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Nel solco
del concilio Vaticano II


 

Nell'omelia tenuta durante la messa crismale, che inaugura il triduo sacro nel cuore dell'anno liturgico cristiano, Benedetto XVI si è chiesto - parlando del sacerdozio e riferendosi esplicitamente a un appello alla disobbedienza pubblicato da un gruppo di sacerdoti a proposito di "decisioni definitive del Magistero" - se la disobbedienza sia la via per rinnovare la Chiesa. E ponendosi poi, come è solito fare, dalla parte di chi interroga, si è domandato se al contrario l'obbedienza non difenda l'immobilismo e non irrigidisca la tradizione.
La risposta del Papa, come sempre, non è stata né evasiva né generica: "No. Chi guarda alla storia dell'epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento". Rinnovamento che ha descritto articolato in quattro aspetti, e cioè "l'essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell'obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell'amore". Non è dunque la disobbedienza la strada, ma nemmeno l'irrigidimento. Benedetto XVI ha storicizzato la sua risposta, alludendo al mezzo secolo trascorso dall'apertura del concilio Vaticano II e richiamando implicitamente quella logica della riforma contrapposta a quella della rottura che aveva evocato davanti alla Curia romana nel fondamentale discorso del 22 dicembre 2005: "All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965".
È dunque all'eredità del Vaticano II - novissimus, cioè ultimo, nella serie dei concili e con tutti coerente secondo la tradizione vivente della Chiesa, aperta al futuro in attesa della venuta del Signore - che il Pontefice richiama l'intera comunità dei fedeli. In un momento che Benedetto XVI, citando l'analisi recente di diversi cardinali, descrive senza mezzi termini segnato da "un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente". Ecco dunque, a cinquant'anni dall'apertura dell'evento religioso più importante del Novecento, l'Anno della fede, occasione perché questa sia annunciata con zelo e gioia. Senza paura di usare termini fuori moda come appunto "zelo" o "anima", combinati nell'espressione animarum zelus, caduta quasi in disuso e che invece il Papa propone ai sacerdoti perché siano davvero vicini a ogni persona e a esse mostrino il volto di Cristo. Una riflessione lucida e mite, che una volta di più
cancella lo stereotipo di un Papa debole che non governerebbe la Chiesa. Mentre, proprio oggi, viene diffuso in Italia dalla rivista dei gesuiti "La Civiltà Cattolica" il lungo documento della Commissione teologica internazionale sulla teologia oggi, già accessibile in inglese sul sito vaticano. Elaborato dall'organismo voluto nel 1969 da Paolo VI, che volle includervi subito il quarantaduenne Joseph Ratzinger allora docente all'università di Ratisbona, il testo esordisce anch'esso con una valutazione largamente positiva del rinnovamento impresso alla teologia dal Vaticano II, insistendo al tempo stesso sulla necessità di un "discorso comune". In comunione con la Chiesa, per offrire alle donne e agli uomini di oggi la verità di Cristo.

g.m.v.

(© L'osservatore Romano 06/04/2012)