L'ultima teoria (per nulla originale) è che la Gioconda sia il ritratto dell'allievo prediletto di Leonardo

Così celebre e così incompresa


Ogni volta che il capolavoro faceva notizia André Chastel esclamava: "Ancora lei!"

di CARLO PEDRETTI

Dalle ospitali colonne di questo giornale ho avuto più volte modo di esprimere perplessità sul modo con cui la grande comunicazione - la stampa quotidiana e periodica, internet e la televisione - dia risalto a notizie di poco conto, per non dire false o ingannevoli, ignorando quelle che recano nuovi contributi allo studio, spesso riguardanti documenti inediti di innegabile importanza storica e culturale.
D'altra parte, qualsiasi notizia che riguardi la Gioconda viene subito diffusa in ogni parte del mondo, ma con una differenza sostanziale: non più come fatto di cultura, come nel caso de L'illustre incomprise di André Chastel del 1988 (ogni volta che la Gioconda faceva notizia Chastel esclamava: "Ancora lei!"), ma come fatto di costume, come nel caso della notizia che continua a fare il giro del mondo secondo la quale lo storico Silvano Vinceti avrebbe accertato che il personaggio ritratto da Leonardo non è una donna ma un uomo, e in particolare il prediletto allievo Gian Giacomo Caprotti al quale Leonardo stesso affibbiò il soprannome di Salai, desumendolo dal Morgante di Luigi Pulci.
Anche questo intervento merita considerazione, se non altro come occasione per offrire opportuni aggiornamenti su un tema oggetto di inesauribili analisi filologiche e interpretazioni critiche e scientifiche. Non sorprenderà quindi che un autentico contributo scientifico riguardante la Gioconda pubblicato dal laboratorio del Louvre ormai da sei anni sia passato ignorato dalla grande comunicazione e senza il dovuto rilievo che avrebbe dovuto ricevere dagli specialisti. E per di più un contributo che fra l'altro dovrebbe lasciare ben pochi dubbi sul sesso della persona raffigurata.
Ecco di cosa si tratta. Nel grande volume sulla Gioconda che il Louvre pubblicava nel 2006 è riprodotta a piena pagina la radiografia a raggi infrarossi con la quale lo spessore della maggior parte dei pigmenti - a eccezione di quelli a base di carbonio e rame - viene alleggerito a livello di trasparenza in modo da rivelare chiaramente l'impostazione del corpo della persona seduta.
Il braccio sinistro appare qui aderente al busto con la verticalità che gli viene dallo scendere diritto dalla spalla spiovente per appoggiarsi col gomito sul bracciolo della sedia posta in veduta di tre quarti verso sinistra. Il velo che lo ricopriva lascia ora intravedere gran parte del parapetto retrostante. Nelle antiche copie, invece, il contorno di quel velo veniva scambiato per quello del braccio stesso rendendo così assurdamente esteso il relativo avambraccio posto sul bracciolo.
Già questa è una precisazione preziosa, ma c'è ben altro. Il busto appare ora perfettamente modellato in modo da mettere in risalto un giro di vita abbastanza stretto e dare enfasi al volume del seno, e questo veramente con un senso classico della forma che richiama un famoso testo del Libro di pittura di Leonardo a proposito dell'imitare "quanto puoi li Greci e Latini col modo di scoprire le membra", cioè evidenziandole con i panni resi aderenti da un vento immaginario.
Ma tutto questo entusiasmante disquisire filologico per dimostrare la femminilità della Gioconda è reso superfluo dalla versione a torso nudo in numerose copie di scuola. Il tema è presentato con rigore scientifico e gusto raffinato nel catalogo, a cura di Agnese Sabato, della mostra La Gioconda è nuda, organizzata da Alessandro Vezzosi per il Museo Ideale di Vinci nello storico Palazzo Granafei Nervegna a Brindisi, che continua a ricevere grande successo di pubblico e di critica. È questo un evento veramente interessante anche per il modo in cui vengono evidenziati i molteplici percorsi della fortuna critica del capolavoro di Leonardo, dal rinascimento al dadaismo e oltre. Non sorprende quindi che Pier Paolo Pasolini, nel 1942, al momento di laurearsi con Roberto Longhi, avesse pensato a una tesi dal titolo Intorno alla Gioconda ignuda di Leonardo, purtroppo rinunciandovi non si sa ancora perché.
Fra le carte e i carteggi del Longhi, se non negli archivi della stessa università di Firenze, sarebbe forse possibile ritrovare tracce di un progetto di tesi che Pasolini avrà pure sottoposto al suo professore per l'approvazione. È già molto, comunque, sapere che l'idea gli era venuta dalla Gioconda nuda allora di proprietà del pittore tedesco Paolo Weiss a Roma e ora non si sa di chi.
