Intervista all'arcivescovo Tomasi sulla convenzione di Dublino

Munizioni a grappolo al bando
Un passo in avanti verso il disarmo


I delegati di centoundici Stati riuniti a Dublino hanno approvato venerdì 30 maggio una convenzione per la messa al bando delle "cluster bombs" (munizioni a grappolo). Il prossimo 3 dicembre, a Oslo, avverrà la firma ufficiale del documento, che entro otto anni dovrebbe portare alla distruzione dei micidiali ordigni dagli arsenali dei Paesi aderenti.
Alla conferenza di Dublino la Santa Sede è stata rappresentata dal capo delegazione arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede a Ginevra; da Antoine Abi-Ghanem, Attaché della Missione della Santa Sede di Ginevra; da Paolo Conversi della Segreteria di Stato e da Tommaso Di Ruzza del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Abbiamo rivolto alcune domande all'arcivescovo Tomasi sul ruolo della Santa Sede nel negoziato e sulle implicazioni dell'accordo raggiunto a Dublino.

Quali sono gli aspetti principali della nuova convenzione sulle munizioni a grappolo?

Le munizioni a grappolo sono la causa di gravi problemi umanitari sia durante un conflitto armato, dal momento che esse colpiscono in maniera indiscriminata civili e combattenti; sia dopo un conflitto armato, perché possono giacere inesplose sul terreno e colpire anche dopo molti anni dalla loro dispersione. La storia ha purtroppo mostrato con chiarezza che i residuati bellici esplosivi impediscono la ripresa della vita quotidiana della popolazione civile. Pensiamo ai casi meno recenti del Vietnam, della Cambogia e del Laos, o a quelli più prossimi dell'Iraq e del Libano, dove sono stati dispersi in maniera irresponsabile milioni di munizioni a grappolo. Ora, con la nuova Convenzione sono stati vietati la produzione, il deposito, il trasferimento e l'uso della quasi totalità di questi insidiosi ordigni. Vengono inoltre previste disposizioni molto efficaci sull'assistenza alle vittime, la bonifica delle aree contaminate dai residuati bellici esplosivi e la cooperazione internazionale.

Ci sono stati momenti critici nel negoziato?

Sì, ci sono stati momenti critici, ma, se consideriamo le premesse, i risultati hanno superato le aspettative. Le maggiori difficoltà sono dipese sia dalla mancata partecipazione al negoziato di importanti Stati come Brasile, Cina, India, Israele, Pakistan, Russia, Stati Uniti d'America; sia da alcuni problemi specifici all'esame della Conferenza. Il primo è stato quello della definizione del tipo di munizioni a grappolo da vietare. Il rischio era quello di legare il divieto alle sole caratteristiche tecniche e al grado di sviluppo tecnologico di tali ordigni. Tuttavia la definizione prevista dalla Convenzione fa salva la priorità delle esigenze umanitarie:  si è infatti giunti ad un consenso sul divieto delle munizioni a grappolo contrarie agli standard previsti dal diritto umanitario, che rappresentano la grande maggioranza di quelle esistenti e la totalità di quelle sinora utilizzate.
Un secondo problema che ha richiesto un grande sforzo nei negoziati è stato quello della cosiddetta "inter-operabilità". Diversi Stati hanno infatti manifestato la difficoltà di conciliare il divieto delle munizioni a grappolo con altri impegni assunti a livello bilaterale, o con la possibilità di prendere parte a operazioni militari multilaterali nelle quali siano presenti Stati che non sono parte della Convenzione sulle munizioni a grappolo, e che continueranno a possedere e usare questo tipo di ordigno. Solo per fare un esempio, possiamo avere il caso di uno Stato firmatario che ospita le basi militari di uno Stato non firmatario. Pensiamo alle difficolà che possono incontrare gli Stati membri della Nato.

Cosa ha spinto la Santa Sede a partecipare così attivamente al negoziato sulle munizioni a grappolo?

