L'Istituto Pastorale Redemptor Hominis compie cinquant'anni

Ci vuole metodo
per far agire la Chiesa


di Maurizio Fontana

Ad uberrima vitae pascua gregem Domini ducere eis commissum est quos Pastor et Episcopus animarum elegit ac posuit "ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei". Con queste parole esordiva la Costituzione Apostolica con la quale il 3 giugno 1958 Pio XII erigeva il Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis presso la Pontificia Università Lateranense. Circa un anno dopo, il 17 maggio 1959, Giovanni XXIII dichiarava l'istituto parte della stessa università. Sono quindi passati cinquant'anni da quando il Papa volle espressamente un'istituzione accademica che si occupasse dell'"agire della Chiesa", dell'educazione alla fede con azione differenziata secondo i bisogni, le circostanze e le età. Un istituto che si mettesse in ascolto delle voci della contemporaneità, che studiasse le sfide poste dal contesto sociale e civile e che sapesse progettare in maniera articolata ciò che la comunità cristiana deve fare per essere fedele alla sua missione nel mondo. Un'istituzione al servizio della Chiesa affinché la Chiesa potesse mettersi sempre più al servizio dell'uomo.
Per celebrare la ricorrenza, l'istituto ospiterà il 28 e il 29 febbraio il convegno internazionale "L'uomo, via di Cristo e della Chiesa. Cinquant'anni del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis". L'occasione per ripercorrere un cammino, per chiarirsi e chiarire metodi, obiettivi e finalità, per ipotizzare scenari futuri, soprattutto per riflettere sulla propria identità.
Proviamo a riassumere, in poche battute, il senso di questa riflessione con il preside dell'istituto, monsignor Dario Edoardo Viganò, che domani aprirà i lavori del convegno nell'aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense.

Mezzo secolo di attività e d'impegno, durante il quale l'istituto è stato chiamato a rispondere a esigenze sempre più ampie e articolate. Finalità scientifiche, pedagogiche, didattiche. Ma quale è, al fondo, il significato di un istituto pastorale all'interno dell'"Università del Papa"?

Nato per occuparsi dell'agire della Chiesa e pensato per strutturare percorsi formativi principalmente per sacerdoti e religiosi, l'istituto negli anni ha visto maturare la sua identità e i suoi compiti seguendo in maniera particolare gli sviluppi del dibattito conciliare e post-conciliare riguardo al rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Negli anni si è sviluppato un metodo di lavoro originale elaborato in dialogo con la filosofia pratica e con le scienze umane e sociali, senza però mai venir meno alla specifica fisionomia di pensiero propriamente teologico.
Possiamo dire che proprio negli anni post-conciliari, l'istituto ha posto attenzione particolare all'identità della disciplina che va sotto il nome di teologia pastorale, elaborando l'approccio metodologico del "discernimento evangelico" ritenuto capace di istruire in maniera adeguata i temi legati alla nuova evangelizzazione, ultima frontiera della nostra ricerca e della nostra produzione scientifica.

Nell'istituto, accanto al curriculum in Teologia pastorale c'è anche l'indirizzo di specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa. La nuova evangelizzazione s'incarna nella società.

A proposito della dottrina sociale della Chiesa da subito e specialmente dagli anni del cardinale Pietro Pavan, il "Redemptor Hominis" si è posto all'avanguardia nel magistero sociale, considerando i temi dell'economia, della politica, della vita sociale come strettamente pertinenti la missione della Chiesa. In particolare, nel magistero di Giovanni Paolo II ritroviamo il filo rosso dato dalla centralità e dalla dignità della persona umana, in una prospettiva pastorale che consente una precisa analisi delle questioni relative alla politica, all'economia e alla cultura.
La proposta formativa nella specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa del nostro istituto ha come elemento peculiare l'aver compreso il profondo legame che unisce le singole discipline scientifiche, irrimediabilmente distinte in epoca moderna in seguito alla rivoluzione gnoseologica ed epistemologica del diciottesimo e del diciannovesimo secolo. Un legame che avviene sul terreno della prospettiva antropologica:  tutte le scienze umane sono accomunate dal comune oggetto di studio:  l'uomo, e dal comune soggetto che le analizza:  l'uomo stesso. "L'uomo che studia l'uomo" per contribuire all'edificazione di una società più giusta e più libera.

In questa attività lei accennava a un metodo ben preciso.

Il metodo è quello del discernimento teologico, arricchito dalle più avanzate analisi provenienti dalle moderne scienze sociali. Il che rende la nostra istituzione scientifica un originale laboratorio sull'azione umana, sulle sue implicazioni sociali e sul ruolo della religione e del sapere umanistico nel costituirsi della cultura contemporanea; una cultura che appare sempre più pluralistica, internazionalmente fraterna (come sono i nostri studenti) e felicemente (benché problematicamente) contaminata da altre culture. L'Istituto Pastorale Redemptor Hominis, inoltre, vuole rappresentare un adeguato strumento di previsione delle future tendenze culturali, avendo a cuore l'uomo in tutte le sue dimensioni.

Ha accennato alla provenienza da ogni parte del mondo degli studenti dell'istituto.

Uno degli aspetti decisamente più affascinanti che caratterizza il nostro lavoro è proprio la diversità culturale di studenti e di docenti. Se ciò comporta una complessità non solo linguistica ma anche di confronto culturale, non di meno la varietà delle provenienze offre comunque la possibilità impagabile di conoscere modelli diversi, plurali, cercando di discernere quanto nella fede e nella prassi della Chiesa vi è di essenziale e di irrinunciabile, e che attraversa tutte le culture. Non a caso, l'inculturazione del Vangelo è uno dei temi trasversali che attraversa le discipline insegnate. L'internazionalità degli studenti dà anche modo di misurare molto concretamente il processo di globalizzazione culturale in atto nel mondo, non solo occidentale. In termini cristiani, dà modo di vivere la dimensione cattolica, universale della fede.

Quali sono gli obiettivi per l'oggi e per il futuro?

Credo che i termini "complessità", "mobilità culturale, territoriale e sociale" descrivano bene le sfide a cui occorre rispondere. Le vie per affrontare tali sfide possono essere individuate nel ripensamento della presenza e dell'azione della Chiesa sul territorio che non può più essere concepita in termini puramente ed esclusivamente geografici. Inoltre nell'agenda nella riflessione e della ricerca non possono mancare temi come la proposta di una diversa articolazione delle figure ministeriali e il progetto di una nuova evangelizzazione.



(©L'Osservatore Romano 28 febbraio 2008)
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