L'attività dei servizi segreti cecoslovacchi a Roma negli anni intorno al Concilio Vaticano II

Telefonavi a casa e forse ascoltavano a Praga

L'11 aprile, presso la Radio Vaticana, viene presentato il volume La Slovacchia e la Santa Sede nel XX secolo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, pagine 245, euro 26). Il testo raccoglie gli atti del convegno tenutosi il 24 novembre 2005, in occasione del quinto anniversario della firma dell'Accordo Base tra la Repubblica Slovacca e la Santa Sede.
All'incontro partecipano il cardinale Jozef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli; l'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati; Ján Kubis, ministro degli Affari Esteri della Repubblica Slovacca; don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana, Emilia Hrabovec, decano della Facoltà di Filosofia dell'università di Trnava. Dal volume pubblichiamo uno dei testi introduttivi e un estratto dell'intervento del Rettore del Pontificio Istituto Orientale, che modererà l'incontro e che in un'intervista si sofferma sugli argomenti più rilevanti affrontati nel volume.

di Giuseppe M. Petrone


"I rapporti tra Slovacchia e Santa Sede nel Novecento, nelle loro varie fasi, sono una trama complessa e difficile che oggi riceve nuova luce". Non ha dubbi padre Cyril Vasil', rettore del Pontificio Istituto Orientale, nel riconoscere il contributo che gli atti del convegno del 24 novembre 2005, promosso dall'ambasciata della Repubblica Slovacca presso la Santa Sede in occasione del quinto anniversario della firma dell'Accordo base tra la Repubblica  Slovacca e la Santa Sede, offrono   alla  comprensione  di  tali rapporti soprattutto  nel  periodo  più  delicato, quello della cosiddetta "guerra fredda".
"Il volume - osserva padre Cyril Vasil' rispondendo a "L'Osservatore Romano" - presenta per intero il Novecento. Noi oggi parliamo della Slovacchia come Stato indipendente dal 1° gennaio del 1993. Il volume invece considera diverse fasi storiche. I lavori del convegno sono stati divisi in vari periodi:  quello tra le due guerre dal 1918 al 1938; poi il particolare periodo bellico negli anni 1939-1945; i decenni successivi fino al 1989, con il Governo comunista e la Repubblica cecoslovacca, e gli ultimi anni con la nascita della Repubblica slovacca indipendente e i nuovi rapporti tra la Slovacchia attuale e la Santa Sede. È in questa scansione  che  si  inserisce anche il contributo che riguarda l'interesse dei servizi segreti cecoslovacchi dell'epoca comunista per la Santa Sede e il Vaticano.

I rapporti tra Slovacchia e Santa Sede sono stati caratterizzati dal fatto che per il regime comunista il Vaticano era considerato una delle più importanti centrali di sabotaggio ideologico e, di conseguenza, obbiettivo di un corrente e sistematico monitoraggio dei servizi segreti cecoslovacchi?

Ovviamente tale interesse rientra nella lotta ideologica in corso nella Cecoslovacchia dell'epoca contro tutte le confessioni religiose, ma particolarmente contro la Chiesa cattolica. Essa, con la sua sede istituzionale nella Città del Vaticano, suscitava particolare interesse nei servizi segreti di Praga. La particolarità consisteva nel fatto che qualsiasi attività della Chiesa veniva sempre letta e percepita in chiave ideologica, anche quando si trattava di evidenti attività pastorali di evangelizzazione o di comunicazione normale fra le strutture ecclesiali. In questo contesto oggi dagli archivi vengono alla luce i rapporti e le relazioni che venivano preparati in varie occasioni. I servizi comunicavano poi ai dirigenti del partito le loro opinioni sugli eventi ecclesiali, ma anche su persone sottoposte a sorveglianza, delle quali venivano interpretati modo di agire e idee.

Ai servizi segreti cecoslovacchi oltre agli atteggiamenti del Papa interessavano anche quelli dei suoi più stretti collaboratori?

Per quanto riguarda l'interesse specifico per la Santa Sede, occorre intanto dire che per i servizi cecoslovacchi il Vaticano significava in realtà tutto quello che coinvolgeva la Chiesa a Roma, includendo quindi anche ciò che facevano sacerdoti slovacchi o cechi che vivevano a Roma; e questo anche in relazione a molte altre istituzioni non connesse con la Santa Sede. Certamente in occasioni particolari, come il Concilio Vaticano II, questo interesse cresceva e si cercava di dare un'interpretazione più politica che pastorale all'evento. Ma i servizi si soffermavano anche sugli eventuali incontri che potevano avvenire, per esempio, tra i rappresentanti dei sacerdoti slovacchi e i turisti che arrivavano a Roma in occasione dei giochi olimpici nel 1960. Si voleva limitare in ogni modo qualsiasi tipo di contatto, perché si sapeva che, per i turisti o anche per gli sportivi, quella avrebbe potuto essere una delle poche occasioni per entrare in contatto con la Chiesa in un mondo libero. Un altro aspetto è quello della presenza dei vescovi al Concilio Vaticano II. All'inizio si pensava che nessuno di loro sarebbe stato autorizzato a venire, poi l'autorizzazione venne data, anche se in maniera molto limitata. Non è da escludere che i vescovi fossero accompagnati da sacerdoti che godevano fiducia o che in qualche modo collaboravano con le strutture politiche. Attraverso questo controllo a distanza si voleva captare qualche informazione utile, sempre in chiave ideologica, per i rapporti fra Stato e Chiesa.

