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Il processo unitario secondo lord Acton

Verrà il giorno in cui gli Italiani
si riconcilieranno col Papato


"Vi sarebbero ancora le questioni del Tirolo e di Trieste" disse a Gladstone Pio IX

 

Sul tema dei difficili rapporti tra Stato e Chiesa nella seconda metà dell'Ottocento pubblichiamo uno stralcio dal libro La donazione di Costantino scritto dal nostro direttore nel 2004 (Bologna, Il Mulino) e di prossima riedizione.

A proposito della politica aggressiva nei confronti della Chiesa del Governo piemontese, lucida è l'analisi dello storico John Emerich Acton, autorevole esponente del cattolicesimo liberale inglese, che sulla rivista cattolica "The Rambler" nel novembre del 1861 presentò il volume (Kirche und Kirchen) che il suo maestro Döllinger aveva appena pubblicato attaccando il potere temporale del Papa:  "L'ostilità degli Italiani stessi verso la Santa Sede è il tragico sintomo della presente malattia. In altre età, quando il Papato veniva minacciato, gli Italiani si schieravano dalla sua parte, o almeno restavano neutrali. Ora invece essi chiedono la distruzione del potere temporale, concepita o come un necessario sacrificio all'unità e alla grandezza del loro paese, oppure come giusta conseguenza di insanabili deficienze. Verrà comunque il giorno in cui gli Italiani si riconcilieranno col Papato e con la sua presenza di Potenza tra di loro. È stata la dipendenza dalle armi austriache ed il fatto che l'opinione pubblica ha identificato la causa del Papato con quella del detestato straniero, ciò che ne ha oscurato la nobile posizione di sostegno morale e di protettore della nazione. Per quindici secoli la Santa Sede è stata il perno della storia italiana e l'origine dell'influenza italiana in Europa".
Al di là delle nuove contrapposizioni storiografiche tra neoguelfi e neoghibellini sul ruolo del papato nella storia italiana, il punto di vista esterno permetteva al cattolico Acton uno sguardo più distaccato e acuto, peraltro con un giudizio politico molto severo sull'evoluzione del processo unitario nella penisola:  "La vecchia profezia del Papa Angelico, che sarebbe sorto a porre fine a discordie e disordini, e a ristabilire pietà e pace e felicità in Italia, non era che la significativa espressione della convinzione popolare che il Papato e la nazione erano legati l'uno all'altra, e che l'uno era il guardiano dell'altra.
Quella convinzione sonnecchia, ora che prevale l'idea unitaria, mentre gli Italiani tentano di mettere il tetto a un edificio privo di muri e di fondamenta; ma poiché la centralizzazione produce necessariamente il federalismo, quella convinzione risorgerà quando, dopo la ricerca dell'impossibile, si scorgerà l'unica via praticabile. Il carattere tirannico del governo piemontese, il suo disprezzo per la santità del diritto pubblico, i principi in base ai quali tratta il clero, il modo con cui ha calpestato i diritti del Papa e gli interessi della religione, la perfidia e il dispotismo dimostrati, fanno sì che qualsiasi garanzia esso offra al Papa, non possa avere alcun reale valore; tanto più che, nelle turbolente condizioni del regno, nel quale i partiti si succedono confusamente e il potere ondeggia, qualunque sia la garanzia offerta dal ministero, non vi è nessuno che possa garantire il garante. È un sistema senza libertà e senza stabilità; e il Papa non potrà mai riconciliarvisi, né può diventare un cittadino del regno italiano".
Pio IX, il cui pontificato era stato in una prima fase caratterizzato da simpatia nei confronti della causa nazionale italiana, conservò tuttavia anche negli anni della contrapposizione più aspra tra regno d'Italia e papato una qualche comprensione per il processo unitario, come appare dal racconto di una lunga udienza concessa dal Pontefice il 22 ottobre 1866 a William Ewart Gladstone, l'uomo politico poi a lungo più volte a capo del Governo britannico, che l'anno prima aveva dimostrato interesse per la questione romana aggiungendosi ai diversi fautori italiani - come i religiosi Carlo Passaglia, Luigi Tosti e Carlo Mario Curci - di soluzioni di compromesso su una linea di conciliazione.
Sull'unità d'Italia il Papa, scrive Gladstone, "non fece alcuna obiezione di principio; sembrò anzi ammetterla teoricamente e concedere che v'abbiano in essa pratici vantaggi. Però egli parlò del presente stato di cose come se fosse deplorabile. Lagnossi esplicitamente della condotta del Governo italiano, avverso alla religione", ma "ammise la tendenza generale ed efficace dei tempi nostri verso i governi rappresentativi, non manifestò nessuna ripugnanza per siffatta forma di Governo; però disse che in Italia le elezioni non sono realmente libere, che v'era molta timidità ed indifferenza nei buoni, e molta sfrontatezza nei cattivi".
Durante il colloquio Pio IX parlò anche dei confini italiani, segnati dalle Alpi, giungendo a osservare "che vi sarebbero ancora le questioni del Tirolo e di Trieste" (sulle quali Gladstone espresse però le riserve del Governo britannico), affermando come fosse "necessario del tempo all'Italia per consolidarsi" e manifestando infine "la speranza che fra breve, invece dei mali presenti, l'Italia conseguirà quiete, rispetto alla religione, e specialmente "un po' d'ordine", aggiungendo che "o fosse una lega o fosse una nazione" una soluzione si troverebbe.
Questo fu il solo cenno esplicito d'una alternativa che implicasse la divisione dell'Italia". Ma dopo la presa di Roma, negli ultimi anni del pontificato, nel divampare dello scontro e nell'irrigidirsi delle posizioni, prevalse la condanna senza appello del Risorgimento, definito dal Papa nei suoi discorsi ai fedeli "una oppressione morale, civile e religiosa" e "il trionfo del disordine e la vittoria della più perfida rivoluzione", benché l'atteggiamento di Pio IX nei confronti della realtà italiana appaia anche negli ultimi anni una sofferta critica dall'interno:  "Non entro nei dettagli, che ho rossore di enumerare, tanto più che ancor Io nacqui in Italia e non sarò Io che vorrò scoprire le sconcezze italiane, ma però mi trovo in dovere di condannarle".

g.m.v.

 (© L'Osservatore Romano 20-21/09/2010)