L'esigenza è stata duplice:  rispondere a un grave problema umanitario e contribuire allo sviluppo del diritto internazionale. La drammatica esperienza delle comunità cristiane che gestiscono gli ospedali e le altre strutture di assistenza, specialmente nei Paesi in via di sviluppo che subiscono quotidianamente le gravi conseguenze delle munizioni a grappolo, ha spinto la Santa Sede a prendere parte attiva alla messa al bando internazionale di questo tipo di ordigno. Del resto, da sempre la Santa Sede persegue tutte le strade che favoriscono la pace e lo sviluppo integrale di ogni persona e quindi si adopera per evitare che risorse vengano inutilmente spese in armi, tanto più quelle che causano effetti indiscriminati sui civili. Il Santo Padre ha dato un grande contributo alla buona riuscita del negoziato con il Suo Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede dello scorso gennaio e con l'intervento all'Angelus dello scorso 18 maggio, nel quale ha chiesto "uno strumento internazionale forte e credibile". Da questa esperienza si ha una conferma dell'importanza dell'attività multilaterale sviluppata dalla Santa Sede soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, e finalizzata alla costruzione di un ordine internazionale giusto e pacifico basato sul rispetto della dignità umana e sull'utilizzo delle risorse umane e materiali per lo sviluppo e non per gli armamenti.

Come interpretare questo risultato alla luce del processo di disarmo internazionale?

Il processo di disarmo attraversa una fase di grande crisi, per non dire di stallo. Pensiamo ad esempio alla difficoltà che incontra l'attuazione degli strumenti giuridici già in vigore, come il Trattato sulla non proliferazione nucleare e il Programma e Piano di Azione sul traffico illecito delle armi leggere e di piccolo calibro. Nonché gli impedimenti all'entrata in vigore di strumenti già conclusi come il Trattato sul divieto generale dei test nucleari. Forte preoccupazione suscita poi la debolezza degli organismi delle Nazioni Unite competenti in materia di disarmo e controllo di armi, e in particolare della Conferenza sul Disarmo. Questi tre fattori sono sintomi di una scarsa volontà della comunità internazionale, e al tempo stesso rappresentano un rischio per gli attuali negoziati su un Trattato sul commercio internazionale di armi e su un Trattato sul materiale fissile. Per non citare lo spaventoso livello della spesa mondiale per gli armamenti, che nel 2006 è stata pari a 1.204 miliardi di dollari.

Quale sarà l'impatto operativo della nuova Convenzione?

La nuova Convenzione sulle munizioni a grappolo può essere accolta come un importante strumento internazionale in materia di disarmo e soprattutto come uno strumento che apporta novità nel diritto umanitario. Il suo primo effetto concreto sarà la diminuzione del numero delle vittime durante e dopo un conflitto armato. Ciò favorirà la ripresa della vita quotidiana e il pieno sviluppo delle popolazioni danneggiate. Il testo, inoltre, all'articolo 5, richiede agli Stati firmatari in particolare, e alla comunità internazionale in generale, un'azione concreta e una cooperazione efficace nell'assistenza delle vittime nelle sue diverse dimensioni, con particolare attenzione alle donne e ai bambini, che purtroppo soffrono maggiormente i conflitti armati e i loro effetti nefasti. La nuova Convenzione prevede inoltre due importanti elementi. Il concetto di vittima non comprende solo le persone immediatamente danneggiate dalle munizioni a grappolo, ma anche le loro famiglie e comunità, che necessitano della dovuta assistenza psicologica e materiale. Lo stesso articolo cinque, accanto alle strutture statali, garantisce lo specifico ruolo e contributo dei soggetti non governativi con una consolidata esperienza nell'assistenza delle vittime. Questa disposizione riconosce l'apporto delle strutture cattoliche in tale campo, come ad esempio quelle sanitarie e per la riabilitazione.

Quali indicazioni possono emergere dalla Convenzione per il futuro?

Il negoziato che ha condotto all'adozione della Convenzione sulle munizioni a grappolo ha indicato alcuni elementi importanti per il processo di adattamento del diritto umanitario alla complessità della realtà contemporanea. Anzitutto, sembra emergere l'efficacia della scelta di basare il processo di disarmo sul perseguimento di obiettivi specifici, che servano a mantenere la dinamica del dialogo in vista di raggiungere accordi più ampi per un disarmo generale e completo. Questo obiettivo non è tuttavia pensabile senza concepire la sicurezza in una maniera più ampia. La nuova Convenzione, infatti, dando un ruolo primario all'assistenza delle vittime, conferma l'intuizione originale della dottrina sociale della Chiesa, per cui il concetto di sicurezza non può essere legato solo alla sicurezza militare, ma alla presenza di tutte quelle condizioni che permettono il pieno sviluppo della persona umana. La Convenzione infine incoraggia ad adottare una prospettiva, nell'analisi dei problemi sociali, di particolare attenzione per le vittime e per i gruppi più vulnerabili, come la Parabola evangelica del buon Samaritano c'impone.



(©L'Osservatore Romano 1 giugno 2008)
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