Intervista a Giorgio Ferrara nuovo direttore artistico della rassegna spoletina tra grandi registi e nuove «Idee»

Festival dei due mondi Anzi di uno


di Marcello Filotei

"Il "Festival dei due mondi" non esiste più".

Ma come avete vinto una battaglia legale per poter continuare a utilizzare il nome?

Il nome sì, ma il logo è cambiato:  c'è una città, Spoleto, che regge un mondo solo, perché il mondo ormai è uno solo. Cinquant'anni fa, quando è stato inaugurato il festival, era ragionevole parlare di due mondi, l'America e l'Europa, lontani e bisognosi di comunicare. Oggi tutto questo è superato, bisogna guardare al pianeta come a una realtà unica e cogliere gli elementi di originalità ovunque siano. Il "Festival dei due mondi" non esiste più, perché non esistono più due mondi.
Le cose sono cambiante a Spoleto con l'arrivo di Giorgio Ferrara - regista teatrale e cinematografico con una importante esperienza alla guida dell'Istituto italiano di cultura di Parigi - chiamato alla direzione artistica di quello che continua comunque a chiamarsi Festival dei due mondi, edizione cinquantuno, anno primo dopo l'era Menotti. Dal 27 giugno al 13 luglio a Spoleto.

Da dove è partito per definire una programmazione omogenea?

Il cartellone è generato dalla convinzione che i veri interpreti della cultura dello spettacolo sono i registi, intesi come creatori visivi. Per questo ho invitato prima di tutto Robert Wilson, Luca Ronconi, Sanjay Leela Bhansali, Luc Bondy e Janusz Kica. Ho messo insieme questo quintetto e ne ho dedotto una serie di conseguenze.

È un festival soprattutto visivo, dunque?

Non esclusivamente, ma questi registi di caratura internazionale danno agli spettacoli principali una forte impronta.

Come ad esempio l'indiano Bhansali che mette in scena l'opera Padmâvatî del compositore Albert Roussel?

È una regia eccezionale che sfrutta a pieno le potenzialità dell'opera, l'ultimo capolavoro dell'orientalismo francese. La trama è ambientata in India ed è tratta da antiche cronache locali. Sarà una sorpresa per un pubblico abituato da anni a vedere allestimenti con muri grigi, molto sobri quando non tristi. Qui c'è un'interpretazione molto colorata, quella di Bollywood, per capirsi.

Rispetto alla tradizione dalla quale viene è quindi una sorta di conservatore?

È un classico, per quello che può essere classico un indiano.

E nel cartellone della danza, cosa lega i tre spettacoli in programma?

Con Alessandra Ferri abbiamo pensato di dare spazio al corpo maschile con Men Only, ad esempio, una rassegna di lavori sempre eseguiti separatamente e ora messi insieme per la prima volta. I ballerini impegnati non solo sono esclusivamente uomini, come recita il titolo, ma anche tutti alla fine della carriera, e forse si potranno vedere qui per l'ultima volta in scena. La Serata Kylián, invece, è divisa in due parti, un balletto con protagonisti che vanno dagli "anta alla morte", e un film in prima visione italiana che prende spunto da Carmen di Bizet. Poi c'è Classic Savion dove si può ammirare una varietà stilistica che va dal classico al contemporaneo.

Nel cartellone musicale, affidato ad Alessio Vlad, spicca una rassegna di concerti da camera tutta incentrata su autori francesi.

Questo evidenzia un'altra caratteristica della nuova gestione, la decisione di dedicare una sezione importante a un Paese. Accadrà in ogni edizione. Quest'anno ho scelto la Francia e quindi oltre al teatro transalpino, molto presente, ho pensato di definire dei cicli di concerti dedicati a compositori come Ravel, del quale viene eseguita l'integrale dell'opera pianistica, o Messiaen. Per il teatro invece, oltre allo spettacolo di Bondy La seconde surprise de l'amour c'è, tra l'altro un lavoro creato appositamente per Spoleto:  Perthus di Jean-Marie Besset in prima assoluta. E poi due meravigliosi monologhi:  Histoire d'hommes con Judith Magre e, A la porte con Michael Aumont.

Novità artistiche, ma anche un laboratorio di pensiero, soprattutto nella sezione "Idee", introdotta in questa edizione.

È una iniziativa che ho mediato dall'esperienza fatta a Parigi dirigendo l'Istituto italiano di cultura per quattro anni. Lì, assieme a Ernesto Galli della Loggia, ho ideato e sperimentato un nuovo modo di affrontare temi che riguardano la storia culturale, abbandonando la maniera accademica in favore di una comunicazione più diretta. Il pubblico ha apprezzato molto uno stile fatto di incontri vivaci tra opinioni diverse, anche su argomenti complessi. Riportando l'esperienza a Spoleto mi è sembrato naturale affidare la sezione "Idee" proprio a Galli della Loggia, che, sviluppando ulteriormente l'esperienza parigina, ha scelto di affrontare temi riguardanti democrazia, scienza, intelligenza, drammaturgia, violenza. Doveroso ci è sembrato inoltre inserire una lettura dei Vangeli.

A Parigi dalle discussioni sulle idee scaturivano degli spettacoli, a Spoleto?

L'intenzione è la stessa, ma non era realizzabile già nel primo anno. Le esperienze che faremo in questa edizione mi serviranno per capire se i materiali potranno essere organizzati e assemblati magari in laboratori invernali che approdino a vere e proprie rappresentazioni.

La produzione, però, non sembra essere una priorità.

Non la escludo, ma non credo che necessariamente un festival debba produrre spettacoli. Se c'è una buona idea si può realizzare, ma questo non è un aspetto principale della mia gestione. Riprendere invece un'opera magnifica come quella di Bhansali, che ha visto la luce a Parigi ed è stata replicata soltanto quattro volte, farla vedere anche in Italia attraverso il festival di Spoleto, questo per me è molto importante. Lo stesso vale per L'opera da tre soldi diretta da Wilson, un'occasione per entrare in contatto con un'operazione straordinaria che altrimenti non si sarebbe mai vista in Italia. Produzione o meno, la cosa importante è quella di dare una linea precisa, proporre cose che abbiano un rilievo, portare in Italia spettacoli eccezionali spesso trascurati.



(©L'Osservatore Romano 27 giugno 2008)
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