A colloquio con il presidente della Conferenza episcopale del Guatemala

Una Chiesa che semina speranza

di Nicola Gori


L'estrema povertà della gente; il desolante stato della situazione sanitaria; l'alto tasso di mortalità infantile; lo spettro della fame incombente; le minacce alla dignità della vita; la violenza; l'annosa questione della proprietà della terra; l'analfabetismo. Ci sarebbe di che disperarsi in una situazione del genere. Eppure la Chiesa in Guatemala continua a seminare speranza. E raccoglie frutti di nuove vocazioni. Di questo e di altro ci ha parlato il presidente della Conferenza episcopale, monsignor Pablo Vizcaíno Prado, alla vigilia dell'incontro con Benedetto XVI per la visita ad limina.

Di che cosa parlerete con Benedetto XVI durante la visita "ad limina"?

Credo che innanzitutto lo ringrazieremo per la sua presenza e per il discorso altamente illuminante all'inaugurazione della V Conferenza generale di Aparecida, in Brasile, visita che per la Chiesa pellegrina in America Latina e nei Caraibi costituisce un segno chiaro della dedizione, dell'amore e dell'attenzione con cui egli veglia sulla Chiesa universale. Ma al di là dei ringraziamenti gli faremo un quadro sintetico della nostra situazione, indicando i seguenti punti:  la fede della nostra gente; il grande sforzo evangelizzatore nella nostra Chiesa che ha fatto sorgere, come non mai, vocazioni alla vita sacerdotale, consacrata e missionaria; la nostra preoccupazione per la mancanza di rispetto della vita umana e per l'impunità che regna nel paese; il progressivo impoverimento delle persone, molte delle quali vivono in estrema povertà e perfino nella miseria; la costante emigrazione verso gli Stati Uniti, alla ricerca di entrate maggiori che consentano di sostenere le famiglie; l'influenza delle sette nel nostro paese; lo scisma che abbiamo vissuto in seno alla Chiesa cattolica, provocato dall'ex sacerdote cattolico Eduardo Aguirre. Ci preoccupa il fatto che, vittime di quello  che  non  è  altro  che  un grande inganno, molti cattolici di fede semplice si sono uniti a quanti sono a capo della chiesa scismatica in Guatemala.
Eppure in mezzo a questa difficile realtà i vescovi del Guatemala, come pure i religiosi, le religiose e i laici, ripongono la loro fiducia nel Signore.

Quali iniziative ha preso la Chiesa in Guatemala per sostenere e aiutare i più poveri e i più bisognosi?

Non possiamo parlare di un'azione unica. Ognuna delle diocesi in Guatemala ha la propria pastorale sociale che cerca di attuare quei programmi che rispondono ai bisogni della realtà del momento. Il lavoro sociale della Chiesa è la conseguenza di tutto il lavoro di evangelizzazione che svolge. La formazione di guide comunitarie con spirito profondamente cristiano non va dimenticata, poiché è un lavoro molto difficile e importante che viene svolto in tutte le diocesi. Vorrei certamente ricordare alcune iniziative di assistenza che ritengo importante menzionare. Il "Programma materno infantile" per assistere i bambini. Gli indici di mortalità materna sono molto alti come sono altissimi quelli di denutrizione infantile cronica. Le percentuali oscillano tra il 48 per cento di bambini con denutrizione cronica e il 60%. La "difesa e promozione dei diritti umani":  la fame e la mancanza di lavoro non sono infatti i soli problemi della gente. Il tasso di violenza è molto elevato e colpisce tutti gli strati sociali. Gli omicidi di donne sono aumentati nel corso degli anni. La promozione di una cultura della vita è un'altra delle azioni che la Chiesa cerca di portare avanti in Guatemala. Le diocesi più colpite dalla guerra interna, che ha afflitto il nostro paese per oltre tre decenni, hanno sviluppato programmi di salute mentale volti a curare quelle ferite che sono frutto di una violenza così grande.
"Accesso alla terra":  la Chiesa ha cercato di facilitare programmi che permettano alle persone con scarsi mezzi e abitanti nell'interno del paese di accedere alla terra, cercando anche di accompagnare i contadini con progetti che aumentino la produzione e consentano loro di commercializzare i prodotti. Non basta distribuire la terra o ottenerla; occorre anche una educazione. Stiamo anche lottando per promuovere i micro-crediti negli ambienti poveri. Ciò consente anche di introdurre l'idea di una economia solidale negli ambienti più svantaggiati, aiutandosi reciprocamente a farcela. Questo programma implica anche aspetti di educazione che sono assolutamente necessari.
Oltre a quanto ho appena detto, la Chiesa ha cercato di stare al fianco di quanti si vedono colpiti dalle conseguenze prodotte dallo sfruttamento delle miniere a cielo aperto, specialmente dalla ricerca di oro, argento e altri metalli preziosi. Il timore di un inquinamento delle sorgenti acquifere, con i conseguenti rischi per la salute, è molto grande, ma non è l'unico problema. Il danno ecologico può arrivare a essere grave, e l'uso eccessivo dell'acqua fa sì che poi scarseggi in alcune comunità vicine ai luoghi di sfruttamento minerario.

