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L'olio
che si sparge


È nel cuore dell'anno cristiano, lungo i giorni che preparano la Pasqua, che il vescovo di Roma sta progressivamente mostrando il suo volto di dolcezza e misericordia, grazie a parole e gesti semplici che arrivano a tutti. Lo si è sperimentato vedendo le immagini della lavanda dei piedi a dodici giovani nel carcere minorile della città, una celebrazione toccante e sconvolgente, così come ascoltando o leggendo le omelie durante la messa crismale e per la domenica delle Palme.
Appare allora chiaro a tutti quanto non era difficile capire, e cioè il significato della scelta di Benedetto XVI - notoriamente attentissimo alla liturgia - di rinunciare al pontificato nel cuore della quaresima. Grazie al tempo scelto per questa decisione, infatti, il suo successore ha potuto far coincidere gli inizi del suo servizio come successore di Pietro con la celebrazione più importante per la fede in Cristo risorto dai morti, durante il triduo sacro che culmina con la veglia pasquale.
E proprio in questi giorni centrali del tempo liturgico è risuonata con forza la voce di un Papa per la prima volta venuto "quasi dalla fine del mondo", come lui stesso ha detto subito dopo l'elezione, lui che in tutta la sua vita di sacerdote e di vescovo ha sempre mostrato una preoccupazione speciale per le periferie materiali e spirituali. Ed è lì infatti che come donne e uomini mai tristi bisogna portare Gesù, ha esclamato aprendo la settimana santa.
Lo stesso concetto è tornato con suggestiva sapienza nell'omelia della messa crismale, quando Papa Francesco ha intrecciato i simboli presenti nelle Scritture ebraiche con la predicazione di Cristo. Così l'immagine dell'olio che si sparge e quella delle vesti sacre sacerdotali con i nomi dei figli di Israele sono servite al Pontefice per sottolineare la necessità di unione tra la gente e i suoi preti e il bisogno che questo "olio di gioia" arrivi appunto sino alle periferie, là dove "il popolo fedele è più esposto all'invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede".
Ecco il significato più autentico della "bellezza di quanto è liturgico", presenza della gloria di Dio "che risplende nel suo popolo vivo e confortato", ha ricordato il vescovo di Roma ai suoi preti. Per questo bisogna venire incontro al "desiderio della nostra gente di essere unta con l'olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo" e a quella "cecità che desidera vedere". Bisogna dunque uscire "a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri", abbandonando quel-l'autoreferenzialità che rischia di inaridire la Chiesa e di fare dei preti "una sorta di collezionisti di antichità o di novità".
E descrivendo la necessità della relazione con Dio e con il suo popolo Papa Francesco ha ripreso l'immagine evangelica, a lui cara, del pastore vicino al suo gregge al punto da assumere l'"odore delle pecore". Che ricerca e custodisce senza stancarsi per ungerle con l'olio profumato di Cristo, modello di ogni pastore.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 30/03/2013)