Possiamo dire che non soltanto gli stretti collaboratori del Papa, ma anche gli atteggiamenti dei dipendenti, per esempio della Segreteria di Stato, interessavano le autorità comuniste?

Certamente, anche se leggendo queste relazioni si scopre che spesso si tratta di informazioni che gli stessi confidenti tendevano a gonfiare, presentandole come scoperte sensazionali. In realtà si trattava di posizioni e di rapporti ben noti e dunque in realtà di scarsa importanza.

Quindi secondo lei quanto si legge nel contributo di Jozef Hal'ko - che è frutto di queste ricerche - è attendibile oppure è necessaria una certa cautela nella valutazione?

In primo luogo il contributo di padre Hal'ko è una relazione che però non è accompagnata dal tradizionale apparato di note, con indicazioni archivistiche e bibliografiche che permetterebbero una verifica. Ma per l'autorevolezza dell'autore, non dubito che egli abbia avuto occasione di attingere agli archivi. Un altro aspetto riguarda la stessa attendibilità o autorevolezza di questi rapporti. Spesso infatti si tratta di valutazioni e relazioni destinate ai dirigenti del partito per orientare la loro politica verso la Santa Sede e in questo contesto rispecchiano la logica e la mentalità dei loro autori. Certamente anche quando corrispondono molto al vero, queste valutazioni contengono informazioni comunque non sensazionali o di non particolare rilievo. Ma bisogna tener conto che per queste strutture qualsiasi tentativo riuscito di entrare in un ambiente ecclesiastico era considerato un grande successo, perché il Vaticano era mitizzato. Così qualsiasi informazione carpita segretamente veniva utilizzata in modo ideologico. La chiave di lettura sta nella mentalità dell'epoca. Si era in piena guerra fredda e qualsiasi parola o atteggiamento venivano percepiti in un'ottica di ostilità.

È stato scritto anni fa che perfino le conversazioni telefoniche de "L'Osservatore Romano" erano sorvegliate dai servizi segreti cecoslovacchi.

Di per sé questo, se anche fosse vero, non dovrebbe stupire, perché suppongo che un po' tutti i servizi fossero interessati alle informazioni che potevano passare dal quotidiano vaticano. Anche in questo caso, tuttavia, spesso si trattava di informazioni innocue, captate o interpretate in maniera tale da creare un alone di mistero. D'altra parte è anche vero, e non lo si nascondeva, che la Chiesa era portavoce specialmente di quelli che non avevano voce. Si parlava all'epoca della "Chiesa del silenzio" e sappiamo anche che al Concilio si discuteva se e in che misura parlare apertamente delle ideologie o dei regimi politici ostili ideologicamente alla dottrina cristiana. Da una parte si volevano condannare tutti i sistemi ideologici, dall'altra, per non offrire motivi a maggiori persecuzioni, si riteneva di non nominare esplicitamente singoli Stati o ideologie. Ecco, questo dibattito in qualche maniera si rifletteva anche nelle relazioni preparate dai servizi. Ma si trattava comunque di discussioni pubbliche, tutt'altro che segrete.

Come è scritto in un passaggio degli atti del convegno, con la fine del pontificato di Pio XII - che nel 1949 aveva firmato la scomunica degli aderenti al comunismo - vi erano delle aspettative per il successore dietro la cortina di ferro?

Certamente. Anche la politica di Giovanni XXIII veniva percepita da una parte come un segno di apertura della Chiesa, ma dall'altra si capiva che la sostanza dell'atteggiamento verso le ideologie ostili al cristianesimo non cambiava. Si cercava di distinguere tra ideologie come tali e persone singole che si trovavano a vivere nelle varie situazioni. In quest'ottica il contributo di padre Hal'ko è molto interessante perché forse per la prima volta senza troppi veli la questione viene affrontata da uno storico ecclesiastico, il quale parla di cose di cui si sapeva e si parlava, ma di cui non si era mai scritto nulla. Anche se un apparato di note avrebbe arricchito il lavoro, permettendo ulteriori verifiche e approfondimenti da parte di altri storici.

Sarà possibile in futuro precisare ed esaminare in maniera più approfondita le informazioni, magari con altri documenti?

Certamente, perché adesso per esempio in Slovacchia vengono pubblicati molti libri scritti da storici dell'Accademia delle scienze che presentano materiali archivistici riguardanti la politica ecclesiastica, nonché il ruolo dei servizi e delle centrali ideologiche del partito che si occupavano della lotta alla Chiesa o alla religione. Si tratta di documentazione delle sedute, delle decisioni, delle valutazioni che venivano fatte e il volume appena pubblicato rientra proprio in questo ambito di studi, anche se si tratta di un contributo molto riassuntivo, sintetico. In simili circostanze occorre un lavoro di interpretazione e ciò è possibile solo se si prendono in considerazione tutti gli aspetti, tenendo presente l'ottica dell'epoca. Un lavoro in tal senso sarebbe prezioso per dare giusto rilievo ai testi presenti nel volume, che è molto interessante ed è un punto di partenza per ulteriori pubblicazioni. So che è difficile parlare di persone che sono ancora in vita. Per questo sono necessarie, oltre all'onestà intellettuale, anche prudenza e discrezione.



(©L'Osservatore Romano 11 aprile 2008)
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