Su quali elementi possiamo basarci per dire che quella in Guatemala è una Chiesa viva, dinamica e vicina a tutti?

Personalmente ritengo che l'elemento che consente di vedere se la Chiesa di un determinato paese è una Chiesa viva, dinamica e vicina alle persone è il suo dinamismo evangelizzatore. La Chiesa in Guatemala, nonostante tutti i problemi che attraversa o che deve affrontare, si distingue per avere sacerdoti profondamente impegnati, che conducono una vita semplice e vicina alla gente, con una solida vita spirituale. Al di là di questo, anche la dimensione laicale della nostra Chiesa è molto forte. I laici fanno un lavoro molto importante nella Chiesa e anche nel mondo in cui svolgono le loro attività. Le vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata sono numerose e rappresentano per noi una grande speranza.
D'altro canto, l'episcopato del Guatemala ha saputo, nei momenti in cui la vita delle persone si è vista minacciata, esprimere con coraggio il suo pensiero e stare accanto a coloro la cui integrità fisica è stata minacciata. Ciò ha fatto sì che in Guatemala, al fine di difendere la fede in Gesù Cristo e i valori che scaturiscono dal Vangelo, sacerdoti, religiosi, religiose e numerosi laici abbiano versato il proprio sangue negli anni della violenza. Anche monsignor Juan Gerardi ha potuto sigillare con il sangue il suo impegno e la sua vicinanza al popolo di Dio, specialmente a quello più sofferente e vessato.
Ritengo che si stia compiendo un profondo rinnovamento interno alla vita delle diverse Chiese particolari, rinnovamento che si applica soprattutto alla parrocchia, intesa come comunità di comunità e centro d'evangelizzazione. In Guatemala la popolazione indigena rappresenta la maggioranza. La Chiesa ha cercato di servirla adeguatamente dal punto di vista sia pastorale sia umano. E le comunità indigene sono molto ricettive e costituiscono un'importante porzione della popolazione cattolica. Abbiamo sacerdoti indigeni (un centinaio) e molte vocazioni alla vita religiosa e consacrata.

Una delle principali preoccupazioni attuali è l'abbandono della Chiesa. In Guatemala quali potrebbero essere le cause dell'esodo dei cattolici verso le sette?