Weiss era convinto di possedere un originale Leonardo. Si tratta invece di una versione nordica che elimina la parte inferiore con le mani e che potrebbe risalire a un prototipo in veduta più frontale di quelle che fanno capo al cartone di allievo a Chantilly, cioè il prototipo dell'Ermitage al quale si affianca la versione del conte Giuseppe Primoli a Roma - già del cardinale Joseph Fesch, zio di Napoleone, che possedeva pure il San Gerolamo ora in Vaticano - e quella già di proprietà Kaupe, pure a Roma, entrambe restituite al loro splendore originario per intervento del Museo Ideale di Vinci. La versione Weiss riprende quindi l'impostazione frontale della cosiddetta Gioconda nuda Mackenzie, un tempo in casa Litta a Milano dove era appesa, come opera di Leonardo, accanto alla più celebre Madonna Litta ora all'Ermitage.
Quello che forse sarebbe sfuggito a Pasolini in questa curiosa filiazione di copie e variazioni sul tema, è un dipinto debitamente riportato nella rassegna di Vezzosi, quello che negli anni Cinquanta del secolo scorso si trovava ancora in una raccolta privata a Milano e che oggi si conosce solo attraverso una fotografia ritrovata da chi scrive nell'archivio del Soprintendente Giorgio Nicodemi a Milano, e poi pubblicata nel 1996 nell'annuario dell'Armand Hammer Center for Leonardo Studies di Los Angeles.
L'impostazione è quella della versione Weiss, ma il punto di vista è leggermente allontanato dal soggetto per consentire l'apertura di una finestra su un paesaggio nello sfondo a destra e per fare emergere una mano dal basso a sinistra - corrispondente a quella destra della Gioconda - portata all'altezza del seno per mostrare un cammeo, tenuto fra il pollice e l'indice, con l'effige di Leonardo in profilo e la scritta attorno LEONARDO DA VINCI 1501.
Giustamente Vezzosi presenta questo singolare problema attributivo e cronologico di impossibile soluzione collocandone l'immagine fra varie versioni nordiche dello stesso soggetto, per arrivare all'esito singolare della scuola di Fontainebleau che mostra una coppia di Gioconde al bagno, nude dalla cintola in su e con leggiadro gestire delle braccia.
Se tanta incertezza permane ancora oggi su queste problematiche non sorprende che la tesi di Pasolini non avesse avuto un seguito. Più che dal punto di vista storico-artistico, il tema della Gioconda nuda avrebbe potuto essere da lui affrontato dal punto di vista psicologico-letterario se non psicoanalitico. In questo modo la questione dell'identità del personaggio rappresentato avrebbe assunto una valenza ancora più pregnante nel senso di interpretarne il carattere prima ancora di offrirne un eventuale accertamento anagrafico che ancora oggi sfugge all'acribia dei più agguerriti investigatori. Una panoramica di queste complesse problematiche viene tratteggiata nel capitolo "Il Dna di lui e di lei" nel Leonardo & io del 2008, dove chi scrive menziona i poco noti contributi documentari di Josephine Rogers Mariotti, ora raccolti nel volume Monna Lisa la Gioconda del Magnifico Giuliano.
Ma prima di formulare una "nuova" teoria o interpretazione di un dipinto come la Gioconda, è bene accertare se la teoria sia veramente nuova. Per restare al tempo del progetto di Pasolini, è giusto ricordare l'intervento del critico francese George Isarlo che nel 1952 pubblicava nel quotidiano d'avanguardia "Cobat" di Parigi il suo rivoluzionario studio sulla Gioconda col quale intendeva dimostrare, con l'ausilio di un semplice fotomontaggio, che il personaggio ritratto non era una donna ma un leggiadro paggetto, un giovane come poteva essere il Salai. La teoria di Isarlo e più ancora il suo fotomontaggio ebbero subito vasta risonanza e consensi anche in America, e benché siano ancora menzionati in studi specializzati, sono oggi ignorati dalla grande comunicazione.
E non si tratta di un caso isolato. Nel libro L'Angelo incarnato e Salai (Firenze, 1908) chi scrive riporta lo stralcio di una lettera che il grande leonardista inglese Lord Kenneth Clark, seguace di Berenson e già direttore della National Gallery di Londra, scriveva nel 1974 annunciando di avere terminato una conferenza sulla Gioconda, poi pubblicata l'anno dopo a Londra.
"È curioso come io avessi già scritto una frase che trovo quasi con le stesse parole nel tuo libro - Lord Kenneth Clark si riferisce a Leonardo. A Study in Chronology and Style del 1973 -. Eccola: "Noi conosciamo Salai solo di profilo. Come ci apparirebbe quel volto di sorridente compiacimento se si rivolgesse verso di noi?". Io devo tanto al tuo aiuto - conclude l'illustre critico - ma non voglio che tu pensi che ti ho rubato anche questa idea".
Quel libro del 1973 contiene pure un'osservazione in rapporto ancor più pertinente con la Gioconda, e questo a proposito del profilo di Salai contenuto in un disegno tardo di Leonardo a Windsor: "L'affettata capigliatura ricorda il ravvolgersi delle nuvole tempestose nei disegni del Diluvio. Un'espressione che poteva essere pensosa è compromessa da un sorriso appena accennato dalla bocca che s'incurva all'insù con un effetto più volgare che disgustoso. Basterebbe aggiungere una parrucca per trasformare l'immagine in una Gioconda".



(©L'Osservatore Romano 11 febbraio 2011)
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