La liturgia è tradizione e innovazione

Una questione di vita o di morte


L'alto medioevo ci insegna che l'evoluzione del rito avviene stando dentro la storia

Storia del cristianesimo e liturgia; continuità e trasformazione nella liturgia; primi secoli fra tradizione e innovazione sono le tre tematiche che hanno attraversato e riassunto il convegno "Liturgie e culture tra l'età di Gregorio Magno e Leone III. Aspetti rituali, ecclesiologici e istituzionali" che si è svolto il 24 e 25 febbraio all'Università Europea di Roma. Pubblichiamo le conclusioni del vicedirettore del nostro giornale.

di CARLO DI CICCO

Solo apparentemente il tema specifico del convegno è lontano dal nostro tempo. Si è parlato di liturgie e culture nell'alto medioevo, un periodo di storia nel quale la vita della gente era diventata molto difficile. La precarietà dopo la caduta dell'impero romano d'occidente accompagnava le persone che, come noi oggi, forse erano alla ricerca di una stella polare che potesse guarirle dalle lacerazioni di una condizione esistenziale instabile. Una piccola manciata di secoli divideva quel periodo dalla vita di Gesù e dalle prime comunità apostoliche, ma la liturgia, mentre trasmetteva fedelmente il nucleo della fede dentro le nuove culture nascenti, cominciava già a diversificarsi nelle forme rispetto alla celebrazione cristiana delle origini. Il nostro incontro è stato presentato come il primo di un percorso di ricerca. Ne seguiranno altri due a completamento di un'indagine storico-liturgica da Gregorio Magno a Gregorio VII il cui pontificato seguì di poco la prima grande frattura nell'unità tra la Chiesa di Roma e l'oriente (1054). Si è anche detto che l'obiettivo del convegno è stato quello di verificare "la dialettica tra continuità e trasformazione negli usi liturgici, indagati con approccio e metodologia storici e documentari, sulla base di testi e documenti". I relatori - Cesare Alzati, Manlio Sodi, Renata Salvarani, Cettina Militello, Thomas Pott, Marco Bais, Norberto Valli, Giuseppe Cuscito, Giacomo Baroffio, Johan Ickx, Pietro Sorci - hanno garantito l'obiettivo ponendosi in ascolto dell'unità e della pluralità rappresentata dal modello gerosolimitano, dalle tradizioni liturgiche a Costantinopoli, in oriente, in Armenia, a Roma e Milano. Hanno indagato l'architettura e la musica per il culto, le liturgie papali, il primato petrino, le liturgie delle basiliche a Roma e la genesi degli Ordines romani. Le nove relazioni e le tre introduzioni - unite dall'aderenza ai dati storici e libere da pregiudizi di carattere ideologico che a volte segnano anche oggi il dibattito sulla liturgia - hanno fatto emergere con chiarezza una costante preoccupazione della grande Tradizione cristiana: trasmettere fedelmente il nucleo della fede, aggiornando le sue forme celebrative per renderle comprensibili e significative nella vita della gente di ogni epoca.
Questa esigenza, finalizzata alla salvezza delle anime, non è mai venuta meno nella Chiesa e pertanto la sua pratica pastorale riannoda il passato al presente e autorizza con piena legittimità l'aggiornamento dei linguaggi e delle forme. Anche la liturgia si pone con tale spirito in ascolto dei segni dei tempi. Alla comunità cristiana, immersa nell'alto medioevo in una società messa a dura prova da cambiamenti epocali e violenti, si presentavano alternative diverse per uscire dalla lunga transizione avviata con la caduta dell'impero romano e in marcia verso ordinamenti nuovi che si sperava pacifici e giusti.
Ci si confrontava sui possibili modi di vivere e operare nella storia. Da un lato si prospettava la visione, risalente a Gregorio Magno, di una Chiesa plurale e missionaria impegnata in una riforma spirituale; dall'altra la proposta di una Chiesa più pragmatica e sensibile ai benefici assicurati da un più stretto connubio con l'impero carolingio. Nella vivace ricerca della comunità cristiana sul che fare e come realizzarlo, la liturgia cristiana iniziava già a garantire e trasmettere il nucleo della fede dentro culture e condizioni di vita sempre più diversificate.
In questo scenario riassunto per sommi capi, sembra opportuno, concludendo i lavori, sollevare due interrogativi: quanta serietà scientifica è emersa dai lavori e quanto di questo confronto teorico tra esperti può essere utile al popolo di Dio nella situazione presente?
