si trattava di cosa senza precedenti in quanto avrebbe contenuto materiale riguardante personalmente lui stesso essendo stato sostituto del cardinale Maglione alla Segreteria di Stato e, dopo la morte di questi, prosegretario di Stato per gli affari straordinari, certo è che Paolo VI decise di far pubblicare una grande raccolta documentaria sulla Santa Sede e la Seconda guerra mondiale iniziando dall'elezione, di soli sei mesi anteriore, del cardinale Pacelli al pontificato.
Questa decisione fu rapidamente attuata. Già nel dicembre del 1965 usciva il primo volume degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale. Nell'Avant-propos - il francese è la lingua di edizione, ma tutti i documenti sono pubblicati nella loro lingua originale - i tre curatori gesuiti (Pierre Blet, Angelo Martini e Burkhard Schneider, cui si aggiunse dal terzo volume un altro confratello, padre Robert Graham), ricordato che "per favorire una ricerca obiettiva e una vera comprensione degli eventi, un certo numero di Stati hanno fatto eccezione alla regola che mantiene segreti i documenti diplomatici finché non siano trascorsi cinquant'anni", scrivevano:  "La Santa Sede ha voluto parimenti dare alla conoscenza della seconda guerra mondiale il contributo degli archivi vaticani. La presente collezione, che è scaturita da questa decisione, ha per tema la Santa Sede e la seconda guerra mondiale. Intende pubblicare tutti i documenti in grado di chiarire la posizione e l'azione del Vaticano di fronte al conflitto".
Quanto al tipo di documentazione pubblicato, i curatori avvertivano che essa era raggruppabile in cinque categorie:  i messaggi e i discorsi del Papa (con molti originali in facsimile); le lettere scambiate fra il Papa e i dignitari civili ed ecclesiastici; le note di servizio e quelle private della Segreteria di Stato; la corrispondenza tra la Segreteria di Stato e i nunzi, gli internunzi e i delegati apostolici; le note scambiate tra la Segreteria di Stato e gli ambasciatori e ministri accreditati presso la Santa Sede.
E questa è la suddivisione temporale e per argomento di tale materiale. I volumi i (1965) e iv (1967) hanno come sottotitolo Le Saint Siège et la guerre en Europe e comprendono la documentazione relativa al periodo tra il marzo del 1939 e il giugno del 1941. Il volume ii (1966) contiene le lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi, mentre il iii (1967), in due tomi, è dedicato alla documentazione relativa alla Santa Sede di fronte alla situazione religiosa in Polonia e nei paesi baltici. I volumi v (1969), vii (1973) e xi (1989) hanno per sottotitolo Le Saint Siège et la guerre mondiale e contengono quindi il materiale generale delle categorie su indicate per il periodo tra il giugno del 1941 e il maggio del 1945. Infine, i volumi vi (1972), viii (1974), ix (1975) e x (1980) contengono la documentazione di ciò che la Santa Sede ha detto e fatto per les victimes de la guerre dal marzo del 1939 al luglio del 1945.
Come appare dalle date di pubblicazione di ciascun volume, Papa Montini non riuscì a vedere pubblicati, durante il suo pontificato, tutti gli undici volumi di questa grande raccolta, ricca di più di cinquemila atti e documenti.
Ma da quelle date si può anche osservare che, quando ebbero visto la luce i primi quattro, Papa Montini dette inizio, il 18 ottobre 1967, al processo per la causa di beatificazione di Pio XII. La pubblicazione in corso permetteva infatti di smentire, più che ampiamente, le accuse a lui rivolte e, in misura anche superiore, il "piedistallo di credibilità" su cui era costruito il dramma di Hochhuth, confermando la piena validità delle testimonianze presentate dall'"Osservatore della Domenica" del 24 ottobre 1964.
Da allora la fioritura di scritti polemici cominciò ad attenuarsi, fino a cessare quasi del tutto. Non si ebbe invece una parallela crescita degli studi basati anche su quella documentazione. Perché mai? Costava forse troppa fatica studiare quella massa di materiale, o forse la sua utilizzazione portava a conclusioni poco gradite da talune correnti storiografiche anche di ispirazione cattolica? Non vado oltre questi mesti interrogativi. Mi pare però opportuno ricordare che, dopo una mia relazione del 1983 su Pio XII e la politica internazionale, fondata su tale documentazione, da questa sono derivati due ottimi studi, l'uno su Pio XII e l'Italia durante la Seconda guerra mondiale, e l'altro su Pio XII e la Polonia (1939-1945), che sono un'eccellente dimostrazione di quanto questa fonte sia utile per fare storia sul periodo bellico.
