Intervista con il nuovo presidente dell'Azione cattolica, Francesco Miano

L'accoglienza, dovere ineludibile
per ogni credente


di Marco Bellizi

Accoglienza per gli immigrati, compito ineludibile per un credente, studio e traduzione della dottrina sociale della Chiesa, di cui va riscoperta la grammatica. E un anno straordinario di riflessione su quella chiamata alla santità che Benedetto xvi ha fatto il 4 maggio scorso nel suo messaggio per l'assemblea dell'Azione cattolica (Ac). Francesco Miano, 47 anni, nuovo presidente di Ac, ha già alcuni punti fermi nel programma che intende portare avanti nel suo incarico triennale, e li puntualizza, nel giorno del passaggio di consegne simbolico con il suo predecessore, Luigi Alici.

Quale  Azione  cattolica  trova  in eredità?

È una eredità particolarmente significativa, perché Ac ha fatto in questi anni uno sforzo notevole fra continuità e novità:  la continuità della sua lunga storia, celebrata anche nell'incontro che abbiamo avuto con il Papa, la novità che deriva dallo sforzo di provare a interpretare la volontà di Dio per il nostro tempo. È una novità che è in effetti una caratteristica dell'Azione cattolica.

Come vanno le adesioni?

Confermo un risultato di stabilità. Il che è molto importante, perchè in Ac le adesioni sono personali e sono adesioni che si rinnovano annualmente. Questo dato è tanto più importante se si considera come oggi sia difficile assumere impegni stabili. Alcuni studi, condotti in seno alla Conferenza episcopale italiana, hanno evidenziato come per ogni adesione in realtà ci siano due persone di fatto aderenti ad Ac, che utilizzano magari i percorsi formativi, i campi scuola e le altre nostre iniziative.

Cosa porta invece il nuovo presidente all'Azione cattolica?

Mi avvalgo di un percorso già tracciato dai miei predecessori. Io vorrei portare l'idea di mettermi a servizio nel modo più forte possibile della comunione ecclesiale, lavorando sempre di più sulla cura delle relazioni, perché vuol dire creare ponti dove si è interrotta una strada, vuol dire superare il particolarismo esistente anche in realtà ecclesiali.

Come intende affrontare i temi della formazione e del bene comune?

L'Ac si è sempre spesa per la formazione, ma vorremmo riuscire a proporre percorsi sempre più all'altezza delle richieste dei tempi. Vorrei collegare però il tema della formazione al tema della chiamata alla santità cui il Papa ha fatto riferimento nel suo discorso del 4 maggio. È come se il Papa ci avesse detto:  il vostro compito è farvi santi a partire dalla vostra vita quotidiana, dal lavoro, dalla famiglia. È nostra intenzione quindi dedicare l'anno prossimo alla riflessione sulla chiamata alla santità, per dire che oggi la questione formativa o la affronti andando al cuore del problema o non la risolvi. L'altra questione è quella del bene comune:  vorremmo rafforzare tutte le iniziative che si possono dedicare allo studio e alla traduzione della dottrina sociale della Chiesa. Solo così si può dare sostanza alla passione per il bene comune.

Che Italia trova oggi la nuova Azione cattolica?

È un Paese in chiaroscuro. Certamente è da considerare positivamente quel valore del dialogo che il Papa ha ricordato in questi giorni, il dialogo che è necessario a far maturare la passione per il Paese.

L'Azione cattolica di fronte alle sfide dell'immigrazione.

La linea di Ac è quella espressa dal cardinale Bagnasco e anche dal cardinale Sepe, che ha parlato in particolare della situazione napoletana. C'è la necessità dell'accoglienza, che è accoglienza delle persone, impegno ineludibile per un credente. Il che, chiaramente, non significa acquiescenza nei confronti di chi non rispetta le leggi. Riguardo ai provvedimenti allo studio, direi che il pericolo da evitare è quello di interventi congiunturali.



(©L'Osservatore Romano 31 maggio 2008)
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