La Shoah in Italia

Geografia della memoria


di Anna Foa

Chi a Roma si trovasse a passare davanti al numero 4 di via del Tempio, accanto alla Sinagoga, troverebbe infissi al suolo dei sampietrini di ottone lucente con sopra incisi i nomi degli ebrei deportati da quella casa. E così davanti a tante altre case. Sono le pietre d'inciampo, un'iniziativa partita in Germania nel 1996 su proposta dell'artista Gunter Demnig e diffusasi in tutta Europa, dove ormai ben 22.000 pietre d'inciampo segnalano al passante che da quella casa dei cittadini inermi, catturati perché ebrei, sono stati inviati alla morte. In Italia l'opera è partita solo l'anno scorso, su iniziativa di numerose associazioni private e a cura di Adachiara Zevi, con i primi trenta sampietrini, ed è continuata quest'anno con altri 54.
A essere sottolineato è qui il luogo, il luogo fisico da cui quelle persone sono partite verso la morte, la soglia della loro casa. Il ruolo di testimonianza finora adempiuto dal sopravvissuto sta passando ora al luogo, materializzando la memoria non più attraverso la voce narrante di un testimone, ma attraverso la testimonianza muta di uno spazio che è ancora quello di allora, pur essendo anche quello di oggi. La dimensione spaziale ha infatti il grande vantaggio di contenere in sé anche quella temporale. I luoghi passano più o meno immutati attraverso il tempo, e riassumono passato e presente nella permanenza di una natura, per dirla con Leopardi, "ognor verde" e "dell'uomo ignara".
Nella stessa direzione sembra andare un libro uscito recentemente da Giuntina, Parole chiare. Luoghi della memoria in Italia, 1938-2010, curato da Lia Tagliacozzo e da Sira Fatucci (Firenze, Giuntina, 2010, pagine 157, 16 euro; con testi di Fulvio Abbate, Eraldo Affinati, Marco Rossi-Doria, Gianfranco Goretti, Ettore Mo, Elena Stancanelli, Emanuele Trevi e fotografie di Luigi Baldelli). Raccoglie immagini fotografiche e testi in sette capitoli, ognuno centrato sulle foto di un luogo, in Italia, di reclusione o di morte, ognuno corredato da parole che più che un commento vogliono essere una variazione letteraria sull'immagine, e sono infatti affidate ad altrettanti scrittori e letterati.
Le bellissime immagini del libro sono del fotografo Luigi Baldelli. I luoghi sono diversi e non tutti luoghi di morte:  quello dove sotto il fascismo furono mandati al confino gruppi di omosessuali, San Domino delle Tremiti, ora affollato di turisti. E poi il convento disabitato di San Bernardino, in una zona sperduta del Molise, prima destinato agli ebrei stranieri, poi a gruppi di zingari.
Era un campo dove non si moriva, se non forse di nostalgia, come in quello di Ferramonti, il terzo dei luoghi illustrati dal libro, in provincia di Cosenza, il più grande dei tanti campi di internamento dove allo scoppio della guerra il fascismo rinchiuse ebrei stranieri e in qualche caso italiani e oppositori politici, una storia che sembra scomparire di fronte a eventi ben più pesanti e che poco è stata ripresa nella memoria di quegli anni terribili. Perché, nella sventura di quella reclusione nei campi del Sud d'Italia e dell'Abruzzo, gli internati ebbero in sorte la fortuna di trovarsi dopo l'8 settembre nella zona liberata e di non condividere così la deportazione degli altri ebrei. In una scala crescente di gravità, arriviamo a Fossoli, il campo di transito dove gli ebrei concentrati dalle diverse città italiane venivano deportati all'Est, per lo più verso Auschwitz. Siamo in un'altra realtà rispetto a quella precedente, siamo nel cuore italiano della Shoah.
A Fossoli passò Primo Levi, prima della deportazione ad Auschwitz, e le immagini del campo, con le parole che le accompagnano, ci riportano alla memoria la sua descrizione dell'ultima notte passata nel campo, quando "ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione".
E ancora, Meina, sul lago Maggiore:  un albergo elegante, quanto di più distante potrebbe apparire dai campi di deportazione e sterminio, affollato, a fine settembre 1943, di ebrei che speravano di trovarvi rifugio, e che invece vennero imprigionati, torturati, assassinati, buttati nel lago. Una strage feroce, 16 vittime, dovuta a una compagnia di SS guidata dal capitano Krueger, la prima strage di ebrei avvenuta nell'Italia occupata. E dopo questo, altri luoghi di morte, a Roma stavolta, le celle delle torture di via Tasso e le grotte delle Ardeatine, luoghi preservati alla memoria nel Museo e nel Memoriale. E infine l'unico campo di sterminio vero e proprio che ha funzionato in territorio italiano, la risiera di San Sabba, presso Trieste. Munito del suo forno crematorio ma non di una camera a gas, a cui supplirono i camion dove i prigionieri erano rinchiusi e avvelenati. Vi passarono molte migliaia di prigionieri, dai tre ai cinquemila quelli assassinati lì.
Non è questo un libro sulla Shoah. Esso spazia infatti dai luoghi della Shoah ad altri da questi distanti nello spazio e nel senso. È, invece, un libro tutto centrato sulla valenza testimoniale del luogo, che riesce senza dissonanze a unificare i diversi momenti di questa storia, le diverse memorie. Le immagini, difficili da decifrare senza i testi, sono forti e cariche. Come le pietre d'inciampo, rappresentano un inciampo del nostro vivere quotidiano e buttano un ponte sul passato, sollecitando appunto il ricordo. Un ricordo silenzioso come le immagini, una memoria a sua volta sommessa e senza fragore.



(©L'Osservatore Romano 27 gennaio 2011)
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