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Come un fuoco acceso nella notte


 

Dalla luce del Natale che rifulge nella liturgia per brillare nei cuori Benedetto XVI ha tratto una riflessione proposta non soltanto ai fedeli cattolici. Lo ha fatto nell'omelia durante la messa in nocte e nel messaggio urbi et orbi, testi che non ricevono facilmente nei media attenzione e che quest'anno sono stati ancor più trascurati per il trambusto causato da una giovane precipitatasi verso il Papa. Quasi una metafora della difficoltà di comunicazione in un mondo che invece sempre più viene sommerso - e il fenomeno non è soltanto negativo - dalle informazioni.
La stessa notizia che cambia tutto - la nascita dell'unico salvatore del mondo - fa fatica a essere percepita. Benedetto XVI, tuttavia, non si turba né si scoraggia. E ragiona, con pacatezza, su questa "notizia che non può lasciarci indifferenti". Come un Padre della Chiesa (questa volta Origene, citato per ben tre volte nell'omelia), il Papa ha spiegato che non senza scopo il vangelo di Luca racconta la storia dei pastori. Che vegliavano e dunque vigilavano, non persi nel mondo del sogno ma attenti alla realtà comune che unisce tutti. Sensibili e aperti cioè all'attesa di Dio, l'unica realtà importante.
Oggi la sensibilità per Dio è attenuata, e anche se per molti - "anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore", ha detto il Papa - non è così, "la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo". Come i magi che abitavano lontano, però, è possibile contemplare i segni, mettersi in viaggio, oltrepassare se stessi e arrivare a Betlemme. Dove la Parola creatrice del mondo può essere guardata in un bimbo, il segno di Dio che "si lascia toccare". Ma per farlo bisogna abbandonare il paganesimo dei cuori di pietra e implorare che Cristo, venuto nella carne, entri in noi e ci doni un cuore di carne.
Ecco, allora gli occhi del cuore possono contemplare la luce di Betlemme, quella "luce diversa" del Natale  che  illumina  il  "noi"  per cui  Gesù  è  nato,  ha  detto  Benedetto XVI alla città di cui è vescovo e al mondo intero. All'inizio quasi invisibile, questo "noi" attorno al bambino - Maria, Giuseppe, i pastori - si è fatto fuoco acceso nella notte. Come recita il prologo del vangelo giovanneo, veniva al mondo la luce vera che illumina ogni uomo (oppure, secondo una lettura possibile e suggestiva del latino, la luce che illumina ogni uomo che viene al mondo). Secondo lo stile di Dio che "ama accendere luci circoscritte". Che lentamente si sono propagate e si propagano come fuochi nella notte del mondo.
Di questa notte non bisogna avere paura - ha detto il Papa - perché c'è il bambino, che la Chiesa offre al mondo come ha fatto Maria, in ogni situazione. In un mondo immerso nella crisi, morale ancora prima che economica, e in situazioni troppo spesso dimenticate dai media ma che Benedetto XVI ha enumerato:  Terra Santa, Medio Oriente, Iraq, Sri Lanka, penisola coreana, Filippine, Repubblica Democratica del Congo, Guinea, Niger, Madagascar, Honduras. Per ripetere che la Chiesa è vicina a chi soffre e splende nel buio. Riverberando la luce che viene dal fuoco acceso nella notte a Betlemme.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 28-29/12/2009)