Intervista al presidente della Conferenza episcopale Martinus Dogma Situmorang

L'Indonesia,
un modello per il dialogo


di Alessandro Trentin

L'Indonesia è oggi un Paese moderno, proiettato verso una crescita economica e sociale sostenuta, dove il dialogo interreligioso rappresenta uno degli aspetti emergenti. Il modello di dialogo interreligioso della nazione, anzi, viene preso a esempio per contribuire a pacificare anche altre aree geografiche. Tuttavia, persistono ancora alcune tensioni e lacerazioni, che impediscono di fatto una totale coesione tra le varie etnie. Della religione, ma anche degli aspetti sociali e politici, ha parlato in un'intervista rilasciata all'"Osservatore Romano" il vescovo presidente della Conferenza episcopale dell'Indonesia Martinus Dogma Situmorang.

Qual è la situazione politica e sociale del Paese ?

È in corso un processo democratico che sta portando una certa euforia:  il Governo è stato eletto direttamente dal popolo, per la prima volta nella storia. C'è molta speranza, quindi, nell'azione politica, ma i residui negativi del passato in molti campi, la mentalità corruttiva, gli interessi politici dei partiti, l'immensa vastità della nazione e il numero della popolazione assai elevato con tutti i problemi annessi, richiedono un grande sforzo. Dalla base, ovvero dalla gente comune meno ricca, si avverte molto l'incremento della povertà e le difficoltà economiche, anche per avere le cose più basilari ed essenziali. Le parole e promesse nel passato sono state tante, ma molte non sono state realizzate.

Che ruolo ha la religione ?

La religione è in grado di unire, di pacificare, di muovere l'insieme di tutta la gente. Però la religione, come fede e come forza morale, non ha purtroppo molta incidenza nella vita giornaliera di coloro che comandano:  questo si vede dai loro comportamenti, non amano servire ma essere serviti e, per questo, c'è molta corruzione a tutti i livelli. Tra l'altro la religione è talvolta manipolata a scopi politici, per creare delle leggi che discriminano i cittadini. La politica molto spesso non guarda al bene comune, al progresso della nazione, ma cura interessi stretti e limitati, legati al potere e alla ricchezza. Occorre che coloro che hanno responsabilità elevate siano guidati dalla moralità e spiritualità, interpretate dalla religione nel suo nucleo più autentico e originale.

Perché l'Indonesia è spesso presentata come modello di dialogo interreligioso ?

Prima di tutto perché la maggioranza dei musulmani che vivono nella nazione sono moderati. I capi islamici sono moderati in genere, aperti e non troppo legati al Medio Oriente, oppure all'islamismo di colore politico. L'islamismo in Indonesia è soprattutto cultura:  la religione musulmana ha formato la cultura popolare in tantissime zone del Paese. Il dialogo interreligioso in Indonesia è esemplare perché i musulmani, in genere, non fanno monopolio della vita sociale. Ci sono sforzi assai seri e onesti in corso per vivere da fratelli, con gli appartenenti a religioni e culture diverse. Esiste dunque un'apertura, un atteggiamento fraterno di base, un rispetto reciproco e una vita religiosa molto genuini. Si organizzano degli incontri tra i capi religiosi per discutere i rapporti stessi tra le religioni, per allontanare i conflitti aperti e dannosi e per rafforzare la cooperazione nel campo della solidarietà nei confronti della popolazione che soffre. Il dialogo certamente non è semplice e con capita sempre in tutti i luoghi e con la stessa profondità e la medesima fecondità. Le religioni hanno anche complessità varie al loro interno:  varietà delle divisioni teologiche oppure filosofiche della vita e dell'umanità; comprensione; aperture; vicinanza alla politica; diversità dell'educazione, tradizioni locali.

Quali sono i rischi del fondamentalismo per l'Indonesia?

La pace e l'apertura del Paese allo sviluppo sociale è legato anche moltissimo dall'islamismo. Dipende dall'Islam se la nazione può e deve essere democratica, moderna e pluriforme. Il fondamentalismo qualsiasi, religioso o no, musulmano o no, è sempre una minaccia alla vita comune, perché è violento nel modo di pensare e di agire. Convinto di sé, il fondamentalista si sente come l'unico possessore della verità e del bene, disprezza gli altri e non ha nessun rammarico di distruggerlo. Il dialogo non è possibile, la convivenza è una cosa forzata o al massimo tollerata. Il fondamentalismo nasce e cresce nella vita sociale e religiosa oppressa e stagnante; si rafforza e si moltiplica se ci sono degli oppressori reali oppure immaginabili, sia nel campo sociale, economico, politico e religioso. Si moltiplica anche se ci sono degli appoggi reali oppure pensati e sperati, aperti o nascosti, nel Paese o da fuori.

Il Papa in occasione del ricevimento del nuovo ambasciatore indonesiano, ha sottolineato che serve una costante vigilanza da parte di tutti per garantire la libertà di religione ai cattolici. In quale situazione si trova la comunità dei fedeli ?

Non siamo in Paradiso, nella situazione del tutto perfetto, ma viviamo molto meglio che in altri Paesi, dove la maggioranza dei cittadini sono musulmani. Abbiamo una certa libertà e abbiamo spazio per portare avanti gli impegni sociali umanitari, come forma della fede vissuta, come servizio all'umanità. L'accusa di proselitismo spesso è usata per limitare le mosse e lo spazio ai cristiani, mentre l'islamizzazione da parte sua procede in modo molto chiaro. Negli ultimi anni molti luoghi di preghiera sono stati vittime di distruzione e il rilascio dei permessi per costruire delle nuove chiese diventa sempre più difficile.

Può il modello interreligioso indonesiano contribuire a pacificare altre aree geografiche ?

Si tale modello può contribuire a questo. Il riunirsi tra capi religiosi, a vari livelli, il discutere di cose che sono di grande importanza per il Paese, l'agire insieme per salvaguardare e innalzare il benessere delle gente, è un esempio da seguire. La causa dell'umanità va vista come fuoco, che è anche il cuore di ogni religione. D'altronde non possiamo permettere che ci sia un'immagine falsa della vita interreligiosa in Indonesia Il dialogo interreligioso è un dono, un impegno, un dovere da compiere, a nome della religione stessa, ma soprattutto a nome di Dio e dell'umanità. La religione non è un bene a sè e per se stessa, se non per l'umanità.

Verso quale futuro si sta avviando il Paese ?

L'Indonesia sta procedendo sulla strada della modernizzazione e partecipa in maniera contributiva al bene e alla vita comune della comunità delle nazioni. Ci vuole un Governo forte e democratico, con una distribuzione del potere chiara che permetta la guida e la direzione del Paese e non perdere energie, tempo e denaro per dibattiti politici che si manifestano come poco educativi e formativi. La nazione si realizzerà nel benessere, nella giustizia e nell'uguaglianza, coesiva come una nazione deve essere.



(©L'Osservatore Romano 30 aprile 2008)
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