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Un viaggio storico


Benedetto XVI negli Stati Uniti e all'Onu

Un viaggio storico: è questa la definizione più adatta per l'itinerario negli Stati Uniti appena compiuto da Benedetto XVI, anche se è ovviamente troppo presto per capire in che senso questa valutazione vada compresa. I commenti giornalistici sono già numerosissimi, innanzi tutto in America, e non è facile trovarvi un filo prevalente, se non quello, appunto, dell'importanza di questa visita, fitta di avvenimenti e di simboli: dall'accoglienza inusuale appena giunto sul suolo statunitense da parte dello stesso Presidente George W. Bush a quella straordinaria alla Casa Bianca, dal discorso all'assemblea generale delle Nazioni Unite fino alla commovente preghiera silenziosa a Ground Zero, in un clima grigio e freddo che è sembrato all'improvviso intonarsi, dopo alcune splendide giornate primaverili, al ricordo dell'abisso spaventoso apertosi l'11 settembre 2001 e al raccoglimento profondo che, unico, ha potuto affrontare quella tragedia nell'invocazione poi rivolta dal Papa al Creatore.
Ma la visita alla Chiesa statunitense del vescovo di Roma è stata appunto ricchissima. Come non ripensare alle splendide e accurate liturgie che hanno scandito le giornate americane di Benedetto XVI? In queste celebrazioni il gregoriano e la polifonia in latino si sono mescolati con suggestione a canti solenni e gioiosi in diverse lingue, accompagnati anche da trombe e tamburi, sottolineando così la continuità e la vitalità della tradizione liturgica cattolica: dalla preghiera della sera con tutti i vescovi del Paese nel santuario nazionale di Washington sino alle grandi messe. Nella cattedrale newyorkese di San Patrizio, certo, ma anche negli stadi delle due grandi squadre di baseball, i Nationals della capitale federale e gli Yankees a New York, nel Bronx, dov'era di casa il mitico Joe DiMaggio, abituato a ringraziare Dio di averlo fatto, appunto, Yankee.
Proprio nei due stadi trasformati in grandi chiese, ma anche nei campi del seminario di Saint Joseph, gremiti di giovani entusiasti, e nelle strade di New York - dove si sono accalcate a ogni passaggio del Papa molte migliaia di persone, desiderose di vederlo anche solo per un attimo - il Papa ha avvertito fisicamente la vicinanza dei cattolici americani, in una comunione plurale di lingue e culture diversissime tra loro. E impressionanti sono stati pure il saluto del personale delle Nazioni Unite - che Benedetto XVI ha incontrato dopo il discorso ai rappresentanti di quasi duecento Paesi e che nella stessa grande aula stracolma gli ha tributato ripetute ovazioni - e l'incontro, tanto semplice quanto cordiale e toccante, con la comunità ebraica nella sinagoga newyorkese di Park East, che al Papa ha richiamato quella di Nazaret dove il giovane Gesù apprese e fu chiamato a spiegare le Scritture.
Con il suo viaggio Benedetto XVI ha voluto dunque manifestare la sua amicizia agli Stati Uniti, grande Paese laico per amore della religione, ma anche celebrare un cattolicesimo solido e vitalissimo nonostante difficoltà anche gravi: come quelle derivanti dallo scandalo degli abusi sessuali nei confronti di molti minori da parte di uomini di Chiesa; una vicenda - in parte anche strumentalizzata - per la quale il Papa ha più volte dichiarato la sua addolorata incredulità e la sua vergogna, espresse di persona anche ad alcune vittime. Un cattolicesimo che in poco più di due secoli è divenuto sempre più importante e influente nella comunione della Chiesa e che certamente è stato appoggiato e rinvigorito dal vescovo di Roma. Un cattolicesimo che a sua volta ha sostenuto Benedetto XVI, come lui stesso ha voluto dichiarare al canale cattolico della Sirius Satellite Radio di New York: sono venuto "per confermare i miei fratelli nella fede, ma ora devo dire che i cattolici americani stanno confermando me nella mia fede". Guardando a Cristo, la cui speranza - e lo si è visto in questi giorni americani - è nel cuore di ogni essere umano.

g.m.v.

 (© L'Osservatore Romano 21-22/04/2008)