Capolavori restituiti dall'archivio della Cappella musicale Liberiana

Non sarà puntuale ma è bravo:  Alessandro Scarlatti a Santa Maria Maggiore

Marcello Filotei


Gli orologi nel Settecento non erano né precisi né diffusi, ma Alessandro Scarlatti non se ne curava. Gli artisti sono fatti così:  si possono chiedere loro imprese che richiedono anni di dedizione assoluta, ma non di arrivare in orario al lavoro. Anche per questo fu proprio in occasione della nomina di Scarlatti alla guida della Cappella Musicale della basilica di Santa Maria Maggiore, in Roma - attualmente affidata a monsignor Valentín Miserachs Grau - che i canonici furono costretti per la prima volta nella storia a elencare con precisione i doveri del maestro. Non sarà puntuale ma è bravo, avranno pensato gli esperti che lo avevano scelto per l'incarico, ma quando il 5 giugno 1707, il giorno dopo la morte del suo predecessore Antonio Foggia, lo proposero come maestro della Cappella Liberiana ebbero un'altra prova della sua originalità. A quel tempo Scarlatti viveva a Urbino. Ma chi vuole cominciare a lavorare prima dell'estate? Meglio arrivare in settembre, avrà pensato. La trattativa condusse a un onorevole compromesso per il 24 luglio.
Quando si tratta di comporre, però, non si bada a orari e l'attività di Scarlatti come maestro di cappella fu molto intensa, tanto che il 13 luglio del 1708 ci fu bisogno di un ingente stanziamento, non meno di 48 scudi, per acquistare carta pentagrammata. L'archivio conserva tra l'altro due messe dell'artista siciliano, una delle quali, quella per il Natale, è in programma il giovedì 24 all'Accademia Filarmonica Romana con il Concerto Italiano, diretto da Rinaldo Alessandrini. A tirarla giù dagli scaffali di un archivio non ancora sufficientemente indagato, è stato Luca Della Libera, curatore dell'edizione critica, pubblicata sotto il titolo Masses by Alessandro Scarlatti and Francesco Gasparini. Music from the Basilica of Santa Maria Maggiore uscito per A-R Edition.

A che punto sono - gli chiediamo - gli studi sull'archivio?

Sebbene siano state condotte alcune ricerche su periodi significativi, non esiste ancora una monografia esaustiva sull'archivio. La catalogazione, completata solo nel 2000, ha evidenziato la presenza di oltre cinquemila manoscritti, dal XVI in poi, e preziose stampe dei secoli XVI e XVII, un autentico tesoro ancora inesplorato. Si tratta di un repertorio del tutto sconosciuto, non disponibile nelle edizioni moderne e, di conseguenza, ignorato sia dagli esecutori sia dai compositori. Un punto di partenza importante nell'approfondimento è rappresentato dal lavoro di Laurence Feininger, musicologo tedesco morto nel 1976, che ha dedicato diversi volumi delle sue collezioni di musica sacra al repertorio policorale romano.


Che ruolo ha svolto Scarlatti in questa realtà?

È stato maestro della Cappella dal 1707 al 1709. Due sue messe sono state pubblicate:  la Messa per il Santissimo Natale, che viene eseguita in quest'occasione, e la Messa breve e concertata a cinque voci. La prima testimonianza della presenza di Scarlatti nella basilica è però anteriore e si riferisce al 31 dicembre 1703, quando, grazie all'appoggio del cardinale Pietro Ottoboni fu nominato collaboratore di Foggia, al quale succederà. Che Ottoboni stimasse in modo particolare il compositore siciliano lo dimostra anche una lettera che inviò a Clemente XI il 9 dicembre 1704 e nella quale menzionò una nuova messa di Scarlatti da eseguire nella basilica il giorno di Natale. Si tratta certamente della celebre Missa Clementina I, il cui autografo è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Quali i tratti caratteristici della messa di cui ha curato l'edizione critica?

La Messa per il Santissimo Natale presenta una scrittura policorale saldamente radicata alla tradizione:  i due cori si presentano sempre come blocchi sonori distinti. Nel corso di tutto il lavoro le parti non vengono mai sovrapposte. Il carattere uniforme di questo lavoro è garantito dalla circolazione dello stesso ritornello affidato a due violini, che arricchiscono il tessuto tonale seguendo un proprio specifico discorso.


L'attività della Cappella, però, non comincia con Scarlatti.

