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A quarant'anni dall'«Humanae vitae»

Un segno
di contraddizione

Quarant'anni fa, il 25 luglio 1968, Paolo VI firmava l'Humanae vitae, l'enciclica che respingeva la contraccezione con metodi artificiali, contro l'edonismo e le politiche di pianificazione familiare, spesso imposte ai Paesi poveri da quelli più ricchi. Appena pubblicato, il 29 luglio, il testo sollevò un'opposizione senza precedenti all'interno della stessa Chiesa cattolica, al punto che il Papa decise di non utilizzare più la forma solenne dell'enciclica, con ogni probabilità per non esporre a inutili logoramenti l'autorità pontificia:  «Raramente un testo della storia recente del Magistero - scrisse nel 1995 il cardinale Joseph Ratzinger - è divenuto tanto un segno di contraddizione come questa Enciclica, che Paolo VI ha scritto a partire da una decisione profondamente sofferta». A spiegare il dissenso e le reazioni polemiche concorsero molti fattori, dal clima culturale complessivo di quegli anni agli enormi interessi economici implicati.
Su questo tema cruciale Papa Montini non mutò tuttavia il suo atteggiamento. Anzi, poche settimane prima della morte - parlando il 23 giugno 1978 al collegio cardinalizio - ribadiva, «dopo le conferme venute dalla scienza più seria», le decisioni prese allora, in coerenza con il Vaticano II, per affermare il principio del rispetto delle leggi di natura e quello «di una paternità cosciente ed eticamente responsabilizzata». E nel discorso per la festa dei santi Pietro e Paolo, esplicitamente presentato come un bilancio del pontificato, Papa Montini citò le encicliche Populorum progressio e Humanae vitae come espressioni di quella difesa della vita umana che definì elemento imprescindibile nel servizio alla verità della fede.
Definito con irrisione «l'enciclica della pillola», il documento papale - in continuità con il magistero di Pio XI e soprattutto di Pio XII, richiamato in proposito anche dalla Gaudium et spes - è coerente con le importanti novità conciliari sul concetto di matrimonio, ma nonostante questo fu sommerso dalle polemiche. Oggi, di fronte agli inquietanti sviluppi dell'ingegneria genetica, l'Humanae vitae appare lucida e antiveggente quando dichiara che «se non si vuole esporre all'arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell'uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato, sia rivestito di autorità, è lecito infrangere».
La bufera sollevata contro l'enciclica di Paolo VI oscurò soprattutto l'insegnamento sul matrimonio, descritto non come «effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali», ma istituito da Dio. Sacramento per i battezzati, il matrimonio è però «prima di tutto - afferma con forza l'Humanae vitae - amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale», come anche «forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa».
L'elaborazione del testo fu preceduta dai lavori di una commissione pontificia per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità che, com'è noto, nel 1966 concluse a maggioranza e non senza contrasti - e questo è molto meno noto - in favore della liceità della contraccezione nel quadro di una «paternità responsabile». Paolo VI tuttavia non si sentì legato a queste conclusioni, e per la sua decisione fu criticato e attaccato. Non si devono però dimenticare i consensi:  su «L'Osservatore Romano» del 6 settembre 1968 Jean Guitton definì l'enciclica ferme mais non fermée («ferma ma non chiusa»), in quanto «se parla della via stretta» mostra che è «la via aperta verso l'avvenire», mentre il cardinale gesuita Jean Daniélou sottolineava che il documento «ci ha fatto sentire il carattere sacro dell'amore umano», esprimendo una «rivolta contro la tecnocrazia».
Autentico segno di contraddizione, l'Humanae vitae non è ricordata volentieri. Certo per il suo insegnamento esigente e controcorrente. Ma anche perché non è utile al gioco ricorrente che mette i Papi l'uno contro l'altro, metodo forse utile dal punto di vista storiografico per delineare ovvie diversità, ma da respingere quando è usato strumentalmente, come avviene di continuo soprattutto nel panorama mediatico. Sostenitori di Paolo VI furono infatti il cardinale Karol Wojtyla - l'arcivescovo di Cracovia che aveva avuto un ruolo importante nella commissione allargata e che avrebbe poi molto innovato con il suo magistero pontificio sul corpo e la sessualità - e Joseph Ratzinger, altro porporato ab eo creatus. A mostrare la vitale continuità della proposta cristiana anche sul problema del controllo delle nascite, che già il 23 giugno 1964 il Papa definiva «estremamente grave» perché «tocca i sentimenti e gli interessi più vicini alla esperienza dell'uomo e della donna».

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 25/07/2008)