Proprio come hanno affermato i vescovi riuniti ad Aparecida, si tratta di una situazione abbastanza complessa, in cui l'esodo dei cattolici verso le sette non avviene per ciò che i gruppi "non cattolici" creano, bensì, fondamentalmente, per ciò che vivono. Non si tratta dunque di ragioni dottrinali, ma del vivere. Le persone sperano di trovare risposte alle loro inquietudini e cercano di rispondere con l'esodo ad alcune aspirazioni che forse non hanno trovato risposta, come invece dovrebbe essere, nella Chiesa.
A questa situazione che riguarda meramente il vivere possiamo aggiungere quello che è stato il cambiamento di mentalità della nostra gente nel corso del tempo. È per questo che lo sforzo pastorale è volto, tra le altre cose, a rafforzare l'esperienza di Dio nei cattolici, cercando di far loro avere un incontro personale con Gesù Cristo. Cerchiamo infine, di favorire l'impegno missionario di tutta la comunità. Andando incontro a chi è più lontano, interessandosi alla sua situazione, affinché si possa far di nuovo piacere la Chiesa e invitarlo a tornare.

Giovanni Paolo II nella "Novo Millennio ineunte" ha parlato di alcune priorità pastorali come il rinnovamento pastorale. In che modo in Guatemala ci si sente rinnovati pastoralmente?

Le diverse Chiese particolari in Guatemala sono maturate nella loro dimensione pastorale. Ognuna di esse ha un piano diocesano di pastorale, frutto di un grande sforzo congiunto del vescovo e dei suoi sacerdoti, religiosi e laici, e che raccoglie il dinamismo proprio di ciascuna delle diverse arcidiocesi, diocesi e vicariati apostolici. A partire dal piano globale della Conferenza episcopale, soprattutto dagli ultimi due, si è cercato di dare impulso a un rinnovamento della vita parrocchiale, facendo in modo che rispondesse all'ecclesiologia di comunione che anima il cammino della Chiesa cattolica in Guatemala.
Attualmente stiamo elaborando il piano globale per gli anni 2008-2012. Si fonda sul documento finale della V Conferenza generale dell'episcopato dell'America Latina e dei Caraibi di Aparecida, in Brasile, e vuole soprattutto dare maggior carattere al discepolato e all'azione missionaria della Chiesa.
Di fatto, il Guatemala ha ospitato il II Congresso americano missionario, il quale ha lasciato una profonda sollecitudine per la realizzazione di una missione sia ad intra sia ad gentes. Noi vescovi del Centro America ci siamo impegnati a promuovere la creazione di un centro di formazione per i missionari con sede a Tegucigalpa, in Honduras, che serva ad animare queste due dimensioni della missione nella vita della nostra Chiesa cattolica e nella regione.
Parimenti dalla Conferenza episcopale, come pure dalle arcidiocesi, diocesi e dai vicariati apostolici risponderemo a quella che sarà la missione continentale che può sorgere come risposta alla V Conferenza generale dell'episcopato, cosa che certamente rafforzerà sempre più la nostra vita di fede e la nostra risposta in un mondo in cui la testimonianza di vita conforme al Vangelo del Signore è fondamentale.
C'è anche molta fame di conoscere la Parola di Dio. In molti luoghi le chiese sono ormai insufficienti per rispondere al gran numero di fedeli che partecipano, nonostante vengano celebrate diverse messe la domenica. Già ho menzionato l'esistenza di vocazioni missionarie, presbiterali e alla vita religiosa/consacrata.

Quali strategie vocazionali state utilizzando per attirare più giovani al sacerdozio?

Abbiamo promosso corsi nelle diverse diocesi, proposti sia ai sacerdoti sia agli altri agenti di pastorale vocazionale, il che ha creato una consapevolezza più profonda della serietà che deve assumere questa dimensione della pastorale. Inoltre, in molte diocesi esistono le comunità vocazionali che consentono di riunire i giovani che altrimenti non potrebbero svolgere gli studi previi all'ingresso in Seminario. Portiamo poi avanti altre numerose iniziative in diverse diocesi sempre nel tentativo di coinvolgere maggiormente i giovani.
Concludo precisando che in questo campo della pastorale vocazionale lavoriamo insieme con i religiosi e le religiose.



(©L'Osservatore Romano 5 marzo 2008)
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