Il culto dei cristiani ha un senso anche oggi, non è archeologia ma ha cose importanti da dire nel nostro tempo. È evidente, pertanto, che un liturgista non possa vivere di sola nostalgia del passato chiudendosi al presente. Dalla rivisitazione avvenuta nel convegno di forme liturgiche e dei loro sviluppi tra l'età di Gregorio Magno (590-604) e il più tormentato tempo del pontificato di Leone III (795-816), si evince che la prassi di salvare e custodire nel culto il nucleo della fede aggiornando le forme espressive appare già allora confermata. Si erano sviluppati riti e istituzioni variate rispetto al tempo apostolico. E non si impedivano nuove forme liturgiche vagliate dalla pastorale della Chiesa.
Allo stesso tempo emerge che la celebrazione, ossia la preghiera della Chiesa (lex orandi) ispira e modella la purezza della fede (lex credendi); che dal retto modo di pregare deriva un retto modo di credere e quindi di fare ed essere Chiesa (lex agendi). Quando si fatica a fare Chiesa occorre pertanto esaminare anzitutto la preghiera della Chiesa, occorre confrontarsi con la liturgia: Chiesa e liturgia sono indissociabili; se l'una è in sofferenza anche l'altra lo è.
Neppure nella ricerca storica dell'evoluzione liturgica nell'alto medioevo poteva così mancare il quadro ecclesiologico, la riflessione su quale coscienza la Chiesa ha di sé nel fluire del tempo. Nel concilio Vaticano II che ha posto alla base dei suoi documenti la costituzione sulla liturgia, Paolo VI enfatizzava il carattere ecclesiologico della storica assise invitando la Chiesa a chiedersi quale coscienza avesse di se stessa in rapporto a Cristo suo fondatore.
Il giovane teologo Joseph Ratzinger spiegava il concilio appena concluso riassumendolo in sei questioni principali. Al primo punto degli obiettivi conciliari poneva la liturgia. E argomentava: "Appare forse anche la questione meno importante a chi sta fuori ed è un po' tentato di vedervi una specie di estetismo, un gioco di specialisti e di storici che vogliono creare un campo conveniente alle loro scoperte. Ma la liturgia è questione di vita o di morte per la Chiesa che, se non riesce a portarvi i fedeli e in modo che siano essi stessi a compierla, ha fallito il suo compito ed ha perso il suo diritto ad esistere.
Ora proprio in questo punto, c'era nella vita della Chiesa una crisi profonda, le cui radici risalgono molto lontane. Nel tardo medioevo era andata sempre più scomparendo la conoscenza della vera essenza della liturgia cristiana. Le esteriorità passarono in primo piano e avvolsero tutto l'insieme. L'antica sostanza cristiana, rimasta integra nei testi, era talmente ricoperta da pii accessori da non giungere più a portare frutto" (cfr. Problemi e risultati del concilio Vaticano II, Brescia, Queriniana, 1966, pp. 23-24).
È a questo punto, nel nesso stretto tra liturgia ed ecclesiologia, che possiamo guardare al periodo storico preso in esame comparandolo con l'età che stiamo vivendo noi oggi. La nostra Chiesa è segnata dal concilio Vaticano II, come quella del VI- IX secolo era segnata dai grandi concili ecumenici di Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia e ancora dal secondo e terzo di Costantinopoli e dal secondo di Nicea (787).
Nel tempo odierno siamo chiamati a confrontarci con il concilio Vaticano II per comprenderlo nella sua pienezza di nuova Pentecoste e realizzarlo gradualmente e possibilmente nella sua totalità.
Alla luce di queste annotazioni vorrei evocare alcuni spunti che mi sembrano attuali. Al tempo del concilio Vaticano II e subito dopo la sua conclusione si è registrata una grande animazione liturgica, un entusiasmo almeno pari alla grande paura generata da eccessi di avanguardie minoritarie e alimentata a dismisura da minoritarie retroguardie.