La storia è molto più lunga. La fondazione è tradizionalmente fissata nel 1545, quando Papa Paolo III promulgò una bolla in base alla quale le entrate ricavate dalle parrocchie soppresse sarebbero state utilizzate dal capitolo per sostenere le spese di quella fondazione. In realtà, numerose testimonianze lasciano supporre che questa istituzione esistesse da diversi decenni. I documenti d'archivio registrano la presenza di cantori già fra il 1510 e il 1520. In ogni caso, la pratica musicale affonda le sue radici in un periodo precedente, come dimostrato, fra l'altro, dal ricco Fondo Santa Maria Maggiore nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Questo contiene un gran numero di manoscritti copiati fra il XIV e il XVII secolo. Informazioni sistematiche sulle attività musicali nella basilica cominciano però ad apparire nella metà del XVI secolo. Il nome più famoso è di certo quello di Palestrina, che, dopo avere servito come corista nel 1537, tornò nel marzo del 1563 come maestro di cappella. Il suo mandato è documentato con certezza fino al novembre 1563. Prima di lui, l'ufficio era affidato al fiammingo Adrian Valent. Dalla seconda metà del XVI secolo fino ai primi tre decenni del XVII il repertorio polifonico fu in gran parte simile a quello della Giulia e della Sistina. Il primo catalogo, nel quale figurano numerose opere di Palestrina, fu redatto nel dicembre 1624, quando era maestro di cappella Domenico Allegri. Nel corso del XVII secolo la basilica ebbe fra i suoi maestri di cappella alcuni dei nomi più celebri della vita musicale romana. È documentata, tra l'altro, la presenza di Arcangelo Corelli, che il 2 ottobre 1712 partecipò alla celebrazione solenne in onore di Pio V.

Poi arrivò il grande maestro siciliano.

Non solo, portò anche suo figlio Domenico, compositore tra l'altro di un gran numero di sonate per clavicembalo, al quale affidò alcune esecuzioni policorali. I rapporti non furono però sempre idilliaci. Nel corso degli ultimi mesi del 1708 Alessandro pensò forse di abbandonare l'incarico dopo che il 4 novembre il capitolo aveva rifiutato di autorizzare un suo viaggio a Napoli per dirigere alcune opere. Il permesso fu concesso per la Quaresima l'anno seguente, ma Scarlatti comunque decise di cambiare lavoro. L'ultima presenza certificata del maestro presso la basilica risale al febbraio 1709.

Con Scarlatti, purtroppo, finì la stagione dei grandi compositori antichi alla guida della Cappella.

Il suo successore fu Pompeo Cannicciari, che, eletto il 24 marzo 1709, mantenne l'incarico fino alla morte a Roma, il 29 dicembre 1744. Poi il capitolo nominò direttore Sante Pesci, un membro del coro, e abolì l'incarico stesso del maestro di cappella:  al responsabile non si chiedevano più composizioni musicali, ma compiti amministrativi.

Dall'archivio emerge anche l'esistenza di un'altra realtà musicale.

Alcuni studi hanno rilevato la presenza di un gruppo parallelo, la cappella del "Salve" istituita nei primi anni del XVII secolo dalla famiglia Borghese. Si trattava di un gruppo fisso di musicisti, che doveva offrire musica adeguata per le feste mariane (il nome "Salve" deriva dall'antifona Salve Regina). Sebbene la documentazione d'archivio su questa istituzione sia scarsa, è noto che Francesco Gasparini fu maestro di cappella del "Salve" dal 1725 al 1727. Ma il compositore ebbe rapporti anche con la Cappella della basilica, della quale non è però mai stato alla guida. Fu invece attivo nel circolo del cardinale Benedetto Pamphilj come violinista e compositore di cantate. Prima di lui operarono alla cappella del "Salve" alcuni dei più noti compositori di Roma:  Luigi Rossi, Orazio Benevoli e Alessandro Melani. E proprio di Melani verranno eseguite nel concerto del 24 le Litanie per la Beata Vergine Maria per due cori e basso continuo. Un lavoro di grande pregnanza espressiva, ottenuta grazie a un uso sistematico delle dissonanze che appare l'elemento più interessante e moderno della composizione. Nell'intero brano, scritto in forma libera senza ripetizioni o elementi strofici, si respira inoltre un clima di intima partecipazione emotiva, in una dimensione sonora estranea alla solennità impersonale di tante pagine coeve.

Un omaggio alla Roma barocca, dunque, il concerto della Filarmonica, completato dalla Missa romana - detta "di sant'Emidio" - di Giovanni Battista Pergolesi e organizzato in collaborazione con la Reale Accademia di Spagna e con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Istituto di Musica Sacra. Un esempio di valorizzazione di un patrimonio immenso che, come Alessandrini non smette di rimarcare, è ancora troppo poco approfondito. Proprio a Roma, infatti, manca ormai da oltre vent'anni un importante festival di musica antica, mentre continua a essere trascurata l'eccezionale possibilità di mettere in relazione chiese e palazzi, ancora intatti, con composizioni che furono pensate ed eseguite nei secoli scorsi in quegli spazi. Abbiamo conservato il contenitore gettando il contenuto. Gran parte delle opere sarà anche giustamente caduta nell'oblio, il tempo è il più grande critico musicale, ma con spirito critico e molta pazienza vale ancora la pena di scavare negli archivi.



(©L'Osservatore Romano 24 gennaio 2008)
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