Gli affreschi della Cappella Niccolina spiegati dal direttore dei Musei Vaticani

Un Beato Angelico
per nulla scontato


di Silvia Guidi

"Chissà come sarà piaciuta a Raffaello giovane questa eleganza, questa maestà nella composizione dei volti". Siamo davanti alla diapositiva di un particolare della Cappella Niccolina, nei Musei Vaticani; al centro della foto c'è un ragazzo che porta in braccio degli oggetti di argento, vassoi e bacili finemente decorati, attorniato da altre figure:  nel volto pallido e teso raffigurato sull'affresco c'è un'attenzione concentrata, quasi un leggero timore.
A parlare è Antonio Paolucci; il direttore dei Musei sta introducendo la visita alla cappella privata di Papa Niccolò V, eccezionalmente aperta al pubblico - in occasione dell'apertura straordinaria notturna, prolungata a tutti i venerdì di ottobre - perché anche il pubblico si apra alla novità di quello che sta per vedere e non dia per scontata un'esperienza conoscitiva preziosa, unica nel suo genere; soprattutto non pensi di essere di fronte al Beato Angelico di tanti poster virato seppia - perché "fa antico" e si vendono di più - o di tante immaginette poetiche ma decontestualizzate; in una parola, non pensi di trovarsi di fronte a un pittore grazioso ma di fatto prevedibile o poco interessante.
Si fa presto a passare dal santo al santino, anche nei manuali di storia dell'arte o nelle guide per turisti, spiega Paolucci; colpa di Vasari, che ha piegato il suo italiano colorito e drammatico alle frasi fatte dell'agiografia, e volendo lasciare una testimonianza della solida fede e delle virtù eroiche di Giovanni da Fiesole detto - già dai contemporanei - Beato Angelico ne ha di fatto appiattito la figura, restituendoci un'immagine oleografica priva della freschezza e della profondità della vita reale.
Per questo, per far capire e apprezzare la grazia semplice (ma non "facile") del monaco pittore fiorentino bisogna parlare anche dei suoi maestri, dei suoi allievi (tra cui Benozzo Gozzoli, il suo collaboratore più capace e intraprendente, con cui ha condiviso il lavoro della Niccolina), della temperie storica in cui è nato ed è cresciuto artisticamente, un umanesimo vorace nella ricerca di tutto ciò che poteva essere considerato "cultura" (libri antichi, oggetti d'arte, scambi con il mondo orientale) ma già tentato dall'erudizione vuota e dall'intellettualismo fine a se stesso.
Umanista e filologo (uno dei più grandi della sua epoca) fu anche il committente degli affreschi che decorano tre pareti e il soffitto della piccola Cappella Niccolina solitamente chiusa ai visitatori:  Tommaso Parentucelli, Papa con il nome di Niccolò V dal 1447 al 1455.
Eletto a sorpresa, quando già erano in corso i festeggiamenti (o meglio, una sorta di saccheggio rituale; amici e parenti erano ansiosi di alleggerire il neopontefice da quelle cose che non gli sarebbero servite più) a casa del cardinale Colonna, dovette forse il gran numero di consensi all'eccezionale capacità oratoria di cui aveva dato prova durante le esequie del suo predecessore, Papa Eugenio IV.
In quell'occasione aveva parlato a braccio per un'ora e mezzo in un latino perfetto, rigoroso ma pieno di passione per la verità, capace di convincere e commuovere.
A poco a poco le immagini riacquistano rilievo, storia, contesto, spessore umano, tornano a "parlare":  il diacono Stefano che predica a un gruppo di fedeli adombra la figura del committente, e sotto la tiara di Sisto II - Pontefice all'epoca del martirio di san Lorenzo - si cela certamente il volto pallido e segnato dalle tante vigiliae passate a leggere e studiare di Tommaso Parentucelli. Ma perché scegliere proprio le storie dei martiri Stefano e Lorenzo? Forse per ricordare, durante la messa celebrata ogni giorno, il misterioso nesso che lega carità e sofferenza, che accende di fiammelle dorate la dalmatica rossa di Lorenzo ma prelude anche al suo terribile martirio. Un nesso misterioso presente anche nelle opere più solari di Beato Angelico; nelle Madonne annunciate c'è spesso uno stupore venato di inquietudine, pur nella totale disponibilità del fiat. Chi ha visitato il Museo di San Marco a Firenze sa di quanta violenza e di quanto dolore siano intrisi gli intonaci affrescati delle celle, che a un primo sguardo sembrano emanare solo luminosità serena e pace profonda:  Cristo deriso, crocifisso, pallido di angoscia prima della Passione, mentre un sottile rivolo di sangue scende sempre dal capo di Pietro da Verona (il domenicano che lottò contro le eresie e venne ucciso a colpi di roncola, raffigurato più volte nelle celle del monastero). Un'ambivalenza del resto presente anche nella celeberrima Sistina; nel Giudizio universale non c'è nessun trionfalismo e nessuna facile allegria, le anime salvate sono ancora segnate dalla stanchezza, la guerra della vita terrena è stata durissima, salgono verso l'alto come risucchiate da un vortice, quasi incredule davanti alla gioia che è stata preparata per loro.
L'"effetto notte" aumenta il fascino delle opere esposte:  le sale sono affollate ma l'atmosfera è festosa. Durante la visita, i bambini sfogliano i libri creati per loro al punto vendita o sgambettano felici lungo la Galleria delle Carte Geografiche, i grandi scoprono di non aver mai davvero visto la Pietà di Michelangelo grazie alle foto di Robert Hupka, folgorato dalla scultura durante la tournée che la portò in America negli anni Sessanta. O vedono per la prima volta il gioco dei panneggi sul retro, inaccessibile allo sguardo di chi ammira la statua in San Pietro.
In tanti sono arrivati all'apertura dei cancelli, alle 19 in punto, per non perdersi il tramonto sulla Basilica e sui Giardini Vaticani dal Cortile delle Corazze; i ritardatari hanno comunque potuto ammirare le sculture antiche alla luce tremula e sommessa delle fiaccole nel Cortile Ottagono, raggiungere la Stanze di Raffaello e attraversare le sale della Collezione di Arte Religiosa Moderna, lasciandosi sorprendere dalla lucida crudeltà di Francis Bacon, che decompone il volto umano, trasforma lo sguardo in un opaco insieme di contraddizioni e le mani in artigli di animale. Accanto al grido in rosso della Deposizione di Van Gogh era possibile anche ritrovare la grazia velata di inquietudine delle Madonne dell'Angelico; espressa con un altro linguaggio, simbolista ed ellittico, in un disegno a sanguigna dedicato a Giovanna D'Arco di Odilon Redon, nato svariati secoli più tardi ma altrettanto attento a esplorare il mistero non totalmente umano del cuore umano.



(©L'Osservatore Romano 4 ottobre 2009)
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