Nonostante il limitato profitto tratto dagli studiosi dall'ingente quantità di materiale messa a loro disposizione dagli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale per poter meglio conoscere almeno un periodo della vita pastorale di Pio XII, quello che era apparso il più controverso, la causa di beatificazione di quel Pontefice proseguì, sia pure a ritmi forse più lenti del consueto, e venne a incrociarsi con la politica orientale della Santa Sede, la cosiddetta Ostpolitik, mirante ad alleviare le difficilissime condizioni in cui viveva la Chiesa nei paesi dell'Europa orientale al di là del "sipario di ferro", quella correntemente chiamata la "Chiesa del silenzio".
Tale politica era stata avviata da Papa Giovanni XXIII - quell'Angelo Roncalli che di Pio XII era stato vicino collaboratore quale delegato apostolico o nunzio in Grecia, Turchia e Francia - negli ultimi mesi di vita, mentre era in pieno svolgimento il concilio Vaticano ii. Era stata poi proseguita da Papa Montini, non solo stretto collaboratore di Pio XII fino al 1954, ma anche suo vero erede spirituale, con le missioni affidate all'intelligenza e alla pazienza di monsignor Agostino Casaroli. E aveva infine dato i suoi copiosi frutti con l'elezione al soglio pontificio, nell'ottobre del 1978, del polacco Karol Wojtyla, che di quella politica doveva poi pagare personalmente il successo con l'attentato subito il 13 maggio 1981.
La successiva crisi, dalla metà degli anni Ottanta, del sistema comunista e la sua definitiva scomparsa, avvenuta ufficialmente il 31 dicembre 1991, non per effetto di sconfitte militari ma per cause interne di natura ideologica, politica ed economica che ne avevano determinato il fallimento, ha anche fatto del tutto svanire l'accusa di anticomunismo che era stata mossa a Pio XII per il suo atteggiamento verso il mondo orientale nella seconda parte del suo pontificato, del tutto coerente con l'enciclica Divini redemptoris di condanna del comunismo, coeva della già citata Mit brennender sorge.
Dal tempo del Vicario tanti anni sono trascorsi, tanti eventi e tanti documenti hanno smentito la tesi del suo autore. Tuttavia, di quel "piedistallo di credibilità" restava la convenienza, in specie per una parte del mondo tedesco, di liberarsi della responsabilità dell'olocausto, scaricandola sulle spalle di Pio XII per via dei suoi cosiddetti silenzi. Occorreva dunque far conoscere meglio il personaggio, in forma semplice e da tutti comprensibile e non attraverso ponderosi studi o astruse biografie.
È quello che ha fatto Benedetto XVI, accogliendo e promuovendo l'iniziativa del Pontificio Comitato di Scienze Storiche che, in occasione del cinquantesimo della sua scomparsa, ha allestito una mostra fotografica su Pio XII, che, attraverso le immagini, corredate da brevi testi illustrativi, ha fornito un quadro, direi vivente, dell'uomo e del suo pontificato. Per il visitatore che avesse voluto conservare precisa memoria di quanto visto, il Comitato ha predisposto un catalogo comprendente tutti i "pannelli" esposti e brevi scritti che sintetizzano gli aspetti fondamentali della sua vita pastorale. La mostra si è aperta il 4 novembre 2008 in Vaticano, nel cosiddetto Braccio di Carlo Magno del colonnato di San Pietro. Con il catalogo interamente tradotto in tedesco e con l'aggiunta di altri due testi illustrativi aventi per tema specifico l'uno Der Nuntius, die Deutschen und der Papst e l'altro Papst Pius XII und Berlin, la mostra è stata poi trasferita, all'inizio del 2009, a Berlino e a Monaco di Baviera, incontrando anche qui grande favore.
Il 19 dicembre 2009 Benedetto XVI ha concluso positivamente con suo decreto la causa di beatificazione di Pio XII. Tale conclusione è naturalmente dispiaciuta agli oppositori, che hanno dato sfogo al loro malumore cercando di riportare in scena Il Vicario per rilanciare la polemica sui silenzi di Pio XII.
Lo hanno fatto in teatri minori e con giovani attori, fornendo in tal modo, senza rendersene conto, una ulteriore testimonianza della sconfitta subita.
Nessuna eco ha infatti suscitato questo improvvisato tentativo di revival.
Questa breve esposizione mirante a inquadrare storicamente il contributo dato dal quotidiano della Santa Sede nella vicenda del Vicario ha qui naturalmente termine. Come conclusione mi pare si possa ben dire che il numero dell'"Osservatore della Domenica" del 24 ottobre 1964 non solo ha rappresentato una significativa svolta della vicenda, ma è stato anche foriero di tanti importanti sviluppi.



(©L'Osservatore Romano 7-8 gennaio 2011)
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