Il 17 marzo al Teatro dell'Opera di Roma alla presenza del presidente Napolitano

La patria perduta del Nabucco

di MARCELLO FILOTEI

Quando la musica aveva ancora un ruolo sociale se ne occupavano anche i patrioti. Aveva infatti senso chiedersi "perché il coro, che nel dramma greco rappresentava l'unità d'impressione e di giudicio morale, non otterrebbe nel dramma musicale moderno più ampio sviluppo, e non s'innalzerebbe, dalla sfera secondaria passiva che gli è in oggi assegnata, alla rappresentanza solenne ed intera dell'elemento popolare?". Certo Giuseppe Mazzini, nella sua Filosofia della musica del 1836 pensava a Rossini come traghettatore dal vecchio al nuovo. Il genovese col pallino di "costruire l'Italia in nazione una, indipendente, libera e repubblicana" non poteva immaginare che di lì a non molto sarebbe stato invece Verdi a essere preso a simbolo del sentimento unitario, complice oltre al genio anche il felice acrostico nel quale è stato sciolto il suo nome (Vittorio Emanuele Re D'Italia).
Per questo la profezia di Zaccaria nel Nabucco, attraverso la quale il gran pontefice degli ebrei comunica al suo popolo abbattuto nuove speranze e vigore, viene da alcuni studiosi messa in rapporto proprio con le parole di Mazzini, che si scaglia contro "i maestri e i trafficatori di note" e si rivolge a quanti "nell'Arte sentono il ministero, e intendono la immensa influenza che s'eserciterebbe per essa sulle società, se la pedanteria e la venalità non l'avessero ridotta a meccanismo servile, e a trastullo di ricchi svogliati". Scontata ma inattaccabile, dunque, la scelta di mettere in scena proprio la terza opera verdiana nel giorno delle celebrazioni per l'unità d'Italia il 17 marzo al Teatro dell'Opera di Roma, diretta da Riccardo Muti alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Certo non è ancora l'esplicito riferimento a I vespri siciliani che arriverà decenni dopo, ma la "patria perduta" che gli ebrei anelano nel celebre coro poteva a buon motivo rappresentare l'aspirazione degli idealisti che fecero l'impresa, che in realtà la patria non l'avevano perduta perché non l'avevano mai avuta. E certo la storia è per certi versi sempre la stessa, due giovani si amano ma appartengono a mondi diversi, in guerra tra loro. Come sempre salvare la diletta significa condannare il proprio popolo. Ma la tensione è verso quello che potrebbe essere: ogni parola è rivolta a un luogo lontano dove vivere in pace, tutti uniti. Impossibile, conoscendo l'opera, travisare questo messaggio. Ascoltando il Nabucco per intero, chi non fa propri i valori dell'unità, potrebbe cogliere l'occasione se non per cambiare idea - solo i visionari come Mazzini riconoscono tanto potere alla musica - almeno per scegliere un altro compositore di riferimento.



(©L'Osservatore Romano 17 marzo 2011)
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