Lunari, almanacchi e calendari

I ritmi dell'uomo in attesa


di Isabella Farinelli
Archivio storico diocesano di Perugia

In transitu ad novum annum 1614, il vescovo Napoleone Comitoli, nominato nel 1591 alla sede perugina, dove aveva fatto ingresso di notte per destinare ai poveri la somma risparmiata, scrisse una delle sue molte poesie sul metro dell'inno sacro con l'eloquente sottotitolo Alpha et Omega. Vi intesseva una fitta rete di relazioni, corrispondenze, parallelismi, tra le lettere dell'alfabeto greco e l'avvicendarsi di sole e luna, in divina armonia:  Divisit anni tempora / mundi fabricator Deus / solem diebus voluit / praeesse, lunam noctibus. Osservatore del cielo e convinto osservante dello spirito tridentino, Comitoli aveva un punto di vista privilegiato nella plebs infra montes dedicata a san Giovanni, dove faceva tappa nelle numerose visite pastorali al contado e dove si recava a condividere con la gente del luogo la festa del 24 giugno, che era anche il suo compleanno. In comunità rurali segnate, talora duramente, dalla scansione stagionale più che dal tempo lineare, tanto che raramente un adulto conosceva la propria età - lo provano le incongruenze nei registri parrocchiali - i cicli del tempo liturgico, ribaditi dai sinodi diocesani che Comitoli celebrava ogni tre anni, costituivano un riferimento immediato e connotato localmente; un orizzonte normativo, ma anche evocativo, di attese e di segnali.
Lo stesso a cui dà voce, un secolo e mezzo più tardi, un parroco del marscianese, don Andrea Niccolai, nel Libro della confraternita delle Cinque piaghe:  "Ricordo come alli 26 o 27 di agosto 1769 fu veduta una stella, o forse cometa, la quale aveva in cima un raggio di diversi colori con raggi, chi più longhi e più corti secondo appariva agl'occhi nostri, e questa fu veduta in principio in mezzo al cielo, e detti raggi tendevano verso ponente, ed invece d'andare avanti verso ponente ritornava adietro verso levante con raggi assai più longhi di prima, e durò questa apparenza sino li 15, o 16 di settembre 1769, e non fu più veduta". Con il commento:  "Cosa voglia significare si vedrà in avvenire".
Andando a ritroso nella notte - è il caso di dirlo - dei tempi, molto più indietro della cometa di Messier che fu probabilmente l'ispiratrice di don Andrea, è risaputo come "le mele d'argento della luna" e "le mele d'oro del sole" di Yeats abbiano scavato da tempo immemorabile negli uomini il solco del ritmo, destandone peraltro il "de-siderio".
Ma è nel XVIII secolo (dopo prototipi anteriori) che prolifera, nel nostro orizzonte culturale, una stampa spesso considerata "minore" nella quale si può invece ravvisare un genere ben codificato:  almanacchi, calendari, lunari, accomunati dalla sequenza di giorni e mesi e feste fisse e mobili, introdotti da un "discorso generale" e corredati da informazioni, raccomandazioni, pronostici, sia in forma iconica sia verbale, sotto l'auctoritas di esotici, quando non esoterici, pseudonimi.
Uno dei centri di produzione e diffusione era Foligno (già luogo della storica edizione 1472 della Divina Commedia), dove nel 1977 sono stati esposti 41 lunari "in foglio", raccolti a suo tempo da monsignor Michele Faloci Pulignani (1856-1940), erudito e bibliotecario. Tra questi il Barbanera, tuttora in commercio, che condivideva con gli altri la preoccupazione di rispettare "i savi decreti di Papa Urbano viii che alle previsioni dovesse essere data solo una fede umana, senza toccare l'intangibilità dei poteri divini".
Un aspetto che per altri versi poneva questi almanacchi in attrito con altri centri di produzione, ad esempio quello toscano sette-ottocentesco, catalogato nel 1989 da Gabriella Solari, la quale vi coglie il proposito di una impostazione meno astrale e più "scientifica".
La destinazione di queste stampe, benché contenutisticamente centrate sul mondo agricolo, non era così popolare come si crederebbe:  non solo per l'analfabetismo delle masse, ma per i numerosi riferimenti aulici e la presenza di glosse di mano "culta", come notano, a Foligno, Tullio Seppilli e Ivo Picchiarelli.
Viene in mente il "passeggere" di Leopardi:  il quale, nonostante l'ostentato disincanto, alla fine si concesse un almanacco nuovo, "il più bello". In quei primi decenni dell'Ottocento, il settore si era fortemente allargato, e probabilmente il venditore gli scelse un articolo più sofisticato di quel Veridico perugino il cui Discorso generale, per il 1855, recita:  "L'anno essendo sotto la dominazione di Saturno, i Mitologi sarebbero certi di condurre giorni felicissimi. Noi però la certezza di nostra felicità ritrarre dobbiamo dalla osservanza del giusto e dell'onesto; e se dalle osservazioni fatte ci è dato sperare in gran parte d'Italia soddisfacenti i ricolti, cessando per alcuni le cagioni che li danneggiano, lo sperare non sarà vano gli occhi levando verso Dio, che è l'ultima nostra salute".
Sereno erede della secolare produzione di almanacchi è oggi Frate Indovino. Nato nel 1945 per iniziativa del cappuccino Mariangelo da Cerqueto (anagraficamente Mario Budelli), è diffuso in sei milioni di case in tutto il mondo. Ogni annata è a tema:  nel 2010, Questa pazza cara Italia, con vignette originali di Fremura. Anche dopo la morte del fondatore nel 2002, confratelli e collaboratori, attingendo ai suoi manoscritti e alla propria fantasia, aggiornano il contenuto informativo ma difendono l'identità del suo almanacco, scandito dai ritmi astronomici, agricoli e liturgici.
Accanto alla funzione utilitaristica, ormai minoritaria, emerge nettamente la funzione poetica di Jakobson:  non tanto nei singoli testi (apologhi, proverbi, citazioni letterarie), quanto nella struttura evocativa dell'insieme. Così, nel ricercarvi "le stagioni d'una volta", ci si ritrova un'eco del Comitoli, quod Alpha non Dei / significat principium / omega nec finem notat. O quella più recente di Pierre Talec:  "Dio viene dall'avvenire".



(©L'Osservatore Romano 31 dicembre 2009)
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