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Per costruire la pace


 

Dal cuore della Terra Santa, da Gerusalemme e da Betlemme, Benedetto XVI guarda al futuro. E il suo sguardo è di speranza anche in una situazione che non sembra lasciarle spazio. Venuto in pellegrinaggio come vescovo di Roma e successore di Pietro, a nome di tutta la Chiesa, il Papa vuole innanzitutto sostenere la minoranza cristiana, tanto piccola quanto antica. Le radici di queste comunità cattoliche - minuscole, da sempre travagliate e che ora la crisi della regione sta assottigliando ulteriormente - risalgono infatti alle origini del cristianesimo e sin dai tempi dell'apostolo Paolo sono care alla Chiesa sparsa nel mondo.
In questo contesto duro e aspro i cristiani della Terra Santa sono chiamati a favorire armonia ed equilibrio. Con una scelta che può essere di esempio per la stessa vocazione universale di Gerusalemme. Benedetto XVI ha definito la città santa casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, e microcosmo del mondo globalizzato, ed è stato significativo che lo abbia fatto durante la messa, alla quale purtroppo non hanno potuto partecipare molti cattolici che pure lo avrebbero desiderato, celebrata nella valle di Giosafat, luogo dove da secoli sono sepolti ebrei, cristiani e musulmani nell'attesa comune del giudizio finale.
E al futuro il Papa ha di nuovo rivolto lo sguardo nel momento dell'arrivo nei Territori palestinesi, ripetendo nei suoi interventi la solidarietà a un popolo che soffre - in particolare dopo la guerra di Gaza - e il sostegno della Santa Sede a una patria palestinese sovrana all'interno di confini riconosciuti internazionalmente, insieme a un nuovo appello alla comunità internazionale per una soluzione che soddisfi le legittime aspirazioni di israeliani e palestinesi a una pace stabile che garantisca a tutti sicurezza e maggiore libertà di movimento.
Il futuro di tutta la Terra Santa - Giordania, Israele, Territori palestinesi - ha bisogno di pace, e per questo è urgente il compito di educare le nuove generazioni, resistendo alla tentazione di ricorrere alla violenza o al terrorismo. Il Papa e la Chiesa non hanno armi né potere politico, ma non mancano nella regione leader che hanno capito l'urgenza di un futuro senza guerre e senza muri, in favore del quale da decenni sta operando la Santa Sede. E  proprio  da  Betlemme  Benedetto XVI ha ripetuto l'annuncio della nascita del Salvatore. Che ha messo fine al dominio del peccato e della morte sull'uomo e ha dato inizio a un regno che non è di questo mondo, ma che è capace di cambiarlo.
Soprattutto, i palestinesi - insieme agli altri popoli del Vicino e del Medio Oriente - hanno bisogno di coraggio per abbandonare strade che si sono rivelate senza uscita. Hanno bisogno di ponti e non di muri, insomma di una vera e propria nuova infrastruttura spirituale al servizio dell'educazione, dello sviluppo, del bene comune. Per costruire, sul fondamento della giustizia, un futuro di convivenza pacifica tra ebrei, cristiani, musulmani. E tra israeliani e palestinesi.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 14/05/2009)