In un clima di paura e di scontento era importante e molto innovativo applicare la riforma chiesta dal concilio e realizzata da Paolo VI. Purtroppo scambiata con gli eccessi, mai entrati, del resto, nel Messale romano. La confusione artificiosa e strumentale tra eccessi e riforma ha prodotto una critica ingenerosa alla riforma stessa. Essa invece ha introdotto un mutamento culturale profondo rendendo comprensibile la celebrazione dei santi misteri: la preghiera liturgica partecipata attivamente da tutte le componenti del popolo di Dio ha precedenza sulle devozioni; e se le pratiche devote private, per quanto lodevoli non sono indispensabili, della preghiera liturgica non si può fare a meno, senza che venga meno la stessa Chiesa. Ma non di rado per la pastorale feriale, quella al di fuori dai riflettori, sottoposta alla tentazione della stanchezza di un quotidiano ripetitivo, è stato talvolta più sbrigativo incentivare particolari devozioni, piuttosto che educare con pazienza e amore il popolo di Dio a celebrare. La celebrazione liturgica, specialmente eucaristica, risveglia infatti una condivisione esigente di responsabilità per la missione, la testimonianza, la fraternità.
La vis polemica intorno alla liturgia nel dopoconcilio è stata a dir poco accesa e ciò ha nuociuto a una serena valutazione dei benefici della riforma. I liturgisti, di frequente impegnati nella necessaria azione apologetica della riforma, sono riusciti a curare con minore continuità iniziative di ampio respiro per la formazione liturgica permanente dei vescovi, dei preti e dei laici. Una formazione riuscita avrebbe facilitato una prassi liturgica rinnovata e condivisa.
Esiste una certa fatica a preparare omelie di qualità nelle celebrazioni e assicurare una partecipazione attiva e informata nella messa e nei sacramenti. Si ascolta ancora un certo linguaggio che parla di "assistere" alla messa, una certa propensione a considerare la messa una devozione, e come tale non di rado considerata quasi privatisticamente.
Capita durante le messe domenicali di vedere comportamenti e partecipazione difformi tra i fedeli di una stessa parrocchia. Non di rado i parroci e i loro aiutanti incoraggiano la confessione dei fedeli durante la celebrazione eucaristica.
Sarebbe importante una stagione nuova di entusiasmo e di sforzi da parte dei liturgisti convinti della bontà della riforma conciliare per comunicare meglio natura e senso della riforma stessa e allargare una cosciente e attiva partecipazione all'eucaristia e agli altri sacramenti. Spiegare la flessibilità già contenuta nel Messale romano approvato e l'importanza di una completa ricezione dell'ecclesiologia del Vaticano II e della Dei Verbum per sintonizzarsi seriamente con la liturgia della Chiesa. Nell'età della comunicazione multimediale e digitale l'afasia liturgica è un controsenso e una zavorra per la credibilità dell'annuncio cristiano.
Proprio la varietà e la durezza del contesto politico e sociale del primo medioevo - sarebbe interessante riflettere anche sulla contemporaneità della nascita dell'islam - insegnano che l'evoluzione della liturgia avviene stando dentro la storia perché la liturgia è il momento di raccordo tra tempo ed eternità, progetto umano e grazia divina. Non dovremmo far risiedere lo splendore della liturgia tanto nell'uso di vesti liturgiche preziose, quanto nella crescita di consapevolezza cristiana di fronte alla preghiera liturgica, intesa quale espressione viva di una Chiesa diventata più sensibile al dialogo per la ricomposizione di tutti i credenti in Cristo, in ascolto di ogni esperienza religiosa che cerca Dio nei modi più disparati, attenta ai diritti dell'uomo, alla libertà religiosa. E questa consapevolezza diventata patrimonio corale e normale dei fedeli aiuterà a superare la ritualità a volte priva di anima delle celebrazioni e darà la giusta motivazione nell'impegno per la giustizia e la pace.
La Chiesa ha bisogno ancora di tanti che si dedichino con passione alla liturgia e che sappiano mettere al centro della storia e del significato della vita la ricerca di Dio, come don Luigi Della Torre (1930-1996), un grande liturgista e pastore della diocesi del Papa. È stato uno di quei preti felici della propria vocazione e perciò liberi di spirito che meglio hanno tradotto in Italia la riforma liturgica conciliare in una nuova vita ecclesiale. Egli può suggerire un metodo e un percorso pastorale concreto. Era convinto che la liturgia proposta nella Sacrosanctum concilium fosse il catechismo per eccellenza di una buona vita cristiana perché la preghiera della Chiesa adegua la mente e il cuore dei fedeli alla Parola di Dio e spinge chi nel nostro tempo vi partecipa con sincerità, all'imitazione di Cristo.



(©L'Osservatore Romano 6 marzo 2011)
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